DISABILI SÌ, MA DONNE. COME TUTELARE IL DIRITTO ALLA SALUTE E AL BENESSERE?
Intervista all'onorevole Lisa Noja, che sta lavorando ad una mozione che impegni le istituzioni su questo tema
di Paola Fabi
24 Luglio 2019
«Il riconoscimento della sfera della femminilità non esiste per una disabile e non è neanche considerata la possibilità che una donna in carrozzina vada dal ginecologo o a fare una mammografia. Una negazione che porta anche a non considerare la violenza e gli abusi, che invece esistono e sono superiori a quelli che subiscono le donne normali». È molto netta Lisa Noja, deputata del Pd, sulla percezione che la società e l’opinione pubblica in generale ha delle donne con disabilità: «Esseri senza desideri, bambini per sempre. Soprattutto le donne. Una visione infantile di persone adulte, che invece hanno desideri come gli altri, che comprendono anche l’intimità, un compagno, una vita propria».
E come si cambia questa percezione?
«Cominciando a parlarne, anche se sono argomenti “scomodi”. E il dibattito deve cominciare nelle istituzioni e da lì entrare nella società. È per questo che, insieme a Maria Elena Boschi e altre parlamentari del Pd, sto preparando una mozione che impegni il governo su una serie di capitoli che vanno dalla vita intima al diritto alla salute di genere – e quindi servizi sanitari adatti a persone con disabili, ad ambienti in cui ci sia una capacità di accoglienza per chi ha una disabilità cognitiva – fino ad arrivare alla discriminazione e alla violenza di genere.»
Persone asessuate, in qualche modo, che non hanno accesso alle cure di genere, ma che subiscono violenze e abusi come le altre donne.
«Di più delle altre donne. Dai dati Istat relativi al 2014 sappiamo che il 10 per cento delle donne con disabilità ha subìto un tentativo di stupro, il 31 per cento violenza psicologica e il 21 per cento è stata vittima di stalking. E malgrado questi numeri, il fenomeno è ancora molto opaco, perché molte non denunciano. Sono molti i casi di abuso che avvengono in famiglia. Non ci si pensa mai, ma se una persona che ha bisogno di assistenza subisce violenza dalla stessa persona che la assiste, come fa ad arrivare al luogo dove potrebbe essere protetta? Disconoscendo, poi, un desiderio di vita sessuale si nega anche che la stessa ragazza con disabilità possa essere un oggetto di desiderio. Servono, quindi, una serie di impegni e programmi per la tutela e la prevenzione da parte del Governo, ma anche una condivisione trasversale di tutte le forze politiche. A cominciare dalle donne, come successe con la legge sulla violenza sessuale anni fa. Furono le donne a unirsi scavalcando gli uomini di tutti partiti. Un atto di indirizzo, come può essere una mozione parlamentare che viene discussa in Aula, poi entrerà automaticamente nel dibattito pubblico. Per ora se ne parla molto nel mondo associativo e accademico.»
E come è stato accolto in Italia questo argomento?
«Diciamo che adesso non è proprio il momento più favorevole, ma bisogna iniziare. Poco tempo fa ho organizzato alla Camera dei Deputati una conferenza, sempre insieme all’onorevole Boschi, e da tempo sto coinvolgendo una parte del mondo accademico, che studia da molto il tema della doppia discriminazione della disabilità e dell’essere donna, e anche le associazioni che lavorano nel mondo della disabilità e quelle impegnate per il supporto e l’aiuto alla violenza di genere. Sono tematiche che stanno emergendo e il Parlamento europeo, lo scorso anno, ha approvato una risoluzione proprio sulla condizione delle donne con disabilità, invitando i governi ad agire per risolvere tutti i problemi che ci sono. In altri Paesi il dibattito è sicuramente più maturo. Credo che sia arrivato il momento anche per l’Italia di parlarne accettando anche l’argomento. E sono tante le donne che dicono : “Io non lo avevo mai pensato”.»
In effetti è così, non si pensa mai che anche le donne con disabilità abbiano bisogno di una cura di genere, come quella ginecologica, non necessariamente per una violenza sessuale.
«Sì, non ci si pensa e non si prende neanche in considerazione il diritto alla privacy: perché una donna non può andare dal ginecologo accedendo alla struttura da sola? Devono essere, quindi, pensati servizi accessibili che consentano a una ragazza disabile di andare a fare una visita serenamente e nessuno se ne deve stupire. Per fortuna le cose stanno un po’ cambiando per adesso le ragazze cominciano a rivendicare i loro diritti».
Rispetto a queste tematiche l’uomo disabile è considerato in maniera differente rispetto alla donna?
«Secondo me un po’ sì, ma anche perché le donne rispetto a rivendicazioni di questo tipo sono più timide. C’è anche da considerare il fatto che le donne hanno sempre un ruolo di cura ma per un uomo con una compagna disabile, e che quindi la cura, è un più difficile da accettare. Io ho avuto, nella sfortuna, la fortuna di avere una famiglia di un certo tipo e con una apertura mentale che non tutti hanno. Quando sei piccola e hai problemi così grandi devi avere le spalle tanto larghe per andare avanti. Vorrei facilitare la strada tante ragazze con difficoltà.»
Per quanto riguarda la violenza sessuale o altre come di abuso, non servirebbe una competenza specifica anche delle Forze dell’Ordine?
«Sì, anche perché può capitare di avere a che fare con denuncianti che hanno problemi intellettivi o di comunicazione. Ci sono però associazioni, che operano contro la violenza sulle donne, che hanno alcuni sportelli di ascolto per episodi di discriminazione che riferiscono di pochissime denunce e questo dimostra che non c’è consapevolezza della stessa vittima.»
E la scuola come potrebbe aiutare?
«Nella mozione chiederemo che in tutte le campagne informative contro la violenza di genere questo elemento sulla disabilità sia inserito, sia nei media che nelle scuole. Non è solo una questione di politiche sociali, chi si occupa di discriminazione si deve rivolgere anche a bambine, ragazze donne con disabilità per aumentare la consapevolezza. Stesso discorso per l’educazione sessuale a scuola: nessuna bambina deve vergognarsi di dire che vorrebbe un fidanzatino.»
Come si aiuta la famiglia ad accettare queste tematiche?
«Se cambiasse la cultura del Paese, cambierebbe anche quella delle famiglie, che però vanno aiutate in un percorso difficile. C’è un forte istinto di protezione, che spinge sempre a trattare un figlio o figlia disabile come se fosse sempre piccolo. È un processo molto lungo, ma ribadisco: parlarne nelle istituzioni è fondamentale.»
Le parlamentari degli altri partiti hanno risposto?
«Per ora non c’è resistenza, anche se ancora non ho coinvolto tutti i gruppi. Ma sono sicura che non ci saranno difficoltà, perché le donne trovano sempre un accordo.»
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