DALLA GIUSTIZIA MINORILE AL VOTO IN CONDOTTA

Gli adulti sono sempre più in difficoltà di fronte a comportamenti adolescenziali problematici. Quali strumenti per soluzioni educative e responsabilizzanti? Giustizia minorile e scuola a confronto in un incontro di Antimafia Pop Academy

di Ermanno Giuca

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Invochiamo il carcere a vita per un adolescente che ha commesso un reato grave ma ci preoccupiamo meno di conoscere chi, a 17 anni, gli ha fornito, a poco prezzo, un’arma letale. Perché per noi adulti è più semplice condannare l’ultima pedina di una filiera complessa rispetto al sistema malato stesso, intriso di criminalità organizzata e denaro immesso nell’economia reale, complice l’indifferenza di molti.

Il rapporto tra legalità, contrasto alla mafie ed educazione dei più giovani è un tema caro ad ÀP – Antimafia Pop Academy che proprio all’interno di un Istituto tecnico commerciale di Roma sud, è impegnata a contrastare povertà educativa e abbandono scolastico di tante ragazze e ragazzi dei quartieri limitrofi. Il ciclo di incontri Conversazioni. Coordinate sgrammaticate di democrazia, format proposto dall’Accademia popolare antimafia per interrogarsi sui conflitti dell’oggi, non poteva che aprirsi con un dibattito sui recenti episodi di criminalità minorile che stanno investendo città come Napoli e Bari, ma non solo.

accademia popolare antimafia
Il ciclo di incontri Conversazioni. Coordinate sgrammaticate di democrazia proposto dall’Accademia popolare antimafia ha preso il via a partire dai recenti episodi di criminalità minorile di Napoli e Bari, ma non solo

Cuzzocrea: «Negli ultimi 20 anni esito positivo per l’85% dei progetti di messa alla prova»

Una semplice – per così dire – domanda di partenza: di chi è la colpa di ciò che sta accadendo? Da una parte le famiglie, vittime di questa violenza perpetuata alla luce del sole; dall’altra i sedicenti “carnefici”, adolescenti burattini delle organizzazioni criminali del territorio. Una volta compiuti i tragici fatti diventano entrambi attori del “processo penale minorile”, istituito nel 1988 per risolvere il problema della devianza minorile con interventi rieducativi che non interrompessero il processo educativo della ragazza e del ragazzo artefici di reato. «Tra i principi che guidavano il processo e che puntavano a far riconoscere al giovane le proprie responsabilità, è stata prevista la messa alla prova, ovvero la possibilità di sospendere il processo a seguito del riconoscimento dell’azione compiuta, cucendo sul giovane un progetto educativo in collaborazione con i servizi di giustizia, scuola e territorio» spiega Vera Cuzzocrea, psicologa giuridica e Giudice onoraria presso il Tribunale per i Minorenni di Roma. «Nonostante la sfiducia comune verso questo tipo di approccio – continua la giurista – i dati della giustizia parlano chiaro: negli ultimi 20 anni l’85% dei progetti di messa alla prova hanno restituito esito positivo, con un 15% che non è andato a buon fine perché, il più delle volte, il progetto non è stato costruito su misura. Il Decreto Caivano, introdotto recentemente dal Governo, oggi ostacola fortemente questo processo rieducativo, limitando di fatto, i reati per cui è possibile ricorrere alla messa alla prova. Sposta l’asse del processo dalla “personalità” del giovane coinvolto, al “comportamento” del reato commesso».

Un’onda emotiva ghettizzante che non contrasta il fenomeno

Il decreto-legge 15 settembre 2023 n. 123, conosciuto come Decreto Caivano per via degli eventi di micro-criminalità che hanno interessato la cittadina campana, è stato approvato per contrastare in maniera più incisiva i fenomeni di devianza giovanile, introducendo provvedimenti più repressivi come il DASPO urbano unito ad un inasprimento delle pene per i minori autori di reato. Riforme che per molti giudici come Cuzzocrea, sono frutto di un’onda emotiva che, invece di combattere questi fenomeni, rischia di marginalizzare e ghettizzare ancor più queste ragazze e ragazzi coinvolti, compromettendo il principio educativo su cui si fonda lo stesso processo. «Anche per i minori aumenta il ricorso al carcere – continua Cuzzocrea – e non è una sorpresa, poi, che questo porti a frequenti risse all’interno delle celle per via del sovraffollamento. Con 17 istituti penali per minorenni e circa 80 uffici di servizio sociale minorile è ovvio che il senso della giustizia italiana e del processo minorile non è quello della reclusione bensì quello dell’accompagnamento alla responsabilizzazione. La risposta serve, deve essere ferma e decisa, ma deve anche restituire senso».

Antimafia Pop Academy
Mosiello: «Comprendere gli aspetti problematici degli adolescenti presuppone tempo e ascolto»

Mosiello: «La scuola deve essere includente, trattare i problemi, non metterli a distanza»

Ferma deve essere anche la posizione degli adulti, dai genitori agli insegnanti, chiamati a partecipare a questo processo educativo e a “fare gli adulti”. «Comprendere gli aspetti problematici degli adolescenti presuppone tempo e ascolto» dice Francesca Mosiello psicoterapeuta e mediatrice esperta di pratiche riparative. «Anziché reagire impulsivamente con punizioni che rischiano di essere vuote di significato, gli adulti devono saper riconoscere e gestire le proprie emozioni (rabbia, paura, impotenza) per offrire una risposta educativa efficace. Gli adolescenti, attraverso i loro comportamenti, comunicano disagi e bisogni, e il compito di noi adulti è aiutarli a comprendere e decodificare ciò che stanno vivendo. Ho seguito la vicenda di un ragazzo che è stato sospeso per un mese da scuola perché trovato a consumare sostanze più pesanti dell’hashish. Ho detto al consiglio di istituto: fermi tutti, voi vi accorgete che un minorenne fa uso di queste droghe e la scuola che fa, lo lascia a casa per un mese? Dobbiamo parlare di questo, la scuola deve essere includente, deve trattare i problemi, non metterli a distanza». Davanti a questi episodi di difficile comprensione, la sfida è convivere con il disordine di chi vive una fase evolutiva in cui i comportamenti sono scollegati dalla ragione; è uscendo fuori da questa cornice che sarà più semplice trovare delle soluzioni. Vale per la Giustizia che interviene sull’accaduto ma anche e soprattutto per la scuola che quel drammatico agito è chiamato a prevenirlo. Nessun passo indietro su una ferma punizione che faccia comprendere il danno causato ma qualora quest’ultima fosse scollegata da un percorso di senso per la ragazza o il ragazzo coinvolti, il rischio è accontentarsi di una vendetta che, forse, neanche consola. I prossimi appuntamenti di Conversazioni. Coordinate sgrammaticate di democrazia a questo link.

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