L’OLIMPIADE DENTRO L’OLIMPIADE: UN PALLONE NELLE PERFIERIE DI RIO
I volontari del CSI, insieme ad ActionAid e Coni, hanno portato lo sport tra i bambini delle favelas, per creare un’alternativa alla vita di strada
30 Agosto 2016
Trasformare le Olimpiadi in un’opportunità, anche per i bambini delle favelas più difficili di Rio: è stata questa la sfida vinta dai volontari del Centro Sportivo Italiano, che dal 5 al 21 agosto sono stati coinvolti in un progetto lanciato dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano, insieme ad Actionaid. È così che a Rocinha e Cidade de Deus, le due baraccopoli scelte per il progetto, lo sport è diventato uno strumento di aggregazione sociale. Non ci sono stati solamente interventi di ristrutturazione (a Cidade de Deus, Actionaid e CONI hanno reso praticabile il vecchio campo da calcio della baraccopoli), ma anche e soprattutto tante attività, che per intere giornate hanno coinvolto i bambini e gli adolescenti delle due favelas, con partite a basket, pallavolo, rugby e, naturalmente, calcio.
Il CSI per il mondo
Il Centro Sportivo Italiano ha preso parte al progetto di Rio con 6 volontari, tre ragazze e tre ragazzi, che hanno inaugurato la presenza del CSI in Brasile. Da quest’anno infatti, Rio va ad aggiungersi alle mete già coinvolte nel Progetto di Volontariato Internazionale CSI per il mondo, attivo negli ultimi anni ad Haiti, in Kenya, Congo, Camerun e Albania. La missione dei volontari è «diffondere lo sport nelle periferie del mondo», per offrire uno strumento di speranza e di riscatto a chi vive in condizioni di povertà. Così è stato per i bambini di Rocinha, la più grande baraccopoli del Brasile che sorge a sud di Rio, a pochi passi da Casa Italia, il luogo di residenza dei nostri atleti olimpionici. Qui, i volontari di CSI per il mondo hanno coinvolto più di 40 bambini tra i 7 e i 10 anni, con giochi e attività sportive di ogni genere. Così è stato anche per i bambini della scuola Alphonsus de Guimaraens, a Cidade de Deus, una delle favelas più violente di Rio. Calcio, basket, pallavolo e rugby hanno entusiasmato 60 ragazzi, dai 7 ai 14 anni, che si sono appassionati al gioco di squadra e hanno scoperto l’importanza del confronto con gli altri. «In queste zone difficili, i ragazzi giocano quasi esclusivamente a calcio (quando ne hanno la possibilità) – raccontano i volontari – noi abbiamo provato ad offrire loro l’opportunità di conoscere e sperimentare anche altre discipline. Per farlo, spesso è stato sufficiente un pallone, però abbiamo proposto ai bambini anche attività sportive che non richiedessero l’utilizzo di alcuno strumento, per dimostrare come si possa fare sport a costo zero». La terza meta dei volontari di “CSI per il mondo” è stata Ilha de Paquetà, isola di Rio che sorge nell’inquinatissima Bahia de Guanabara. Nell’unica scuola dell’isola, i sei volontari hanno aggiunto alle attività sportive anche una caccia al tesoro e una miniolimpiade, riuscendo a coinvolgere 150 bambini dai 4 agli 11 anni. «Abbiamo svolto questo progetto parallelamente ai Giochi di Rio – dicono i volontari di CSI per il mondo – e durante le nostre attività siamo riusciti a diffondere e a percepire il valore più importante delle Olimpiadi, quello della coesione. Educatori, bambini e ragazzi hanno rafforzato il loro legame e anche noi siamo stati accolti con un affetto ed un entusiasmo immensi».
Con gli occhi dei volontari
Portare lo sport nelle periferie del mondo non è un’esperienza facile da raccontare, soprattutto quando una di quelle “periferie” è Rocinha, la più grande baraccopoli del Brasile, in cui si respira un’atmosfera di «incubo-sogno-realtà» e dove gli stessi taxisti si rifiutano di entrare. Eppure Elena, una delle volontarie di CSI per il mondo, riesce a descrivere a chiare lettere il segno che la bidonville di Rio lascia a chi riesca a visitarla: «noi abbiamo avuto il privilegio di inoltrarci nei vicoli di Rocinha, di spiare il cielo attraverso l’intricato reticolo dei cavi della luce (ci sono cavi attaccati ovunque per rubare la corrente) e di camminare lungo uno dei 23 canali di acqua sporca, topi e immondizia che colano di fianco alle case. Questo è stato possibile grazie a Martin, un uomo conosciuto e stimato dalla comunità di Rocinha, che arrivato nella favela da adolescente, con l’intento di rimanervi solo 3 mesi, non è più ripartito ed è diventato il primo sindaco della baraccopoli. Oggi Martin continua ad affrontare impegni politici e sociali per la sua comunità. La verità è che si è innamorato di questa favela e, attraverso i suoi racconti, ce ne siamo innamorati anche noi».
Valentina invece, un’altra volontaria di CSI per il mondo, rende con queste parole il senso della sua esperienza a Rio, tanto bella quanto, a tratti, dolorosa: «la mattina assapori il gusto dolce di stare con i bambini delle favelas e di farli giocare, di vederli scatenarsi e urlare ad ogni prova finita con una vittoria, di sentirsi le loro braccia al collo come se fossi con loro da una vita. Poi arriva il retrogusto amarognolo, perché scopri e vedi altre cose: ti raccontano che Miriam, come tanti altri, vive con la sua famiglia in un posto infestato dai coccodrilli e che per prendere l’acqua deve essere più veloce per non farsi azzannare…gran bel gioco, se lo fosse. E come se non bastasse, la notte è un continuo sparare per le strade. E il sapore si fa ancora più amaro quando coi tuoi occhi vedi un cecchino della polizia sparare con un fucile verso la strada. Normalità. Fai un giro nella favela, attraversi pertugi che dovrebbero essere strade su cui si aprono porte, ma non c’è neanche lo spazio per passare, “vedi” l’odore della fogna a cielo aperto, senti la paura di chi lì dentro non ci vuole entrare, immagini cosa si possa scatenare la notte. Tutta normalità».
E poi ci sono i ricordi più belli, quelli che riguardano, solo per fare un esempio, l’Ilha de Paquetà: «un’isola dove il tempo sembra essersi fermato – racconta la volontaria Giulia – e dove non ci sono auto, ma solo biciclette e risciò. Quando camminavamo per strada, la gente del posto ci salutava e ci sorrideva. Abbiamo respirato l’accoglienza in ogni momento. L’ultimo giorno di attività con i bambini sull’isola abbiamo organizzato le miniolimpiadi: tutti insieme abbiamo costruito medaglie, coppe, fiaccole e tre squadre si sono affrontate in una serie di giochi sportivi. Non è mancata nemmeno la cerimonia di apertura. L’insegnante più anziana e piena di entusiasmo ha consegnato la torcia al primo dei bambini schierati in semicerchio. Il passaggio della torcia di mano in mano ha emozionato tutti, fino al suo arrivo nelle mani di Ian, bimbo con disabilità cognitive sempre in movimento. È stato lui ad alzare la torcia e a dare il segnale di avvio alle apprezzatissime Olimpiadi. Ian, spontaneamente, dopo aver sistemato la fiaccola ha fatto un inchino e tutti gli altri bimbi lo hanno applaudito. Ci ha colpiti l’affetto che tutti i bambini hanno manifestato nei suoi confronti».
Quando lo sport diventa “strumento di salvezza”
Massimo Achini, presidente di CSI per il mondo, parla del progetto di Rio come di una vera e propria «Olimpiade nell’Olimpiade». «Siamo arrivati a Rio con una responsabilità importante: far vincere i valori dello sport – dice Achini – primi fra tutti quelli dell’inclusione sociale e della partecipazione. Lo sport è gioco e divertimento, ma rappresenta anche uno strumento di educazione alla vita, perché offre la possibilità di misurarsi con se stessi e con gli altri, al di là della mera ricerca del risultato. Lo sport offre una reale occasione di crescita personale e di miglioramento della qualità della vita, e questo vale anche (e soprattutto) per i ragazzi che vivono nei Paesi più poveri. Per questo motivo noi del CSI intendiamo “portare un pallone nelle periferie del mondo”, perché lo sport in questi contesti moltiplica le sue potenzialità educative e diventa davvero inarrestabile». In baraccopoli come Rocinha e Cidade de Deus, infatti, vivono decine di migliaia di bambini, che spesso costituiscono la maggioranza della popolazione e che, con estrema facilità, vengono coinvolti in attività criminali dalle bande di narcotrafficanti locali. Ecco perché i progetti di volontariato sportivo internazionale non consentono solamente ai bambini di imparare a giocare a calcio, pallavolo e rugby, ma mostrano loro anche un’alternativa alla vita di strada, stimolando l’inclusione sociale e valorizzando l’importanza della scuola (in queste zone il tasso di abbandono scolastico è altissimo). «In contesti difficili come quelli delle favelas, emerge la forza dello sport: quei campetti per le vie del quartiere ci sono apparsi dei veri “strumenti di salvezza” per i ragazzi, centri di aggregazione che li tengono lontani dalla criminalità organizzata» dicono i volontari di CSI per il mondo. L’obiettivo allora è quello di non disperdere i risultati raggiunti dal progetto e di rendere Rio meta fissa del CSI. «Abbiamo aperto un’altra strada impossibile – dice Massimo Achini- questo per noi è il risultato più importante. Ora ci auguriamo di poter essere a Rio anche l’anno prossimo, perché resta fondamentale seminare continuità educativa».
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