DALLA BAMBOLA AL FEMMINICIDIO IL PASSO È BREVE
Alle donne al potere politici (uomini) lanciano insulti sessisti. Secondo Roberta Bruzzone bisognerebbe arrabbiarsi di più.
27 Luglio 2016
Donne e politica nel XXI secolo? Bambole. “Gonfiabile” la presidente Boldrini, “imbambolata” la sindaca Raggi. In poco tempo, due donne con alte cariche istituzionali si sono viste paragonate, da due diversi uomini politici, a giocattoli, siano essi per l’infanzia o per adulti. «Il femminicidio di cui tanto si parla è figlio della stessa matrice», avverte Roberta Bruzzone, criminologa e psicologa forense, contattata da Reti Solidali. «Culturalmente parlando», spiega, «dal dare della bambola gonfiabile a una donna al trasformarla in un oggetto da buttare, il passo è brevissimo». Pensando a chi firma simili accostamenti, un primo invito va al politico: «Dammi una visione alternativa, non della bambola gonfiabile». Il secondo all’uomo: «Se fossi in lui, mi farei aiutare».
Professoressa Bruzzone, che sta succedendo?
«Niente, è l’ennesima dimostrazione del sessismo diffuso e ampiamente accettato culturalmente nel nostro Paese. È il frutto avvelenato da cui dipendono, poi, tante manifestazioni di violenza verso le donne, sia verbale che fisica. Questo caso dimostra chiaramente qual è il livello dei nostri politici, che per attaccare una donna usano un tipo di strategia ampiamente diffusa negli strati più bassi della nostra società. Almeno questi ultimi hanno l’alibi della poca formazione culturale. Nell’altro caso la situazione è aggravata».
C’è un “incattivimento” generale del linguaggio in politica?
«Le donne che occupano posizioni di potere, normalmente, vengono squalificate attraverso riferimenti alla sfera sessuale. La bambola gonfiabile è chiaramente uno di questi, è come dire “tu sei buona solo per una certa funzione”, “tu non esisti in quanto entità, ti rendo oggetto e bambola”. Il messaggio è terribile ed è figlio di un sessismo largamente diffuso nella nostra società, solo che ai livelli in cui si è manifestato adesso è particolarmente intollerabile».
C’è anche forse un elemento di fastidio o di timore nel vedere sempre più donne in posizioni dominanti?
«Certo. È una matrice violenta e sessista a scopo riduttivo per minare la figura femminile che ricopre certi ruoli. Nulla di nuovo sotto il sole, ma è triste che a farlo siano soggetti che ricoprono certe posizioni, pagati da noi italiani, e che dovrebbero invece essere d’esempio in una società, come la nostra, dove la posizione femminile è sotto attacco come non mai».
Ritiene che ci siano responsabilità anche da parte delle stesse donne?
«Nel ricevere offese di questo tipo certamente no. È chiaro che, se parliamo più in generale, come popolazione femminile dovremmo cominciare seriamente a rispondere in maniera durissima a questo tipo di affermazioni, sia che si verifichino al bar sotto casa che in Parlamento. Se le donne hanno una responsabilità è quella di non incazzarsi abbastanza».
Il caso di Cécile Kyenge fu diverso…
«Lì c’era anche la dimensione razzista, ancora peggio».
Secondo lei, il fatto che fosse una ministra e non un ministro può aver facilitato l’insulto?
«Certamente. Se fosse stata uomo, probabilmente il tipo di insulti alla sua persona non sarebbe stato di questa violenza. Donna e di colore, l’apoteosi nella mente di certi soggetti».
Come rispondere?
«Andrebbero puniti in maniera esemplare e messi alla gogna dal punto di vista mediatico. Non mi risulta che quando non condividono le opinioni di qualche altro politico uomo passino ad aggredirlo dal punto di vista sessuale».
Manca un po’ di “sana” riprovazione sociale?
«La riprovazione sociale mi sta bene, ma qui occorrerebbero pene esemplari. Se non sei capace di stare al mondo e rispettare chiunque, uomo o donna che sia, nella sua dimensione di persona, evidentemente un posto in Parlamento in un Paese democratico non ce lo puoi avere».
Parla di espulsione dalle istituzioni?
«L’espulsione immediata. Al primo che commette una cosa del genere e che va a finire che si deve cercare un lavoro per la prima volta nella vita, le assicuro che poi probabilmente la questione cambia. Il nostro è un Paese che ha bisogno di esempi forti. Colpirne uno per educarne cento».
Linea dura insomma.
«Qui non è Laura Boldrini o le altre donne al potere. Sono tutte le donne che potrebbero essere al suo posto. È un’offesa alla categoria femminile in tutta la sua dimensione. E da parte di un soggetto che occupa una posizione istituzionale non è accettabile. Puoi aggredire politicamente con argomenti seri, se ce li hai, evidentemente qui scarseggiano. Dammi una visione alternativa, non della bambola gonfiabile».
C’è una guerra culturale in corso.
«Il femminicidio di cui tanto si parla è figlio della stessa matrice. Culturalmente parlando, dal dare della bambola gonfiabile a una donna al trasformarla in un oggetto da buttare, il passo è brevissimo. Poi, chiaramente, ognuno tira fuori gli esempi che sono più vicini al proprio ambito…»
Che intende?
«Evidentemente qualcuno è avvezzo all’utilizzo di bambole gonfiabili, visto l’accostamento».
E qui si aprirebbe tutto un capitolo sul rapporto con l’altro sesso in generale…
«Infatti il problema non è la bambola gonfiabile, ma il tipo di rapporto che questa persona ha con le donne. Io mi farei qualche domanda abbastanza seria. E un consiglio da psicologa: se fossi in lui, mi farei aiutare».