DOPO LE PARALIMPIADI, SPORT E LAVORO PER I DISABILI
Intervista a Mario Valentini, ct della nazionale italiana di paraciclismo, che parla di Zanardi e degli altri campioni, ma anche dei disabili che vogliono fare sport.
27 Settembre 2016
Volo Rio de Janeiro – Roma. L’aereo ha appena sorvolato il suolo italiano e il pilota ha un messaggio per i passeggeri: «Grazie a tutti voi per questa fantastica paralimpiade». A bordo ci sono proprio loro, i 94 atleti azzurri di ritorno dall’esperienza paralimpica, celebrati con un applauso e una grande torta offerta dall’equipaggio.
Si torna a casa, l’Italia rende omaggio ai suoi campioni e qualcuno si commuove. Non Mario Valentini, uomo pragmatico che viene dalla terra. «Figlio di contadino», come ama ricordare, 76 anni, di cui 17 come commissario tecnico della nazionale italiana di paraciclismo, che a Rio ha vinto in totale 12 medaglie (5 ori, 2 argenti e 5 bronzi). Il classico tipo tosto, con la corazza fuori e il cuore d’oro dentro, abituato a condividere tutto con i suoi ragazzi: «E questa, come la dividiamo?» chiede perplesso, date le dimensioni del dolce. Difficile che qualcuno lo contraddica, del resto cosa hai da dire a uno che detiene il record di allenatore di nazionale più vincente della storia con 12 ori paralimpici e 53 medaglie mondiali? «No, no, capo», si sente una voce dall’altra parte dell’aereo, «fatti dare 100 cucchiaini che questa la mangiamo tutti insieme».
Alle risate seguono i fatti, si procede come ha suggerito Alex Zanardi, un altro che di vittorie se ne intende e che a 50 anni si è messo al collo altre tre medaglie paralimpiche, di cui due d’oro. In questo aneddoto, che ci ha raccontato Valentini, c’è tutto lo spirito di Zanardi e di un gruppo abituato a lottare insieme per ottenere dignità e rispetto, nello sport come nella vita.
Una prospettiva nelle forze dell’ordine
Mario Valentini lo sa bene e sta portando avanti un’altra battaglia, per amore dei suoi ragazzi: «Dobbiamo far lavorare nelle forze dell’ordine i nazionali disabili, come avviene per i normodotati. Insieme al presidente del Comitato Paralimpico, Luca Pancalli e al sottosegretario alla presidenza Lotti ci stiamo lavorando. A questi ragazzi la vita ha tolto tutto, ma ha dato anche la possibilità di riscattarsi. Qualcuno di loro smetterà di fare sport senza un aiuto economico. In totale sono un centinaio e nella mia squadra ne ho tre che non possono permettersi di vivere tutta la vita da disoccupati. Parliamo di eccellenze sportive che rappresentano l’Italia nel mondo e lo Stato non deve dimenticarsi di loro». Del resto, senza un sostegno legislativo anche i sogni più belli sono destinati a tramontare: «Per entrare nelle forze armate devi essere di sana e robusta costituzione. Un disabile non può esserlo ed è escluso a prescindere da una legge cieca e ottusa. C’è un progetto, speriamo ci sia pure una svolta. Rischiamo di perdere grandi campioni».
Disabili e sport per tutti
Il successo di Valentini non sono le medaglie, ma i tantissimi ragazzi disabili che, affascinati dalle imprese di Podestà, Zanardi, Anobile, Cecchetto, Mazzone e tanti altri, si avvicinano allo sport: «I media ci stanno aiutando molto, dando visibilità al movimento» ha spiegato Valentini. «Attenzione a rilassarsi però, prima di definire “normalizzata” la disabilità serve ancora un grande sforzo».
A proposito di Zanardi, approfondiamo quello che è un rapporto autentico, intimo e speciale: «Alex mi vuole bene» sorride Valentini. Gli chiediamo di andare oltre, di raccontarci qualcosa dell’uomo, più che del campione: «Io l’ho visto con i miei occhi montare una corda d’acciaio da un albero all’altro, per permettere al figlio di fare Tarzan. È un ragazzo umile, il padre faceva l’idraulico e si arrabbia quando a tavola sprechiamo le molliche del pane. E poi ha un rapporto con la gente autentico, racconta sempre barzellette. Sapete cosa mi ha detto dopo essere andato in tv la prima volta? “Capo, mi tremavano le gambe».
Il ritratto che molti fanno di Zanardi è quello di un grande lavoratore, stacanovista della fatica: «L’ho visto fare 118 km in salita per convincermi di essere forte, poi nello stesso giorno altri 60 km dietro una moto. Ho detto “se questo non vince le Olimpiadi smetto di allenare”. Per fortuna ho avuto ragione».
Se non le Olimpiadi, almeno i centri sportivi
Ad un uomo di sport, impossibile non chiedere di Roma 2024. Senza peli sulla lingua Valentini ammette: «Per noi sportivi sarebbe stato splendido». Da sportivo però sa anche che il modo migliore per crescere è credere nella cultura del lavoro: «Non si faranno, ok, andiamo avanti però. Creiamo centri sportivi per i ragazzi disabili. Roma ha tanti problemi, è quasi impossibile da vivere, per questi ragazzi. Ripartiamo da zero e regaliamogli una città migliore». Servono impianti per coniugare il binomio disabili e sport.
Problemi che diventano voragini quando le istituzioni voltano le spalle, ma Valentini non ammette scuse: anche la collettività ha grandi responsabilità. «La disabilità è un problema di tutti, ma te ne accorgi quando tocca a te. Se un’automobile senza contrassegno è parcheggiata su un posto per disabili chiamate i vigili. Iniziamo dalle piccole cose, la politica ci verrà dietro».
Le Olimpiadi migliorano le città che le ospita? Un’affermazione vera per Londra, falsa per Rio: «Londra nel 2012 è stata meravigliosa con il mondo della disabilità, al contrario di Rio, che definirei un’esperienza non positiva a livello umano. Diciamo che su disabili e sport abbiamo trovato una città pronta a metà, come se i giochi fossero arrivati troppo presto: c’era sempre qualcosa che mancava. E poi ho visto molta povertà e sofferenza. Gli occhi di quei bambini disperati non li dimentico».