FANTASMI URBANI: QUEI 1.000 APOLIDI CHE CI OSTINIAMO A NON VEDERE
Vengono dalla ex Jugoslavia, per la maggior parte sono minori e abitano nei campi rom. Un'indagine dell’Associazione 21 Luglio
24 Dicembre 2020
Nel 1922, per ovviare al problema della mancanza di documenti d’identità delle centinaia di migliaia di rifugiati reduci dal primo conflitto mondiale, la Società delle Nazioni, nella persona di Fridtjof Nansen, ideò un documento atto a superare tale impasse. Questo documento, passato alla storia col nome di Passaporto di Nansen, permise a 450mila persone, tra rifugiati e profughi apolidi di poter ricorrere alla protezione internazionale. Il Passaporto smise di avere valore legale nel 1938, in pieno secondo conflitto mondiale, ma costituì il primo strumento legale per la tutela dei rifugiati.
Apolidi, quanti sono?
Sebbene la mancanza di documenti d’identità validi sia la prima causa di marginalità per profughi e rifugiati, esiste, per alcuni di essi, una condizione assai peggiore dell’essere “sans papier”, ovvero quella di essere senza cittadinanza; un’anomalia che comporta un effetto devastante sulle loro vite. Per tale motivo, gli organismi internazionali e nazionali sono, da anni, fortemente impegnati nel contrasto all’apolidia, ad esempio il Global Action Plan to End Statelessness, promosso dalle Nazioni Unite, è un piano decennale che ha come obiettivo l’azzeramento dell’apolidia entro il 2024. Le stime dell’Unhcr parlano di cifre che spaziano dai 3 ai 10 milioni di apolidi nel mondo. Mentre in Italia, le indagini sul fenomeno – poche in realtà – stimano, o per meglio dire sovrastimano, che il numero degli apolidi si attesti tra i 15.000 e i 25.000. Sfortunatamente, la difficoltà nello studiare quantitativamente il fenomeno rende difficile un conteggio preciso; quello che si conosce con certezza però, è che la maggior parte degli apolidi che risiedono in Italia sono persone fuggite dall’ex Jugoslavia.
Un prezioso contributo in questo senso è stato dato dall’Associazione 21 Luglio, la quale ha condotto una ricerca “Fantasmi urbani, la condizione dei cittadini rom di origine jugoslava negli insediamenti italiani”, presentata lo scorso 21 Dicembre, sulla condizione giuridica degli ex jugoslavi che risiedono negli insediamenti formali e informali italiani.
Tanti i minori
La ricerca parte dal Rapporto Annuale “Periferie Lontane”, redatto dall’associazione, sulla condizione abitativa di circa 20.000 rom e sinti residenti negli insediamenti italiani. Tra loro sono presenti circa 7.300 persone provenienti dall’ex Jugoslavia. Di queste, 5.300 risiedono negli insediamenti formali mentre le restanti 2.000, vivono all’interno di insediamenti informali.
Secondo l’indagine, il 55% di esse è minorenne e la quasi totalità è formata da cittadini provenienti da Bosnia Erzegovina, Montenegro e Macedonia. Sono sostanzialmente tre i momenti storici che hanno provocato grandi migrazioni dai Balcani: il primo è avvenuto nel 1967; il secondo negli anni ’80, a seguito della morte di Tito; mentre l’ultimo si è avuto negli anni ’90, con l’inizio delle guerre jugoslave.
Obiettivo dell’indagine è quello di indagare lo status giuridico di queste persone e il loro rischio apolidia. Il campione adottato ha interessato 2666 persone; di cui una parte Korakhanè del Montenegro e della Bosnia e la parte restante Dasikhanè della Serbia. Gli insediamenti vagliati sono stati 17 in 5 regioni italiane: Lazio, Sardegna, Piemonte, Campania e Toscana.
Dalla ricerca sono emerse 4 macrocategorie:
- la prima è composta da persone prive sia di passaporto che di permesso di soggiorno, e costituisce l’11,7% del campione, 313 individui di cui 165 minori;
- la seconda è composta da persone che possiedono il permesso di soggiorno ma non hanno il passaporto, e sono il 3,4% del totale, ossia 90 persone di cui 50 minori;
- la terza categoria, la più numerosa, comprende coloro che possiedono sia permesso di soggiorno che passaporto. Questi ultimi rappresentano l’81,3% del campione mentre;
- il restante 3,6% degli intervistati rientra nella categoria quattro, composta da 97 persone o in attesa di apolidia, o che vivono in una coppia mista, all’interno della quale uno dei due conviventi è privo di documenti validi (passaporto e/o permesso di soggiorno) o è apolide.
Sradicare il fenomeno una volta per tutte
I risultati della ricerca mostrano che le persone che vivono nei campi informali e formali a rischio di apolidia sono circa 1000, di cui la metà minori. Durante la presentazione della ricerca, Carlo Stasolla ha evidenziato come tale indagine deve essere uno strumento volto a «ri-orientare le policy di contrasto all’apolidia. Se fino a oggi, c’è stata la tendenza, da parte delle istituzioni, a intervenire con azioni considerevoli come disegni di legge o importante progettualità, probabilmente le policy, alla luce dei numeri emersi, dovrebbero venire orientate su interventi più mirati volti a risolvere il problema nello specifico, visto che 1.000 persone significano 200-250 famiglie in tutta Italia.»
Alla presentazione della ricerca hanno preso parte, tra gli altri, Marco Zanne di Associazione 21 luglio, Helena Behr di Unhcr e Roberto Bortone dell’Unar.
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