CUORI NASCOSTI. STORIE EMOZIONANTI DAI TERRIBILI MARGINI DELL’ESISTENZA
Matti, carcerati, barboni, ragazzacci e altri invisibili eroi sono i protagonisti delle storie tra le pagine di Cuori nascosti, nuovo libro di Michele Capitani, volontario della Comunità di Sant’Egidio e professore di lettere nei Cpia. «Scrivo per far conoscere i confini apparentemente remoti ma in realtà compenetrati alla nostra città visibile e benestante»
10 Gennaio 2025
4 MINUTI di lettura
ASCOLTA L'ARTICOLO
Persone detenute o con malattie mentali, homeless, adulti che riescono a tornare a scuola, adolescenti difficili «e adorabili», «storie di immigrazione complicata»: sono i protagonisti di Cuori nascosti. Storie emozionanti di matti, carcerati, barboni, ragazzacci e altri invisibili eroi, nuovo libro di Michele Capitani pubblicato da Prospettiva editrice. Dopo i precedenti sui senza dimora – Romanzi non scritti. Drammi e salvezza nelle storie dei senza fissa dimora (Dehoniane) e L’uomo che dribblava i treni. Storie di una umanità senza dimora (Paoline), tradotto anche in spagnolo –, questo volume di racconti affronta le marginalità ad ampio raggio che l’autore conosce da vicino, essendo volontario della Comunità di Sant’Egidio con i senza dimora a Civitavecchia e professore di lettere nei Cpia (Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, carceri incluse). Su questi temi Capitani ha ideato e tiene mensilmente, da alcuni anni, la rubrica “I racconti dei sopravvissuti” nel blog Spaziolibero.
Non si ascolta impunemente, perché tutti c’entriamo con tutti
«Scrivo per far conoscere i terribili margini dell’esistenza, confini apparentemente remoti ma in realtà compenetrati alla “nostra” città visibile e benestante; ma scrivo anche per far conoscere la forza e la luce formidabile che un individuo può trarre dentro di sé, da solo o con l’aiuto di altri, che lascia risuonare e moltiplicare quella luce. Scrivo anche per tentare di migliorare un po’ il mondo e il tempo in cui abbiamo in sorte di esistere, dato che il villaggio globale è sempre compenetrato al disagio globale: non si ascolta impunemente, perché tutti c’entriamo con tutti», spiega l’autore. Fra le pagine si trovano le vicende di «ragazze-madri in fuga, immigrati in difficoltà, matti ospitati in case-famiglia (e non), persone senza dimora, tossici, carcerati, adolescenti difficili; insomma, i poveri, gli zozzi, i periferici. Ma anche, più semplicemente, persone che vogliono riscattarsi dalla dolorosa esclusione dalla scuola che subirono in passato, le quali da adulte vogliono cessare di essere marginali anche a sé stesse, e tornano sui banchi». Come Mirella, Annamaria, Viviana, Beatrice, «che hanno ripreso in mano la propria vita tornando a scuola da adulte, combattendo contro una famiglia (padri, madri, figli, mariti…) che le aveva allontanate dalla scuola in troppo giovane età e che finalmente riescono a riprendere con la passione la propria strada, per fare giustizia innanzitutto verso sé stesse».
Dare voce a chi non ha le parole giuste
Si scrive, spiega Capitani, «per dar voce a chi è troppo lontano dal benessere e dalla rete, dalla salute e dalla stabilità: a chi non ha le parole giuste, a chi è scomodo da ascoltare, a chi si sente inascoltato. Perché la storia dei marginali non la scrivono i marginali. Si racconta, in fin dei conti, soprattutto per chi non può farlo». E nell’introduzione la scrittrice Tea Ranno rimarca come l’autore nel libro «spalanca mondi sconosciuti e quasi irraggiungibili, ci apre le porte per le città invisibili eppure compenetrate a quelle dove viviamo quotidianamente: il mondo parallelo del carcere, i matti e le loro emozioni, le vite di adolescenti difficili, l’universo dei senza dimora, le odissee degli immigrati, ma anche altri: per esempio le donne a cui l’istruzione venne negata da bambine, e che tornano da scuola da adulte combattendo contro tutti».
Restituire visibilità, e dignità
Nella serale per adulti – riferisce Capitani – «gli alunni vanno dai sedici anni fino ai millanta; gli italiani di rado sono la maggioranza, poiché gli stranieri non hanno un titolo italiano, e spesso poca padronanza della lingua; si fa lezione soprattutto il pomeriggio, per facilitare chi lavora la mattina; non dura anni e anni, anche perché a un adulto che ha tirato su una famiglia o un’azienda non vanno insegnate le stesse cose che a un ragazzino; al contrario: ci sarà da valorizzare ciò che già sa, e ciò che sa fare. E, come mi è successo varie volte, capita di insegnare a un ragazzo, e l’anno dopo al genitore, o anche contemporaneamente». Mentre in carcere la scuola serve per spingere i detenuti «a pensare sé stessi in prospettiva, e a considerarsi differenti da com’erano prima, a stimolarli affinché il tempo della pena non sia sinonimo di tempo sprecato». Dietro le sbarre, infatti, «l’apprendimento non può essere solo passivo e tranquillizzante, al contrario: contempla sempre il rischio di trovarsi di fronte a una messa in crisi, a difficoltà impreviste, a spunti spinosi, a stimoli scomodi, poiché una volta in classe non si può rimanere nella propria cella interiore, in cui ci si illude di sopravvivere indisturbati». Pagine che svelano i vissuti di persone invisibili, restituendo loro non solo visibilità ma soprattutto dignità.
——————————————–
Cuori nascosti
Storie emozionanti di matti, carcerati, barboni, ragazzacci e altri invisibili eroi
Michele Capitani
Prospettiva editrice, 2024
pp. 230, € 16