L’EUROPA PER I RIFUGIATI: SERVONO POLITICHE STRUTTURALI E INTEGRAZIONE
Le regole per l'asilo vanno riscritte e serve più solidarietà da parte di tutti. Intervista con Bruno Marasà
13 Ottobre 2017
Questo articolo sulle politiche dell’Europa per i rifugiati è tratto dal n. 2 (settembre 2017) di VDOSSIER, interamente dedicato all’immigrazione.
Flusso dei migranti e sicurezza ai confini sono una sfida per l’Unione Europea. I numeri parlano chiaro: nel 2015 ci sono stati 1,83 milioni di attraversamenti illegali delle frontiere,
scesi a 504 mila nel 2016. Sempre da due anni in avanti le domande di asilo sono aumentate. Centinaia di migliaia di persone, in fuga da guerra e persecuzioni, cercano protezione in Europa.
Ma il sistema di accoglienza è apparso incapace di far fronte a quest’ondata di rifugiati senza precedenti. In risposta a questa crisi, la revisione delle regole per l’asilo – all’interno di politiche strutturali dell’Europa per i rifugiati – è una priorità per l’Ue, soprattutto per assicurare che le responsabilità siano suddivise equamente fra tutti gli Stati membri.
L’EUROPA PER I RIFUGIATI. Programmi come il Fondo sociale europeo e il Fondo europeo di sviluppo regionale
offrono un sostegno finanziario agli altri Paesi membri per integrare i migranti. Infatti nell’aprile del 2016 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione, che sottolinea l’importanza dell’integrazione attraverso progetti che mettono a disposizione alloggio, corsi di lingua, dialoghi interculturali e formazione professionale. Mentre a luglio dello scorso anno gli eurodeputati hanno chiesto all’Ue di intervenire e di garantire
un’integrazione rapida dei rifugiati nel mercato del lavoro e nella società. La risoluzione evidenzia anche l’importanza dell’educazione e dello sport, invitando i Stati membri ad aiutare docenti e professori immigrati a trovare lavoro nell’insegnamento.
Secondo una bozza di relazione approvata dalla Commissione per le libertà civili nell’aprile del 2017 i richiedenti asilo dovrebbero poter lavorare nell’Ue entro due mesi dalla richiesta di asilo. I parlamentari europei, inoltre, insistono affinché i candidati alla protezione internazionale abbiano accesso ai corsi di lingua subito dopo la presentazione
della richiesta di asilo.
IL REGOLAMENTO DI DUBLINO. La procedura da seguire per fare richiesta dello status di rifugiato è determinata dal regolamento Dublino. Siccome il sistema attuale – creato nel 2003 – non è stato progettato per distribuire le domande di asilo fra i Paesi membri, il numero dei rifugiati in arrivo nei Paesi di frontiera, come Italia e Grecia, si è impennato nel 2015. È dal 2009 che il Parlamento invoca una revisione totale del “sistema” Dublino.
Ad aprile 2016 la Commissione europea ha proposto il cosiddetto “meccanismo correttivo di assegnazione” grazie al quale gli Stati membri possono condividere la responsabilità dei rifugiati in base alle risorse e alla popolazione del Paese stesso.
La proposta è attualmente al vaglio della Commissione Libertà civili di Strasburgo. Ma gli eurodeputati la voteranno nei prossimi mesi.
Sebbene non manchino delle divergenze, la maggior parte dei parlamentari sono d’accordo sul fatto che ogni Paese Ue debba fare la propria parte e che l’interesse dei minori che arrivano in Europa debba essere trattato con particolare considerazione.
L’INTERVISTA. Con Bruno Marasà, responsabile dell’Ufficio informazione a Milano del Parlamento europeo, riflettiamo sul tema dell’accoglienza e sulla sua dimensione emergenziale che sta mettendo a dura prova sia l’Italia sia l’Europa.
Una riflessione per capirne cause, fenomenologia e scenari. Ma è ugualmente importante seguire il percorso degli oltre 5 milioni di stranieri che si sono silenziosamente
integrati nei nostri territori, spesso partendo da una situazione di precarietà e di irregolarità.
A questo proposito quali sono le risposte che l’Unione Europea ha messo in campo?
«Il problema dei flussi migratori è diventato centrale nella vita europea ormai da alcuni anni. Di sicuro sono state affrontate emergenze umanitarie e si è cercato di fornire risposte rispettose dei diritti umani secondo gli standard europei, grazie all’azione di alcuni singoli Paesi e tra questi l’Italia ha fatto e sta facendo uno sforzo straordinario.
Non si può dire però che le risposte dell’Unione europea nel suo complesso, nonostante la mobilitazione di importanti risorse finanziarie e la ricerca di un migliore coordinamento tra gli Stati membri, abbia dato i risultati sperati. Si continua ad agire cercando di rispondere alle emergenze, ritardando l’adozione di politiche strutturali e, soprattutto, la ridefinizione
delle regole per l’asilo e l’immigrazione pensate in momenti diversi e del tutto incapaci
oggi di rispondere alla nuova dimensione assunta dai fenomeni migratori. Il fatto che sia sempre più difficile distinguere tra richiedenti asilo, perché in fuga da conflitti aperti (Siria, Corno d’Africa), da coloro che fuggono alle carestie e alla povertà, mossi spesso solo dalla disperazione, non rende certamente più facile attivare politiche di accoglienza degne di questo nome.
In ogni caso l’Unione europea, e in particolar modo il Parlamento europeo, si sono impegnati in dibattiti e confronti molto incisivi su questi temi. Oltre all’agenda per le migrazioni varata nel 2015, si sono adottate misure urgenti per l’aiuto umanitario e il sostegno alla cooperazione verso alcuni Paesi africani. L’istituzione di un Fondo di sviluppo sostenibile per l’Africa con una dotazione iniziale di 4 miliardi di euro, destinati a mobilitare oltre 40 miliardi di investimenti, costituisce senz’altro una prima risposta».
Sono ormai diversi anni che l’Europa si trova nella situazione di approntare risposte emergenziali sui flussi migratori. Ha sottovalutato il fenomeno? E se così fosse stato, cosa significa sottovalutare l’immigrazione?
«Non ci sono dubbi che il fenomeno dei flussi migratori è stato largamente sottovalutato in tutti questi anni, anche se è vero che la crisi siriana e altri conflitti recenti hanno posto in una luce (e in una dimensione numerica) molto diversa quello che stava succedendo.
Sottovalutare l’immigrazione significa evitare di fare i conti con una realtà evidente.
Come ha ricordato recentemente il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, “nei prossimi anni milioni di africani potrebbero lasciare la loro terra per mancanza di alternative. È nostro interesse vitale costruire un nuovo partenariato con l’Africa”.»
Infatti in Italia sono molte le critiche sulla gestione europea dell’immigrazione e sulla collaborazione con Bruxelles. Quali sono corrette e quali infondate?
«La critica principale riguarda sicuramente la mancata modifica delle cosiddette “Regole di Dublino”, che obbligano i Paesi di prima accoglienza ad ospitare i nuovi migranti sino al chiarimento della loro situazione personale e dell’accertamento del diritto all’asilo. È evidente che questa regola non è adeguata ed oggi, per fortuna, c’è un’ammissione
sempre più ampia della necessità di modificarla. Ed è quanto invece da tempo, e con
una larghissima maggioranza, ha chiesto il Parlamento europeo.
Purtroppo la posizione di alcuni Paesi europei (quelli del cosiddetto gruppo di Visegrad: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) sta ritardando la revisione delle Regole di Dublino e quindi l’avvio di una vera e propria solidarietà europea di fronte al fenomeno.
Mentre invece da tempo e con una larghissima maggioranza è quanto ha chiesto il Parlamento europeo. Un primo passo si era fatto con l’adozione del Piano
della Commissione europea per il trasferimento di 160 mila rifugiati all’interno dei 28 Stati membri entro settembre 2017. Purtroppo questo piano rimane largamente inattuato ed è stato applicato solo per molto meno di un quinto dell’obiettivo.
Questa critica è, dunque, sicuramente fondata, anche se richiede una maggiorare comprensione dei meccanismi decisionali dell’Unione europea, che lasciano per molte materie come quella dell’immigrazione e quella dell’asilo l’ultima parola agli Stati
membri rischiando di vanificare piani e proposte adottate dalla Commissione europea e dal Parlamento europeo. Non si dovrebbe parlare quindi genericamente di Bruxelles, ma prendere in considerazione le posizioni delle diverse istituzioni e soprattutto di
quelle dei singoli governi.»
Uno degli obiettivi europei è quello dell’integrazione dei flussi migratori nel tessuto sociale, economico e politico, garantendo loro diritti e al contempo imponendo obblighi analoghi a quelli dei cittadini europei. Ma il principale strumento di integrazione è rappresentato dal lavoro. Su questo tema, come si sta muovendo l’Ue? Quali sono gli ingredienti di una buona integrazione?
«Anche in questo caso, purtroppo, si deve rilevare che ci sono ritardi. Di fatto si sono molto ridotte, se non addirittura chiuse, nella stragrande maggioranza dei Paesi europei, compresa l’Italia, le vie di accesso legali dei migranti al mercato del lavoro. Questo dato
non corrisponde affatto alle esigenze invece che ci sono in molti settori lavorativi, come possiamo constatare quotidianamente. Ciò significa, tra l’altro, favorire il lavoro nero, il caporalato nell’agricoltura e, in definitiva, il traffico di esseri umani da parte di organizzazioni criminali.
Una buona integrazione, d’altra parte, richiede grandi capacità di governance, un buon coordinamento tra i livelli centrali e periferici e sicuramente adeguate risorse finanziare tali da permettere un’accoglienza che consenta di assicurare ai migranti alloggi decenti, assistenza sanitaria, lo studio della lingua del Paese di accoglienza.
Ci sono buone pratiche che conosciamo (in Germania, in Svezia, ma anche in Italia) che però non coprono assolutamente le esigenze del fenomeno. E non si dovrebbe sottovalutare, infine, la dimensione circolare delle migrazioni: quella che dovrebbe
permettere a giovani dei paesi africani e di altre parti del mondo di frequentare le nostre scuole e le nostre università, per favorire l’emergenza di nuovi quadri e nuove classi dirigenti nei Paesi d’origine. L’estensione del programma Erasmus Mundi e lo
strumento della Carta Blu, che si sta cercando di rilanciare, anche con nuovi mezzi finanziari e procedure più semplificate, potrebbero costituire a questo riguardo
un importante strumento.»
(Le foto di questo articolo sono state scattate da Giorgio Marota alla manifestazione “La nostra Europa”, Roma 25 marzo 217)