ENRICO SERPIERI: SPESSO FA PIÙ POLITICA IL TERZO SETTORE CHE LA P.A.
Al centro del primo dei tre workshop verso il convegno CSV Lazio del 16 giugno la collaborazione tra istituzioni ed enti del terzo settore. Enrico Serpieri, che questi due mondi li ha vissuti entrambi, ci spiega a che punto siamo
17 Maggio 2023
Formazione. Finanziamenti. E non fare quello che è stato fatto con il PNRR. Sono queste le parole chiave su cui fondare il futuro della collaborazione tra istituzioni ed enti di Terzo Settore secondo Enrico Serpieri, Head of Department per la coesione territoriale e attuazione della strategia Save The Children.
CSV Lazio promuove per il 16 giugno il convegno “Costruire il presente immaginando il futuro. Volontari ed Associazioni in dialogo per lo sviluppo di comunità e territori”, occasione di riflessione e confronto su alcuni temi oggi prioritari rispetto al ruolo e all’azione del volontariato.
Il rapporto con le istituzioni, il dialogo e le sinergie con il mondo profit, le forme emergenti di attivismo civico e il futuro del volontariato sono le questioni al centro dei tre panel all’interno del convegno, in occasione del quale le istituzioni regionali e comunali, il mondo delle imprese, le fondazioni di origine bancaria, giovani e accademici si confronteranno con l’obiettivo di costruire strategie e alleanze perché il volontariato possa rispondere in modo sempre più puntuale e attento alle problematiche del nostro tempo.
Su questi temi si intende raccogliere il punto di vista, le domande e le aree di attenzione che emergeranno in un percorso di avvicinamento al convegno di tre workshop che coinvolgeranno associazioni ed esperti di settore e i cui risultati costituiranno la base del confronto nei panel. Enrico Serpieri introdurrà il primo dei tre workshop in programma – “Favorire le iniziative delle associazioni: luoghi e strumenti di collaborazione con le istituzioni” – in calendario per il 18 maggio. Reti Solidali accompagnerà i proprio lettori lungo tutto il percorso fino al 16 Giugno con interviste e approfondimenti.
Enrico Serpieri, 60 anni, nasce come giornalista. Nel 1996 inizia a lavorare come ufficio stampa al Comune di Roma. Così si appassiona a un settore di cui non si occupava a nessuno, come quello del popolo Rom e rimane in Campidoglio fino al 2008, come Responsabile delle politiche sociali e delle emergenze sociali. In seguito lavora in Città metropolitana occupandosi di formazione professionale e lavoro, grazie alla quale impara a conoscere molti modelli di intervento sociale. In seguito lavora per 10 anni alla Regione Lazio, dove si occupa di diritto allo studio e fondi sociali europei. Nel 2020 inizia la terza fase della sua vita, a Save The Children, dove oggi è Head of Department per la coesione territoriale e attuazione della strategia.
Secondo lei, la normativa che prevede gli strumenti della co-programmazione e della co-progettazione quale modalità di collaborazione tra istituzioni ed enti del terzo settore ha già avuto piena attuazione o deve ancora divenire prassi nel Lazio?
«Piena attuazione assolutamente no. Noi, come Save The Children, registriamo qualche pallida luce a livello nazionale, con l’Abruzzo, con il Piemonte. Nel Lazio sicuramente no. Secondo me è un processo culturale, e non politico, che deve ancora crescere molto dal punto di vista delle amministrazioni, che devono capire che è uno strumento fondamentale e utile soprattutto per loro. Quindi no, non è ancora pienamente attuata e c’è ancora molta strada da fare».
È davvero uno strumento a loro disposizione, perché permette, ascoltando chi è vicino al destinatario di queste politiche, di garantire una maggior efficacia. E quindi è un passo verso la buona politica…
«Non è solo un passo verso la buona politica. Ma, soprattutto, aiuta il decisore ad avere possibili strade, anche rispetto ad alcune necessità molto concrete, come la necessità di cominciare a fare uscire i bandi FSE+, sui quali le Regioni sono in ritardo di due anni. E soprattutto la quota obbligatoria del 5% per il contrasto alla povertà educativa. Per cui si rendono conto che su quella quota, che solo in Lazio ammonta a 70 milioni di euro, non possono fare tutti asili nido. Alla fine cercare suggerimenti, spunti, fare co-progettazione è per loro utile».
C’è una differenza nella qualità della co-programmazione e della co-progettazione tra istituzione ed istituzione, ente ed ente? C’è un’istituzione che è meglio predisposta, più attrezzata a co programmare e co progettare con i soggetti del volontariato? Se sì quale?
«No, io non credo. Dipende da chi in quel momento siede nella stanza dei bottoni. Per cui non è detto che sia un Comune o una Regione. Diciamo che le Regioni hanno uno stimolo maggiore perché hanno tanti soldi da spendere e da certificare in progetti che abbiano un senso rispetto a fondi strutturali europei, mentre i Comuni ne hanno di meno. Non solo; diciamo che i dirigenti delle Regioni hanno una visione più ampia perché da tempo l’Unione europea e la Commissione europea insistono su questo punto e gli interlocutori sono le Regioni. È il dirigente di una Regione, che gestisce, per fare un esempio, un miliardo di fondo sociale europeo da spendere e certificare, che sente sulle spalle una maggiore responsabilità rispetto a un dirigente comunale che ha dei fondi ma che non ha una figura terza come una Commissione europea che gli fa le pulci su ogni cosa».
Pensa che ci siano politiche pubbliche in grado di incentivare il volontariato e la sua capacità di impatto?
«Sicuramente. Ci sono anche delle novità amministrative sui Comuni, quelli che sono chiamati patti di collaborazione, che sono in grado di stimolare e sostenere il volontariato, la nascita di associazioni. Sono tutte quelle azioni che si basano sulla partecipazione attiva della cittadinanza, raggruppata il più delle volte in associazionismo, ma non solo. L’azione attiva è un concetto che può arrivare anche ai singoli cittadini. Penso che da tempo le istituzioni pubbliche abbiano questa responsabilità sulle spalle: non l’hanno sempre esercitata al meglio, qualcuno l’ha vista più come una rogna. Forse adesso si sta andando avanti. Anche perché, se posso permettermi, sta aumentando la competenza delle associazioni del Terzo Settore: ormai progettare e rendicontare necessita sempre di professionalità più esperte».
La crescita delle associazioni in questo senso si nota chiaramente: sempre più spesso capita di vedere progetti che sono nati da una risposta precisa, puntuale ai bandi. Si nota un evidente salto di qualità…
«Sì, e secondo me c’è un salto di qualità maggiore negli enti di Terzo Settore che nella Pubblica Amministrazione. Per tanti motivi, compresi i bandi emessi da soggetti che non sono pubbliche istituzioni, ma fondazioni private o altro, che hanno stimolato la crescita in questo senso».
Quali sono i principali ostacoli che i volontari possono incontrare nella collaborazione con le istituzioni e le istituzioni nella collaborazione con gli enti di Terzo Settore?
«Intanto la difficoltà è dovuto a un linguaggio differente. Il Terzo Settore e il Volontariato devono sempre più imparare a parlare il linguaggio della Pubblica Amministrazione e viceversa. E quando parlo di linguaggi, parlo dell’empatia, del mettersi nei panni degli altri. Per 25 anni ho rappresentato la Pubblica Amministrazione – lavorando in Comune, in Provincia e poi in Regione – sempre con un occhio al Terzo Settore, da cui venivo e a cui sono tornato adesso. E tante volte vedevo associazioni che venivano da me, o organizzavano incontri con i dirigenti, che non capivano l’esigenza di chi avevano di fronte. Magari avevano un’idea bellissima e non capivano che il dirigente, a cui magari l’idea piaceva, si interrogava su altre cose: è rendicontabile? In che tempi? Lo posso fare rapidamente? C’è un modo di erogare finanziamenti che vanno direttamente al beneficiario? Da una parte c’è la necessità delle OdV di dialogare con le istituzioni suggerendo loro la strada amministrativa. Dicendo al dirigente: questo è un bel progetto e lo potresti caricare su questi fondi mettendo un bando su questi aspetti. Questo aiuta tantissimo. Ed è complicato: vuol dire approfondire tutti i piani operativi delle regioni e le regole di ingaggio. Dall’altro il dirigente deve pure capire che le associazioni di Volontariato non hanno la burocrazia di un ente pubblico e la rendicontazione è un incubo. Ci sono cose che non sono comprensibili se non perché il dirigente si dedica a ogni angolo e ti costringe a fare passaggi e atti molto complessi. Così a volte ci si trova a parlare linguaggi differenti. È uno degli ostacoli principali, che si sta appianando, soprattutto per merito del Terzo Settore, che capisce che deve alzare il livello».
In questo senso, la sua esperienza di professionista che ha vissuto entrambi i mondi è stata un plus rispetto a questo dialogo?
«A me aiuta sicuramente, quando adesso parlo con le pubbliche amministrazioni. Io ho un’impressione: se la buona politica si misura nella capacità di fare cambiamento, spesso fa più politica il Terzo Settore che la Pubblica Amministrazione. È una cosa che dico con una certa amarezza, ma che con Save The Children percepisco. Siamo una grande organizzazione, con possibilità finanziarie grandi, ma su alcuni territori facciamo più cambiamento noi che un ente del territorio: però sì, essere stato nella Pubblica Amministrazione mi aiuta molto, mi aiuta a vedere i due aspetti, a cercare di tradurre i linguaggi».
Nel settore socio-educativo, in cui operate come Save The Children, quanto è importante la co-progettazione e che sfumature ha?
«È molto importante. Credo che per molte organizzazioni del Terzo Settore il sogno sia la scalabilità: io metto a punto un modello e poi, care amministrazioni, fatevelo voi. A volte ci si riesce. Con Comune di Torino abbiamo un patto di collaborazione. Abbiamo Civico Zero, un centro per ragazzi stranieri, il Punto Luce, un presidio socio educativo per minori, lo Sportello che si chiama Per Mano, che si occupa di famiglie, soprattutto straniere. Tutto questo nasce da un patto di collaborazione con il comune di Torino: lo facciamo, ma in rete con il Comune e con altre associazioni. E funziona: è più complicato, ma funziona. Il Comune ha un servizio per i cittadini, non ne ha il controllo, ma ha una partecipazione. Le associazioni hanno una sponda istituzionale importantissima. È un lavoro certosino che si fa sul territorio. Come Save The Children noi lavoriamo sul territorio intessendo partnership con associazioni di Terzo Settore locali. A Scalea facciamo un Punto Luce in partenariato con un’associazione, la formiamo rispetto che è il modello e poi, con la nostra collaborazione gestisce questa struttura. Questo ci permette di sviluppare decine e decine di partenariati e dare occasione anche a piccole realtà di acquisire metodo e formazione».
Quale lo stato di salute della collaborazione tra istituzioni, volontariato, enti di terzo settore nel Lazio?
«Se devo paragonarla a 10 o a 20 anni fa è molto cresciuta, molto più aperta. Ci sono esempi positivi. I piani di sviluppo di zona, i piani regolatori sociali hanno chiarito la necessità di una collaborazione e della creazione di reti. I tavoli di collaborazione tra istituzioni e Terzo Settore sono più frequenti ed efficaci. A mio parere bisogna cercare di sviluppare un dialogo sempre più diretto tra il Terzo Settore e i dirigenti amministrativi e non solo con i politici. Può capitare che l’assessore di turno si innamora di un’idea, ma è complesso. Così come in alcune forme bisognerebbe che un giorno si arrivasse alle cosiddette sovvenzioni globali, nei quali un soggetto riceve un finanziamento strategico ed opera come se fosse istituzione. Questo viene fatto, ma con entri privati. La sovvenzione globale, per quanto sia uno strumento da usare con attenzione e con tutte le garanzie del caso si presta spesso all’intervento socio-educativo, sportivo, per gli enti di Volontariato e del Terzo Settore».
Quale il futuro di tale collaborazione? Tre parole chiave su cui focalizzare un impegno prioritario?
«Formazione, e vale per entrambi coloro che siedono al tavolo. Finanziamenti, nel senso che questi devono esserci, e troppo spesso vengono incanalati su forme infrastrutturali, dimenticando che puoi costruire dieci scuole, ma il problema non sono gli edifici, ma il modello che ci metti dentro e le persone. E, infine, evitate quello che è stato fatto con il PNRR. Che è stato una grande delusione per il Terzo Settore, perché è stato lanciato con l’idea di fare grandi consultazioni per poi scoprire che non c’era alcuna possibilità di co-progettazione. Tutti i Comuni avevano fatto il loro piano, è stato detto: te lo finanziamo, punto. Non c’è stato ascolto. Non c’è stata co-progettazione, ed è stata un’occasione persa. Sul 5% da destinare alla lotta alla povertà educativa non c’è stata una regione che si sia alzata rispetto al minimo imposto, hanno tutti riservato la quota obbligatoria. Ma non c’è stata co-progettazione. In questo senso, il PNRR è stato un esempio negativo di quello che oggi è lo stato della co-programmazione».