ECOLOGIA DEI MEDIA. PERCHÈ ABBIAMO BISOGNO DI UNA COMUNICAZIONE “GENTILE”
Nel suo ultimo libro, Fausto Colombo analizza l'ambiente mediale e propone un modo di comunicare che aiuti le relazioni e la conoscenza del mondo
03 Settembre 2020
«Aggressione e menzogna sono due facce dello stesso tradimento: quello della natura profondamente umana dello scambio comunicativo». Senza comunicazione non c’è società, eppure ogni giorno sperimentiamo la difficoltà – a volte l’impossibilità – di comunicare. E i nuovi media non fanno che aumentare questa sensazione, inondando le nostre giornate di messaggi di odio, fake news, propaganda.
Perché una ecologia dei media
E non è solo una sensazione: il contesto mediatico oggi ci illude di essere padroni degli strumenti della comunicazione. Il riferimento è in particolare ai social network, ma non solo: pensiamo al gusto di scegliere ciò che vogliamo vedere la sera, grazie all’on demand, Un gusto, però, illusorio, in quanto la nostra scelta è fortemente condizionata dall’offerta che ci è arrivata grazie ai dati che lasciamo ogni volta che ci colleghiamo a internet e che permettono alle aziende della comunicazione di stabilire quali sono i nostri gusti e quindi di farci un’offerta “mirata”. Il che restringe il nostro campo di scelta – pur lasciandoci l’illusione che sia ampio – e contribuisce a chiuderci in quelle bolle-filtro che dominano i social, nelle troviamo chi la pensa come noi e non ci confrontiamo mai con chi la pensa diversamente.
L’ambiente mediale è fortemente inquinato ed è quindi necessaria un’ecologia dei media. Lo spiega Fausto Colombo, uno dei più noti sociologi della comunicazione, in un suo recente libro: “Ecologia dei Media. Manifesto per una comunicazione gentile” (Vita e Pensiero, 2020). In esso descrive l’ambiente dei media oggi, con le sue principali dinamiche, i suoi disequilibri, i modi in cui influenzano la vita di ciascuno di noi. E da questa descrizione esce evidente la necessità di “prendersi cura” di questo ambiente, mettendo in atto strategie e comportamenti che possano ridimensionare gli aspetti pericolosi, per dare spazio a quelli positivi per la nostra vita sociale.
E questo impegno ecologico non spetta solo alle grande aziende della comunicazione o ai comunicatori professionisti: è una scelta che ogni cittadino può e deve compiere, quando prende la parola o comunque compie azioni comunicative.
I cosiddetti media della quarta ondata, in particolare le piattaforme, pervadono le nostre vite in ogni aspetto: sono strumenti di svago, ma anche di lavoro, di informazione e di disinformazione, di condivisione e di odio… Servono per controllare i figli quando escono da soli, per organizzare manifestazioni, fare propaganda elettorale, creare eventi culturali, far nascere reti di persone e gruppi, fare pubblicità, bullizzare i soggetti deboli…
Facilmente scalabili da movimenti politici o ideologici, che per questo mettono in campo risorse economiche e umane, chiedono a ogni cittadino di scegliere da che parte stare: se dalla parte della comunicazione “buona”, costruttiva, dialogante o dalla parte della comunicazione “cattiva”: quella, appunto, dell’hate speech, delle fake news, della propaganda.
La comunicazione “buona”
Il problema si pone da tempo, e – ricorda Colombo – ha interpellato studiosi come Lakoff, che ha individuato alcune “regole della cortesia”; Grice, che ha messo a punto i principi ci una comunicazione “cooperante”; Habermas, che ha insinuato la distinzione tra comunicazione “buona” e comunicazione “cattiva” e così via. Ma ha interpellato anche i comunicatori stessi e la società civile, che hanno cercato di definire una netiquette della comunicazione cui ispirarsi per un uso corretto di parole, espressioni e atteggiamenti comunicativi e hanno messo in campo progetti come “Parole O_stili“.
Posto che «le sfide maggiori per la comunicazione continuano a riguardare l’onestà di dire il vero e il rispetto dovuto all’altro», Colombo rilancia l’idea di una comunicazione gentile, che migliori le relazioni tra le persone e la conoscenza del mondo. Il termine “gentile”, specifica Colombo, «rimanda non solo ai modi cortesi, ma più a fondo all’appartenenza a una gens, una famiglia, e quindi – per un’estensione che vorrei concedermi – alla stirpe di tutti, a quella comunità di destino che è l’umanità intera».
SI può fare? Certamente sì, a livello individuale, ma anche a livello di gruppo. Ad esempio, ci sta provando il movimento delle Sardine, che ha riscoperto la rilevanza della presenza fisica, contrapposta a quella virtuale online; il valore della testimonianza come approccio alla politica e il «rifiuto della retorica aggressiva e dell’utilizzo delle fake news o dell’enfasi propagandistica», che invece continua a caratterizzare la comunicazione di Salvini e della Lega.
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Fausto Colombo
“Ecologia dei Media. Manifesto per una comunicazione gentile”
Vita e Pensiero 2020
pp. 113, € 13,00
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