Disabilità: basta tagli

La Fish chiede al Governo di avere più attenzione e di rivedere il sistema di valutazione della disabilità.

di Claudia Farallo

«Quando si parla di disabilità, oggi, si tende a indicare una condizione fisica della persona, ma non è così. La disabilità non è una patologia della persona, ma l’interazione tra la persona e l’ambiente esterno. Più barriere ci sono, più quella persona viene messa nelle condizioni di essere considerata disabile».
È un “salto culturale” che si traduce in “politiche e misure finalizzate ad integrare la persona nell’ambiente” quello chiesto da Vincenzo Falabella, presidente di Fish, in linea con l’attuazione della Convenzione Onu recepita dal nostro Paese. Oggi, a Roma, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap ha promosso un convegno per fare il punto. Ecco considerazioni e proposte, nell’intervista con il presidente.

Farallo Fish
Vincenzo Falabella, presidente della Fish

Convenzione Onu sui diritti dei disabili. A che punto è l’Italia?
«Da un punto di vista normativo abbiamo la Legge 18 del 2009, che ha recepito la Convenzione, e molte Regioni che ne hanno adottato i principi. Ma dal punto di vista pratico c’è un divario con le politiche che vengono programmate».

Insomma, siamo in ritardo.
«Siamo in netto ritardo. Nel 2013 era stato previsto un piano di azione biennale che purtroppo non ha trovato attuazione pratica. Dovevano essere rivisitati gli interventi in favore della disabilità in diversi ambiti, da quello scolastico a quello del lavoro, dalla valutazione dell’accertamento della condizione di disabilità all’universal design (progettazione per tutti, ndr), però poi dal lato pratico poco è stato fatto».

Cosa proponete?
«Credo che i tempi, oggi, anche quelli dettati dalla politica, siano maturi. Siamo in prossimità della Legge di Stabilità e serve un momento di confronto con le istituzioni e con i politici, per arrivare ad una programmazione che vada nella direzione del dettato internazionale».

Quali i punti su cui insistere?
«In particolare, una profonda revisione dei percorsi di valutazione della disabilità e dei processi di inclusione».

Si riferisce al concetto di “invalidità civile”?
«L’invalidità civile, ancora oggi, è ferma al riconoscimento della residua capacità lavorativa: minore la capacità lavorativa, maggiore la percentuale di invalidità. Ma sappiamo benissimo che questo non corrisponde alla realtà, perché ci sono molte persone che, oggi, pur avendo una disabilità importante, accedono al mondo del lavoro. Di conseguenza, se continuiamo a riconoscere l’invalidità civile come una mera rappresentanza numerica di una percentuale invalidante, credo che siamo fermi ad anni lontani dalla Convenzione Onu».

Cosa chiedete al Governo?
«Chiediamo di non effettuare interventi di taglio nell’investimento per la disabilità, ma anzi di aumentare la spesa, perché siamo sotto la media europea. Consideriamo anche che, degli oltre 3 milioni di persone con invalidità, solo meno di 2 milioni sono titolari di indennità. Devono essere garantite politiche inclusive, ma se non arrivano fondi ai Comuni non ci potranno essere servizi. Tutto in netto contrasto con la Convenzione Onu e con la legge che l’ha recepita. Servono interventi volti a garantire equità sociale, politiche mirate a migliorare la qualità di vita e ad evitare momenti di segregazione».

Le associazioni cosa possono fare?
«In vista della Legge di Stabilità, mi auguro che al termine di questa giornata le organizzazioni delle persone con disabilità, la nostra federazione, i sindacati e gli altri attori tutti possano concordare ed essere uniti sul programma di azione che occorre portare avanti».

Disabilità: basta tagli

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