
DECRETO ALBANIA: GJADER, UN LABORATORIO DI DISUMANITÀ
L’11 aprile sono arrivati nel centro di Gjader, in Albania, i primi migranti che, in base al nuovo Decreto Albania, possono essere trattenuti nel centro. Francesco Ferri, ActionAid: «È inaudito che il governo abbia continuato a sviluppare un progetto già pesantemente smentito dai giudici»
17 Aprile 2025
6 MINUTI di lettura
ASCOLTA L'ARTICOLO
Venerdì 11 aprile sono arrivati nel centro di Gjader, in Albania, i primi migranti che, in base al nuovo Decreto Albania, possono essere trattenute nel centro. Chi era presente ha parlato di una situazione molto dura, di persone con la testa bassa, le mani giunte, ammanettate, seppur con delle fascette. Il centro di Gjader dal 28 marzo può “ospitare” anche persone trattenute nei Cpr italiani grazie al nuovo Decreto Albania con cui il governo punta a trasformare i centri per i migranti sul territorio albanese in Cpr, Centri di permanenza e rimpatrio per i migranti. Da centri che dovevano trattenere le persone che venivano salvate in operazioni di soccorso in mare sono diventati luoghi dove – in teoria – il cittadino straniero può essere trattenuto in attesa di provvedimenti di espulsione. «Si sta sprofondando sempre più verso il basso», ha commentato Alice Basiglini di Baobab Experience. «Rimaniamo scettici quando tendiamo, come se fosse una specie di gioco, a far notare non tanto quanto questa situazione sia disumana, ma fallimentare. Certa informazione tende a prendere in giro il governo per il fallimento di questo progetto, come se potessimo gioire che sia fallito, ma è la decisione in sé ad essere disumana, patologica, a prescindere dall’essere o meno funzionale. Siamo scettici su questi sistemi utilizzati come laboratorio di disumanità progressiva, sul fatto che siano riconvertiti, ma non che diventino dei Cpr, perché ce li abbiamo in casa, a Ponte Galeria e in luoghi volutamente nascosti. Prigioni, aree militari controllate. E dentro ragazzi che non hanno commesso alcun tipo di reato. La dislocazione in Albania rende ancora più difficile quello che era già qui».

Sviluppare un progetto già smentito dalla magistratura
«È inaudito che il governo abbia continuato a sviluppare un progetto già pesantemente smentito dai giudici», sottolinea Francesco Ferri di ActionAid, che è appena stato a Gjader, in Albania. «Il giudizio della magistratura era piuttosto chiaro ed è pericoloso che il governo abbia deciso di piegare il modello e riadattarlo alle sue esigenze pur di non riconoscere un errore di valutazione giuridica e politica molto evidente. Piuttosto che fare un passo indietro e dismettere i centri hanno scelto di indirizzare in questo posto soggetti diversi. Il Cpr era nato per gestire il flusso delle persone salvate in mare, ma la magistratura ha ritenuto che il trattenimento dei richiedenti asilo dovesse cessare e le persone dovessero essere liberate perché il perimetro era al di fuori di quello della direttiva», spiega Ferri. «Ha ritenuto che il trattenimento non fosse compatibile alla luce del diritto dell’UE. L’intervento della magistratura italiana ha aperto la strada all’intervento della Corte di giustizia dell’UE che si pronuncerà a maggio e chiuderà la questione». Ma il nuovo progetto Albania è sbagliato anche per un altro motivo. «Anche se dovessimo metterci dal punto di vista del governo, questo progetto non raggiunge l’obiettivo», spiega Ferri. «Le persone per essere rimpatriate dovrebbero tornare in Italia. Questa scelta allora non semplifica il rimpatrio, è soltanto una doppia punizione per le persone: non sono solo trattenute, ma trattenute al di fuori del loro Paese».
La grande invenzione della migrazione
Con il DL n. 37/2025 il Governo italiano ha deciso di trasferire in Albania persone straniere già trattenute nei Cpr italiani in attesa di rimpatrio senza alcuna giustificazione. Se non, a quanto pare, rimediare al flop del Protocollo con l’Albania. La sensazione è che sia un errore che rimedia a un altro errore, un’operazione mediatica. «È quello che questo governo fa sin dall’inizio», commenta Alice Basiglini. «Fa parte della grande invenzione della migrazione. Da più di 10 anni stiamo parlando della percezione della migrazione: non c’è nessun pericolo, nessun rischio, nessuna emergenza, ma il governo parla di questo. Mediaticamente far vedere l’immagine di questi disgraziati, ammanettati, che vengono portati fuori dai confini nazionali, con l’Italia che si è liberata da questi “carichi residuali”, come li ha chiamati Piantedosi, è un’immagine di successo per l’elettorato di questo governo, l’immagine di una politica che ha saputo battere i pugni nei confronti di queste persone».

Le persone ammanettate, una scena agghiacciante
Anche l’idea di ammanettare le persone portate in Albania può far parte della messa in scena. I racconti di queste persone portate dentro questo duro blocco di cemento sperduto nel nulla, con le fascette che tenevano fermi i loro polsi, è di quelle cha non lasciano indifferenti. «È stata una scena agghiacciante», ha commentato Francesco Ferri. «Eravamo all’interno del porto insieme all’onorevole Strada. E abbiamo visto le persone portate giù dall’imbarcazione. Quando abbiamo visto le mani giunte con le fascette eravamo davvero raggelati. Non c’è nessuna motivazione. Il contenimento dovrebbe avvenire soltanto quando funzionale per prevenire un rischio dichiarato, come un problema di ordine pubblico durante il trasferimento. Le autorità stesse non hanno spiegato l’uso delle fascette. È soltanto un modo per mettere in scena il volto feroce del governo, mostrare immagini alle quali le destre globali ci hanno abituato in altri contesti». Ma qualcosa sembra essere cambiato in questo secondo capitolo di questa brutta storia dell’Albania. «Si viveva un’atmosfera di tensione maggiore, da parte del personale e delle forze dell’ordine, rispetto a quella che abbiamo riscontrato le altre volte», ci racconta Ferri. «Come se, prima, il fatto che le persone fossero richiedenti asilo e non in attesa di espulsione alleggerisse il clima di chi gestisce il centro. E poi c’è la dimensione dell’opacità. Le altre volte circolavano più informazioni da parte dell’autorità, era molto più chiaro il quadro di tempi, modi e forme. Anche le parlamentari denunciano una mancata restituzione di informazioni sulle condizioni di chi è trattenuto».
Il diverso trattamento tra migranti e non migranti
Anche la via d’uscita da questa situazione, a livello legale, stavolta appare più complicata. «La prospettiva è diversa rispetto ai casi precedenti», ci spiega Ferri. «Con il trasferimento delle persone salvate via mare le vicende sono state collettive. In questo caso sono tutte vicende individuali, ogni persona ha termini propri di durata del trattenimento, che è più lungo, fino a 18 mesi. E se le persone verranno liberate o no dipenderà dalle circostanze soggettive». L’idea è che stavolta sarà tutto più duro da risolvere. «La situazione sarà molto più complicata» commenta Alice Basiglini. «Sarà fisicamente più difficile raggiungere queste persone. Già adesso è complicato per gli avvocati seguire e fornire la documentazione per un assistito che fino a poco tempo prima non sanno neanche chi fosse. E ora è in Albania. Ma il trasferimento crea un’ulteriore divaricazione di trattamento tra migranti e non. Già è stato previsto uno schema che vale solo per i migranti, la detenzione amministrativa, ora è anche fuori dal territorio nazionale. E tutto si lega con il decreto sicurezza, che ha abolito la libertà di manifestare i diritti. Tutto quello che abbiamo saputo dei Cpr è stato attraverso le proteste dei detenuti. E questa cosa è stata messa a tacere».
Immagini Francesco Ferri
