DIDATTICA A DISTANZA: DOPO UN ANNO LA PROMUOVONO SOLO 3 ITALIANI SU 10
Così emerge dal sondaggio Demopolis per Con I Bambini. Tanti i nodi irrisolti, ma per il 70% si può ripartire dall'estate, con le scuole aperte al territorio
30 Marzo 2021
Da metà marzo oltre 7 milioni di studenti sono rimasti a casa, riprendendo la didattica a distanza. Ma oltre 5 milioni di ragazzi e ragazze in DAD c’erano già da tempo. Ad un anno dal suo avvio quello della didattica a distanza resta un tema che divide gli italiani. In questo ultimo anno, infatti, la promuovono appena 3 su 10. È quanto emerge dall’indagine condotta nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile per l’impresa sociale Con i Bambini dall’Istituto Demopolis, che ha analizzato l’evoluzione, la percezione, il futuro della didattica a distanza nella valutazione degli italiani, con un’attenzione particolare ai genitori di bambini e ragazzi tra i 5 e i 17 anni, agli insegnanti, agli operatori del terzo settore. Realizzato tra il 23 ed il 26 Marzo scorso su un campione di oltre 2mila intervistati, il sondaggio dà voce alle esperienze di chi della DAD è stato coprotagonista, con una parte conclusiva dedicata alle opinioni degli italiani sulla proposta del Ministro dell’Istruzione Bianchi di una scuola che diventi spazio aperto nel mese di luglio.
Didattica a distanza: (alcuni) dei tanti nodi irrisolti
In generale il sondaggio rileva alcuni aspetti positivi della didattica a distanza: viene oggi riconosciuta dalle famiglie una miglior organizzazione rispetto all’improvvisazione della prima fase emergenziale ((lo pensa il 67% degli intervistati); il 57% del campione, la maggioranza, attribuisce alla DAD il merito di aver migliorato le competenze tecnologiche dei ragazzi.
Restano, tuttavia, molti nodi irrisolti: due genitori su tre rilevano, soprattutto nella scuola primaria, una durata dei collegamenti poco congrua rispetto alla normale durata dell’orario scolastico; il 73% evidenza il problema della distrazione degli studenti durante le lezioni online; il 63% la sottovalutazione delle condizioni di vita e della complessa situazione emotiva che i ragazzi stanno vivendo; il 51% la scarsa dotazione tecnologica delle case, soprattutto per le famiglie con più figli in età scolare; il 39% degli intervistati evidenzia l’eccessivo impegno richiesto a famiglie e genitori, dato che lievita al 61% tra i genitori che hanno figli oggi alle scuole elementari, contro il 48% con figli alle medie e il 28% con figli alle superiori.
Se su molti aspetti c’è una certa concordanza tra il parere delle famiglie e quello degli insegnanti, su altri i dati si allontanano: la poca padronanza tecnica da parte degli insegnanti (in tal senso si esprime un genitore su due, ma il dato tra i docenti scende al 36%); la scarsa dotazione tecnologica delle famiglie (la pensano così i due terzi degli insegnanti, ma lo ammette, secondo il sondaggio, solo la metà dei genitori)o un orario scolastico eccessivamente ridotto (il 31% dei genitori, che diventa il 42% se i figli frequentano le elementari contro addirittura un 15% tra gli insegnanti).
Tra luci ed ombre c’è un punto però che resta uno dei maggiori – se non il maggiore – capi di imputazione alla DAD. Un problema sociale, ancor prima che scolastico, la cui rilevanza sovrappone i dati e mette d’accordo tutti, insegnanti e famiglie. Il 51% dei genitori ed il 50% degli insegnanti, infatti, denunciano come, ad un anno dal suo avvio, non sia ancora garantito a tutti gli studenti un accesso adeguato alla DAD. E, dato correlato interessante e preoccupante, emerge come se il 75% dei ragazzi utilizza tablet o pc per collegarsi, ancora un 16%, di fatto 1 su 6, continua ad usare lo smartphone.
Il costo sociale per bambini e ragazzi
Con un 65% dei genitori che relega la DAD alla sola necessità in caso di distanziamento forzato, un 23% è possibilista su una funzionalità futura, in alternanza con la scuola in presenza e anche per attività differenti dall’educazione tradizionale. E per gli insegnanti i dati sono simili.
Tuttavia il sondaggio Demopolis torna ad evidenziare – nel caso in cui ce ne fosse ancora bisogno – il costo sociale ed evolutivo che l’emergenza Covid e la chiusura prolungata delle scuole hanno imposto a bambini e ragazzi: per ben l’83% degli intervistati, infatti, ciò che è stato più negativo per i ragazzi è stata la mancanza di relazione con i compagni; per 2 genitori su 3 la maggior fatica nel seguire le lezioni; per ben 6 su 10 la tendenza all’isolamento e l’abbandono della vita sociale; per più di 1 su 2 la mancanza di stimoli esterni alla scuola; per il 41% la regressione degli apprendimenti.
«Restano sofferenze e divari», ha sottolineato durante la presentazione Marco Rossi Doria, vicepresidente di Con I Bambini. «Stare lontani gli uni dagli altri, perdere la socialità, non poter imparare come gli umani imparano, cioè in modo circolare e analogico, non digitale. Il digitale può intervenire – mi pare che i dati ce lo confermino – a supporto della scuola, modernizzandola, ma è ineliminabile la situazione di contesto sociale dentro la quale si apprende». Da un lato c’è chi dice la DAD risolve tutti i problemi, dall’altro quelli per cui è il demonio, ha continuato Rossi Doria: «la DAD non è il demonio, ha permesso di mantenere un legame tra scuola e casa, ha ridato centralità alla scuola, che è rimasta presidio della Repubblica. Senza DAD questo dal marzo scorso non sarebbe stato possibile, è stata necessaria nella grande emergenza pandemica mondiale. Ma non è sufficiente».
Ripartire dalle scuole aperte in estate?
A questa domanda e alla proposta del Ministro Bianchi circa l’apertura non tradizionale delle scuole fino a fine luglio è dedicata la parte conclusiva del sondaggio Demopolis. L’idea che le scuole in estate possano diventare spazi per la programmazione di attività gratuite e non obbligatorie destinate a bambini e ragazzi è condivisa dal 70% degli italiani intervistati: laboratori di socializzazione, teatro, musica, sport, lingue, con il coinvolgimento di operatori specializzati, del terzo settore, delle associazioni, dei volontari. Una proposta che piace molto al 60% dei genitori (ai due terzi tra chi ha figli alle elementari) e agli enti di terzo settore (81%), meno agli insegnanti (45%). Ma che risente della geografia: se al Nord piace a 3 su 4 e al 72% al Centro, scende al 61% al Sud e nelle isole. Secondo gli italiani sarebbe importante sfruttare questa occasione dando priorità all’accesso alla pratica sportiva, a progettare i recuperi curriculari, a promuovere progressi nelle lingue straniere, a favorire la riscoperta delle città, dell’arte e della cultura, della natura.
«Si tratterebbe», ha evidenziato Pietro Vento, direttore Istituto Demopolis, «di aprire la scuola alla comunità e ai territori, rammentando che la scuola non può essere l’unica istituzione deputata alla crescita dei ragazzi, una consapevolezza che oggi ha, come emerge anche dai dati, il 71% degli italiani – il 72% dei genitori, il 79% degli insegnanti, addirittura il 94% nel terzo settore – concorde sul fatto che la responsabilità della crescita dei minori è oggi di tutta la comunità, soprattutto dopo e durante questa emergenza Covid».
Grazie a questa crisi, è intervenuto Rossi Doria, c’è stata tra la scuola e la famiglia una riconoscenza ed un riconoscimento reciproco: «i genitori e gli insegnanti si sono parlati, soprattutto le donne, le mamme e le docenti italiane, un dato acquisito, e da consolidare. I docenti, i genitori, quegli straordinari attori dell’educare rappresentati dal civismo educativo così diffuso nel nostro paese, un grande esercito civile, una grande risorsa, alleata della scuola ma capace anche di fomentare apprendimento, socialità, crescita fuori dalla scuola e in alleanza con essa: solo unendo queste cose e unendo gli enti locali, i comuni italiani potremo recuperare insieme questo anno così difficile, così radicalmente spaesante». Invoca rispetto per i ragazzi Rossi Doria: «spesso i media mostrano scene di irresponsabilità delle giovani generazioni, ma in realtà la stragrande maggioranza è stata responsabile. Si fa leva su questa responsabilità per aprire ora una nuova stagione. Il ministro Bianchi ha mostrato la via. È nelle comunità educanti che abbiamo la chiave di volta per cercare di realizzare un’azione che, a partire dalla prossima estate, sarà ben più lunga». Pensiamo, ha concluso, «che il governo possa creare procedure snelle per cui vi siano le risorse in ogni parte d’Italia, con priorità alle zone di concentrazione della povertà educativa, per cui terzo settore e scuole possano creare luoghi educativi, non di semplice recupero dei programmi scolastici».