DCA: OLTRE I DATI IN AUMENTO. STORIE DI RESISTENZA E RIVINCITA

Nella Giornata del fiocchetto lilla 2025 vogliamo portare la voce di chi è riuscito a riprendersi la propria vita. L'incidenza dei DCA aumenta, i dati preoccupano e l'età si abbassa, ma quelle di Martina, Margherita, Angela sono solo alcune delle storie di sopravvivenza e rivincita

di Laura Badaracchi

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Secondo il Ministero della salute, in Italia oggi oltre 3,5 milioni di persone soffrono di disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (Dna), di cui il 90% donne e il 70% minori. Più di 300 mila bambini presentano sintomi correlati, con un’età media di insorgenza a 12 anni e un aumento dei casi tra gli 8 e gli 11 anni. All’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma il Centro per l’anoressia e disturbi alimentari – operativo nell’Unità operativa complessa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza diretta dal professor Stefano Vicari, che nel suo ultimo volume Adolescenti interrotti (Feltrinelli) dedica un capitolo ai disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, “Quando il cibo sembra il nemico”– dal 2019 a oggi ha registrato un aumento di circa il 64% delle diagnosi annuali per Dna, annoverando lo scorso anno 230 nuove diagnosi di Dna e 2.500 day hospital. Ma le storie di chi ce l’ha fatta a guarire non mancano ed è positivo rilanciarle proprio il 15 marzo, Giornata nazionale del fiocchetto lilla dedicata ai DCA, i disturbi del comportamento alimentare.

DCA
Martina è volontaria presso il servizio “La casa dell’amore” ad Alcamo, nato per creare una rete gratuita per chi soffre di DCA

Martina. Ero un’adolescente anoressica, oggi sono un medico

La dottoressa Martina Benenati, quasi 29enne, sta seguendo a Roma un master per curare sempre meglio le persone con Dna. E da oltre un anno e mezzo è volontaria presso il servizio “La casa dell’amore” ad Alcamo, nato dalla volontà della diocesi di Trapani di creare una rete gratuita (numero dedicato 338/1770795) per chi soffre di DCA, i disturbi del comportamento alimentare. «Ho deciso di partecipare al progetto come medico, ma anche e soprattutto per portare la mia esperienza. All’età di 15 anni ho cominciato a soffrire di un disturbo che io stessa stentavo a capire, una dipendenza, in questo caso dal “non fare” qualcosa: mangiare. Il controllo dell’alimentazione è un sintomo da cui è difficile distaccarsi: si creano continui schemi in cui qualsiasi cosa, oltre che il cibo, finisce per il confrontarsi con la rigida dicotomia del fare/non fare, essere/non essere, amarsi/non amarsi, facendo inconsapevolmente vincere sempre la negazione», racconta. «Il mio percorso di ripresa è durato anni ed è avvenuto grazie al sostegno della mia famiglia e di Antonella Pugliesi che, oltre ad essere un’eccellente dietista, ha l’empatia necessaria per non lasciarti sola a ogni caduta e, anzi, rialzarsi con te. Superare i Dca, fisicamente e mentalmente, richiede una dose estrema di forza di volontà e soprattutto di amore. Quando amarsi diventa qualcosa di non praticabile, è fondamentale ricevere quell’amore e ricordarsi di poterlo anche dare». Spesso Martina ricorda ai pazienti che la sua personale vittoria «è stata quella di riuscire a concentrare tutto l’amore che non avevo per me stessa nei confronti della mia famiglia, e da lì ricominciare – se non per me stessa – per loro. Dopo aver toccato il fondo ho ripreso in mano la mia vita, superando completamente l’anoressia. Far parte del progetto come medico volontario è un traguardo che non avrei mai pensato di superare, un’immensa gioia e speranza di essere d’aiuto a ogni incontro individuale e di gruppo».

dca
Margherita: «A coloro che soffrono di DCA vorrei dire: non abbiate paura della vita, bellissima e piena di gioie. Piangere davanti a un piatto, fare attività fisica fino a svenire, avere in testa solo il pensiero del cibo non è vivere!»

Margherita. «Non volevo più avere quegli occhi»

Anche la 21enne Margherita Vaccari – in libreria con Un filo sospeso. La mia guerra vinta contro l’anoressia (Edizioni San Paolo) – dice di essersi ammalata di anoressia nervosa. «Ho scritto la mia esperienza per aiutare coloro che stanno vivendo la stessa situazione. I disturbi alimentari sono la conseguenza, non la causa del problema. Sono riuscita a superarli soprattutto grazie al supporto e aiuto dei medici durante l’ultimo ricovero in una comunità, in cui c’erano molte attività psicoterapeutiche addirittura con il cibo o l’attività fisica, e soprattutto i medici davano più valore al mio benessere mentale anziché al mio fisico e peso, in modo che potessi ritrovare interessi nella vita e capire la sua bellezza». Altro grande punto di forza è stato il sostegno «da parte dei miei famigliari, soprattutto di mia madre, e delle amiche. Due eventi mi hanno fatto cambiare idea e decidere di guarire: il mio primo permesso a casa durante l’ultimo ricovero, in cui ho incontrato le mie amiche e mi raccontavano della loro vita, rendendomi conto che io già da un anno ero ricoverata e da 3 soffrivo di anoressia, quindi non mi stavo godendo della mia adolescenza né avendo le esperienze tipiche. Il secondo fatto è stato un commento di mia madre, quando insieme a lei sono andata a trovare mia nonna 80enne che soffre già da una decina di anni di Alzheimer; non la vedevo da oltre un anno e rimasi stupita dai suoi occhi lucidi e dal suo sguardo completamente perso. Quando l’ho detto a mia madre, ha replicato: “Sia il tuo sguardo sia i tuoi occhi ora sono come i suoi”. Questa frase me la sono ripetuta più volte durante il mio percorso: sono stata paragonata a un’anziana mentre ero nel pieno della giovinezza e non volevo più avere quegli occhi, quello sguardo così malato». Nel volume la protagonista, alter ego di Margherita, si chiama Emma: «Ho deciso di raccontare la mia storia in terza persona prima di tutto per un aspetto letterario, nel senso che mi sembrava più bello e intraprendente; inoltre non sapevo inizialmente se avrei voluto o no rivelare che questa storia fosse mia, cosa che alla fine ho fatto nell’epilogo». A coloro che soffrono di Dca «e che hanno paura di affrontare questo disturbo vorrei dire: non abbiate paura della vita, bellissima e piena di gioie; invece questo disturbo distrugge pian piano, non è un amico ma un cattivissimo nemico che fa vedere tutto nero e non fa apprezzare nulla. Piangere davanti a un piatto, fare attività fisica fino a svenire, avere in testa solo il pensiero del cibo non è vivere! Siate forti e non perdete mai le speranze».

Angela. «Per fortuna ho imparato a volermi bene»

Concorda Angela Russo, 31 anni, fondatrice nel 2018 dell’associazione Mollichina Lilla (Briciole di vita) per aiutare altre persone con DCA: «A 6 anni ho cominciato con il binge eating, le abbuffate, durate per 3 anni mentre subivo abusi da un amico di famiglia; mi sentivo colpevole e non l’ho detto a nessuno. Da adolescente sono diventata bulimica e autolesionista, a 18 anni anoressica fino a pesare 18 chili e desiderare di morire. Nel 2016 il ricovero di due mesi in una comunità terapeutica, dove finalmente mi sono sentita accolta e capita. Ho proseguito il mio percorso in un centro diurno e tuttora continuo un percorso psicologico. Sto affrontando la mia crescita personale e pensando al mio futuro lavorativo; intanto cerco di ricostruire le mie radici, i rapporti e i legami familiari: un laccio che non lega. Per fortuna ho imparato a volermi bene».

DCA: in aumento centri di cura e associazioni sul territorio

Finora sono 214 le strutture sul territorio nazionale, tra centri di cura e associazioni che si occupano di Dna, censite sulla piattaforma disturbi alimentari dell’Istituto superiore di sanità: 34 in più rispetto alla rilevazione di ottobre 2024. La mappatura a febbraio contava 132 centri del Servizio sanitario nazionale, 32 del privato accreditato convenzionato e 50 associazioni. Ben 79 si trovano al Nord, 34 al Centro e 51 tra Sud e Isole. La maggioranza dei centri di cura è strutturata per prendere in carico persone dai 13 ai 45 anni, ma il 51% afferma di poter prendere in carico anche ragazze e ragazzi tra 7 e 12 anni, il 21% bambini di 6 anni o meno e il 76% anche chi ha più di 45 anni. Rispetto alla modalità di accesso per la prima visita, nel 48% dei servizi è necessaria la prenotazione al Cup o la richiesta Ssn, ma nel 32% dei casi la modalità di accesso è libera e senza impegnativa. Nelle équipe multidisciplinari le figure prevalenti sono psicologi, psichiatri o neuropsichiatri infantili, dietisti e infermieri. Il 41% dei centri ha posti letto per minori e adulti dedicati esclusivamente ai Dna. Delle 50 associazioni – composte da familiari per il 90%, da cittadini volontari per il 68%, da volontari professionisti per il 56% e da persone con Dna per il 30% –, 32 sono al Nord, 10 al Centro e 8 tra Sud e Isole; il 78% collabora con i centri afferenti al Ssn e nella metà dei casi i volontari sono appositamente formati. Fra i servizi, interventi di prevenzione e promozione della salute, gruppi di auto mutuo aiuto per familiari e attività formative; nel 60% dei casi è disponibile uno sportello d’ascolto, nel 12% viene fornita assistenza anche con un telefono verde e nel 6% è prevista attività domiciliare. Tra i destinatari dei servizi erogati i familiari, i cittadini e le persone con Dna, ma anche scuole e associazioni sportive.

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