di Laura Badaracchi
15 Marzo 2025
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Secondo il Ministero della salute, in Italia oggi oltre 3,5 milioni di persone soffrono di disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (Dna), di cui il 90% donne e il 70% minori. Più di 300 mila bambini presentano sintomi correlati, con un’età media di insorgenza a 12 anni e un aumento dei casi tra gli 8 e gli 11 anni. All’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma il Centro per l’anoressia e disturbi alimentari – operativo nell’Unità operativa complessa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza diretta dal professor Stefano Vicari, che nel suo ultimo volume Adolescenti interrotti (Feltrinelli) dedica un capitolo ai disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, “Quando il cibo sembra il nemico”– dal 2019 a oggi ha registrato un aumento di circa il 64% delle diagnosi annuali per Dna, annoverando lo scorso anno 230 nuove diagnosi di Dna e 2.500 day hospital. Ma le storie di chi ce l’ha fatta a guarire non mancano ed è positivo rilanciarle proprio il 15 marzo, Giornata nazionale del fiocchetto lilla dedicata ai DCA, i disturbi del comportamento alimentare.
La dottoressa Martina Benenati, quasi 29enne, sta seguendo a Roma un master per curare sempre meglio le persone con Dna. E da oltre un anno e mezzo è volontaria presso il servizio “La casa dell’amore” ad Alcamo, nato dalla volontà della diocesi di Trapani di creare una rete gratuita (numero dedicato 338/1770795) per chi soffre di DCA, i disturbi del comportamento alimentare. «Ho deciso di partecipare al progetto come medico, ma anche e soprattutto per portare la mia esperienza. All’età di 15 anni ho cominciato a soffrire di un disturbo che io stessa stentavo a capire, una dipendenza, in questo caso dal “non fare” qualcosa: mangiare. Il controllo dell’alimentazione è un sintomo da cui è difficile distaccarsi: si creano continui schemi in cui qualsiasi cosa, oltre che il cibo, finisce per il confrontarsi con la rigida dicotomia del fare/non fare, essere/non essere, amarsi/non amarsi, facendo inconsapevolmente vincere sempre la negazione», racconta. «Il mio percorso di ripresa è durato anni ed è avvenuto grazie al sostegno della mia famiglia e di Antonella Pugliesi che, oltre ad essere un’eccellente dietista, ha l’empatia necessaria per non lasciarti sola a ogni caduta e, anzi, rialzarsi con te. Superare i Dca, fisicamente e mentalmente, richiede una dose estrema di forza di volontà e soprattutto di amore. Quando amarsi diventa qualcosa di non praticabile, è fondamentale ricevere quell’amore e ricordarsi di poterlo anche dare». Spesso Martina ricorda ai pazienti che la sua personale vittoria «è stata quella di riuscire a concentrare tutto l’amore che non avevo per me stessa nei confronti della mia famiglia, e da lì ricominciare – se non per me stessa – per loro. Dopo aver toccato il fondo ho ripreso in mano la mia vita, superando completamente l’anoressia. Far parte del progetto come medico volontario è un traguardo che non avrei mai pensato di superare, un’immensa gioia e speranza di essere d’aiuto a ogni incontro individuale e di gruppo».
Anche la 21enne Margherita Vaccari – in libreria con Un filo sospeso. La mia guerra vinta contro l’anoressia (Edizioni San Paolo) – dice di essersi ammalata di anoressia nervosa. «Ho scritto la mia esperienza per aiutare coloro che stanno vivendo la stessa situazione. I disturbi alimentari sono la conseguenza, non la causa del problema. Sono riuscita a superarli soprattutto grazie al supporto e aiuto dei medici durante l’ultimo ricovero in una comunità, in cui c’erano molte attività psicoterapeutiche addirittura con il cibo o l’attività fisica, e soprattutto i medici davano più valore al mio benessere mentale anziché al mio fisico e peso, in modo che potessi ritrovare interessi nella vita e capire la sua bellezza». Altro grande punto di forza è stato il sostegno «da parte dei miei famigliari, soprattutto di mia madre, e delle amiche. Due eventi mi hanno fatto cambiare idea e decidere di guarire: il mio primo permesso a casa durante l’ultimo ricovero, in cui ho incontrato le mie amiche e mi raccontavano della loro vita, rendendomi conto che io già da un anno ero ricoverata e da 3 soffrivo di anoressia, quindi non mi stavo godendo della mia adolescenza né avendo le esperienze tipiche. Il secondo fatto è stato un commento di mia madre, quando insieme a lei sono andata a trovare mia nonna 80enne che soffre già da una decina di anni di Alzheimer; non la vedevo da oltre un anno e rimasi stupita dai suoi occhi lucidi e dal suo sguardo completamente perso. Quando l’ho detto a mia madre, ha replicato: “Sia il tuo sguardo sia i tuoi occhi ora sono come i suoi”. Questa frase me la sono ripetuta più volte durante il mio percorso: sono stata paragonata a un’anziana mentre ero nel pieno della giovinezza e non volevo più avere quegli occhi, quello sguardo così malato». Nel volume la protagonista, alter ego di Margherita, si chiama Emma: «Ho deciso di raccontare la mia storia in terza persona prima di tutto per un aspetto letterario, nel senso che mi sembrava più bello e intraprendente; inoltre non sapevo inizialmente se avrei voluto o no rivelare che questa storia fosse mia, cosa che alla fine ho fatto nell’epilogo». A coloro che soffrono di Dca «e che hanno paura di affrontare questo disturbo vorrei dire: non abbiate paura della vita, bellissima e piena di gioie; invece questo disturbo distrugge pian piano, non è un amico ma un cattivissimo nemico che fa vedere tutto nero e non fa apprezzare nulla. Piangere davanti a un piatto, fare attività fisica fino a svenire, avere in testa solo il pensiero del cibo non è vivere! Siate forti e non perdete mai le speranze».
Concorda Angela Russo, 31 anni, fondatrice nel 2018 dell’associazione Mollichina Lilla (Briciole di vita) per aiutare altre persone con DCA: «A 6 anni ho cominciato con il binge eating, le abbuffate, durate per 3 anni mentre subivo abusi da un amico di famiglia; mi sentivo colpevole e non l’ho detto a nessuno. Da adolescente sono diventata bulimica e autolesionista, a 18 anni anoressica fino a pesare 18 chili e desiderare di morire. Nel 2016 il ricovero di due mesi in una comunità terapeutica, dove finalmente mi sono sentita accolta e capita. Ho proseguito il mio percorso in un centro diurno e tuttora continuo un percorso psicologico. Sto affrontando la mia crescita personale e pensando al mio futuro lavorativo; intanto cerco di ricostruire le mie radici, i rapporti e i legami familiari: un laccio che non lega. Per fortuna ho imparato a volermi bene».
Finora sono 214 le strutture sul territorio nazionale, tra centri di cura e associazioni che si occupano di Dna, censite sulla piattaforma disturbi alimentari dell’Istituto superiore di sanità: 34 in più rispetto alla rilevazione di ottobre 2024. La mappatura a febbraio contava 132 centri del Servizio sanitario nazionale, 32 del privato accreditato convenzionato e 50 associazioni. Ben 79 si trovano al Nord, 34 al Centro e 51 tra Sud e Isole. La maggioranza dei centri di cura è strutturata per prendere in carico persone dai 13 ai 45 anni, ma il 51% afferma di poter prendere in carico anche ragazze e ragazzi tra 7 e 12 anni, il 21% bambini di 6 anni o meno e il 76% anche chi ha più di 45 anni. Rispetto alla modalità di accesso per la prima visita, nel 48% dei servizi è necessaria la prenotazione al Cup o la richiesta Ssn, ma nel 32% dei casi la modalità di accesso è libera e senza impegnativa. Nelle équipe multidisciplinari le figure prevalenti sono psicologi, psichiatri o neuropsichiatri infantili, dietisti e infermieri. Il 41% dei centri ha posti letto per minori e adulti dedicati esclusivamente ai Dna. Delle 50 associazioni – composte da familiari per il 90%, da cittadini volontari per il 68%, da volontari professionisti per il 56% e da persone con Dna per il 30% –, 32 sono al Nord, 10 al Centro e 8 tra Sud e Isole; il 78% collabora con i centri afferenti al Ssn e nella metà dei casi i volontari sono appositamente formati. Fra i servizi, interventi di prevenzione e promozione della salute, gruppi di auto mutuo aiuto per familiari e attività formative; nel 60% dei casi è disponibile uno sportello d’ascolto, nel 12% viene fornita assistenza anche con un telefono verde e nel 6% è prevista attività domiciliare. Tra i destinatari dei servizi erogati i familiari, i cittadini e le persone con Dna, ma anche scuole e associazioni sportive.
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