EPPURE CE L’ABBIAMO FATTA: LA RESISTENZA DELLE ASSOCIAZIONI NEL LOCKDOWN
Anche il non profit ai tempi della pandemia ha vissuto la paura, l’isolamento e l’incertezza. Ma tanti hanno saputo reagire, con creatività
23 Settembre 2020
C’è Teresa, 84 anni, ex impiegata delle Poste, vedova, senza figli, che ha vissuto il lockdown “reclusa” nel suo bilocale nel centro di Milano. Racconta: «In quei giorni tremendi, mi mancava il mercato settimanale del martedì e del sabato in viale Papiniano. Sia per le compere, sia perché era un’occasione d’incontro per un caffè con le mie amiche. Con loro ci siamo sentite comunque al telefono, mentre per la spesa hanno provveduto alcuni ragazzi del palazzo: sono andati loro al supermercato e mi lasciavano i sacchetti fuori dalla porta. Non li ringrazierò mai abbastanza. Purtroppo l’età e l’asma di cui soffro, in quei
giorni di isolamento, mi avevano reso ancor più vulnerabile».
Come Teresa, c’è Luigi, 77 anni, sposato dal 1971 con Maria Angela, abitano alla Barona, periferia sud di Milano. Hanno due figli e cinque nipoti che abitano lontano: «Mia moglie non è più autosufficiente a causa di un ictus. La badante da metà febbraio fino a inizio giugno non è più venuta. Troppo pericoloso. Abbiamo tirato avanti, grazie all’aiuto di alcuni volontari della parrocchia che, per il periodo delle restrizioni, non hanno più raccolto abiti per i poveri, ma sono andati per noi, come per tanti altri anziani del quartiere, in farmacia e a fare la spesa».
Riscoperta della comunità e senso civico
Quelle di Teresa, Luigi e Maria Angela sono storie fra le tante nell’emergenza del Coronavirus. Storie di solitudine nella solitudine in questi tempi di Covid-19. Storie di persone fragili che la pandemia ha reso fragilissime in un moltiplicarsi di bisogni grandi e piccoli a cui ha provato a rispondere una solidarietà della porta accanto, un volontariato di prossimità. Un volontariato (organizzato e non) che ha tentato ed è riuscito a reinventarsi in una ordinaria quotidianità diventata straordinaria.
Quelle di Teresa, Luigi e Maria Angela sono testimonianze simbolo, che raccontano una resilienza solidale, un senso civico diffuso e a chilometro zero. Sono esperienze di comunità che in quei giorni bui si sono riscoperte, si sono rafforzate, si sono cementate. L’emergenza (ancora una volta) ha rivelato la bellezza del dono e la forza delle relazioni. In una parola, del volontariato tout court. Che, oggi più di ieri, è la grande bellezza dell’Italia
intera. Eppure anche il non profit ai tempi della pandemia ha vissuto la paura, l’isolamento e l’incertezza. Per esempio, centri comunitari, servizi di tutoraggio, incontri di recupero e sostegno, laboratori artistici e tutto quello che porta le persone ad aggregarsi è stato temporaneamente sospeso. Oppure, i tanti enti che non hanno chiuso hanno dovuto ridimensionare le proprie attività per garantire la sicurezza. Risultato? Non hanno potuto più aiutare i più deboli come facevano prima.
Il telefono diventa un amico
Si sa però che la forza della solidarietà è anche nella sua capacità di non arrendersi mai, nella sua flessibilità ad adattarsi per rispondere ai bisogni urgenti e del momento. Detto fatto. Sono stati numerosi in quelle settimane di febbraio, marzo, aprile e maggio gli enti di Terzo settore da Nord a Sud che hanno modificando i loro servizi per rispondere alle conseguenze dell’emergenza. Così come sono state parecchie le persone che in quei giorni difficili si sono rimboccate le maniche per escogitare modi alternativi per non far sentire le persone sole e abbandonate a loro stesse. E le storie di Teresa, di Luigi e Maria Angela sono due minuscoli emblemi della vulnerabilità di chi già vive in una condizione di disagio e che ha rischiato di precipitare. Ma sono anche due icone che testimoniamo le innumerevoli risorse della solidarietà.
Spesa a domicilio. Consegna di farmaci. Supporto e aiuto telefonico. Palinsesti per far compagnia durante la giornata su Facebook. Didattica a distanza tramite piattaforme web e social. Tournée musicali virtuali e festival in streaming. Sono state solamente alcune tra le attività che le associazioni da Milano a Napoli, da Torino a Bari hanno messo in campo velocemente per sopperire all’emergenza Coronavirus e all’obbligo di restare a casa. È stata una sfida senza precedenti, tanto per le associazioni che hanno budget ridotti, quanto per le organizzazioni che operano nella galassia dei servizi sociali. Grazie al loro impegno, nonostante la pandemia, anziani, persone con problemi di salute, poveri e indigenti, senza fissa dimora, immigrati hanno potuto fare comunque affidamento sui servizi come mensa, dormitorio, docce, banche alimentari, cliniche gratuite e sulla mano tesa dei volontari per ogni evenienza.
Dal disinfettante fai-da-te ai concerti online
In un viaggio da Nord a Sud della Penisola raccontando le esperienze più significative della solidarietà made in Italy, la prima tappa è a Milano, dove c’è da segnalare la Fondazione Fratelli di San Francesco che nei giorni del lockdown, considerati i prezzi elevati e inaccessibili per i più poveri dei disinfettanti per le mani, ha deciso di produrli in casa seguendo la ricetta dell’Organizzazione mondiale della sanità. Il disinfettante è stato poi consegnato a tutti gli ospiti della mensa dei poveri e delle case di accoglienza.
Da Milano allargando il cerchio alla Lombardia, la regione più martoriata dalla pandemia, c’è l’infanzia che vive in contesti fragili, con i bambini che non hanno potuto andare a
scuola. Le associazioni che si occupano di minori hanno proseguito le loro attività “a distanza” con una vasta gamma di proposte: laboratori, idee per stimolare la creatività, sessioni di aiuto allo studio, racconto di storie interattive, letture di favole. Un ventaglio di attività reso possibile da internet oppure tramite Facebook o Whatsapp. Inoltre, grazie all’aiuto di donatori sono stati forniti i tablet con accesso al web per i nuclei familiari più bisognosi. In questo modo molti ragazzi hanno potuto seguire online le lezioni scolastiche. Sono tanti anche i bambini che sono stati supportati nello svolgimento dei compiti, grazie a spiegazioni e correzioni online, per evitare che questi mesi di assenza dalla scuola rallentassero il loro apprendimento.
Così come numerose associazioni culturali che si sono messe a disposizione della comunità. Un esempio è PianoLink che ha ideato una tournèe musicale virtuale: una serie di brevi interventi musicali in video che sono stati ospitati sulle pagine Facebook di
alcune organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti che si occupano della difesa e della cura delle persone più deboli. E ancora: un’iniziativa che merita una segnalazione è quella dell’Officina Corvetto di Milano che ha proposto i “Quaderni di una resistenza”, un racconto collettivo del periodo dell’isolamento a Milano e di come lo ha vissuto la metropoli. In tanti si sono sentiti chiamati a diventare narratori in prima persona di quelle
giornate fuori dalla normalità e alla ricerca di un’umanità che ha saputo resistere nonostante il virus, i decreti e la paura.
Disabilità, hub per il cibo e case di accoglienza
Un comune denominatore delle città italiane è stato il fatto che le organizzazioni impegnate nel campo della disabilità e fragilità, attraverso la gestione di diversi centri diurni per persone con disabilità, residenze protette, comunità socio sanitarie e micro
comunità per persone fragili e assistenza domiciliare, hanno dovuto improvvisare servizi e modalità diverse per stare vicino ai loro assistiti. Perché, malgrado il Coronavirus, le persone più fragili hanno continuato ad avere gli stessi bisogni di sempre, a cui però se ne sono aggiunti di nuovi, urgenti e complessi. Bisogni primari, come quelli di acquistare il cibo e le medicine, di ritirare le ricette dal medico di base, di avere un supporto psicologico.
Le associazioni più strutturate e organizzate hanno acquistato di tasca propria lotti di dispositivi di protezione personale e hanno continuato a operare in collaborazione con amministrazioni comunali e Protezione civile per aiutare coloro che non potevamo
uscire di casa. I cittadini hanno potuto anche richiedere pasti a domicilio, supporto psicologico telefonico, assistenza domiciliare e igiene ambientale…
Altre realtà del Terzo settore hanno lavorato per creare punti di stoccaggio di alimenti per famiglie bisognose di alcuni quartieri e spazi di raccolta della spesa presso alcuni centri socio ricreativi per anziani. Grazie a molti volontari sono stati preparati sacchetti personalizzati a seconda dei bisogni familiari, adeguati alle necessità dei membri della famiglia e, quindi, diversi a seconda che in casa ci fossero neonati o anziani.
A fronte dell’emergenza in tante città del nostro Paese sono state numerose anche le social street che hanno contattato i negozi di zona per effettuare consegne gratuite a domicilio, insieme a diverse attività di prossimità rivolte al vicinato.
Per quanto riguarda le comunità e le case di accoglienza che sono rimaste aperte, nonostante la pandemia, le associazioni in coro segnalano che «le condizioni degli ospiti, già compromesse, hanno imposto, in quei giorni di restrizioni, attenzioni ancora maggiori:
erano state ridotte al minimo le visite dei parenti e le uscite – comprese quelle di carattere sanitario – aumentando però il senso di isolamento e il timore per le condizioni di salute».
In questa situazione, il lavoro degli operatori «è stato particolarmente gravoso, in costante equilibrio tra la necessità di “mantenere le giuste distanze” a tutela innanzitutto degli ospiti e l’importanza di esprimere la massima vicinanza e sostegno».
Questo articolo è tratto dal numero di VDossier dedicato a “C’È DISTANZA E DISTANZA. Il contagio della solidarietà per creare un mondo nuovo”, che si può scaricare a questo link.