FEBBRE: IL LIBRO CHE RACCONTA COME ACCETTARE L’HIV E CONVIVERCI
Il romanzo di Jonathan Bazzi si intitola "Febbre" ed è un documento vivido e vibrante sull’hiv e uno struggente romanzo di formazione
03 Agosto 2020
«Tre anni fa mi è venuta la febbre e non è più andata via. 11 gennaio 2016. Trentun anni non ancora compiuti. Torno dall’università: è ora di pranzo, ma non ho fame. Cos’hai? Non mi sento tanto bene, forse mi sta venendo la febbre. Mi metto sul divano, non riesco a leggere. La febbre mi viene. Non va più via. Una settimana, due settimane. Un mese. 38, 38 e mezzo, poi s’abbassa ma si blocca lì. 37.4, 37.3, non smette, non passa. La colonnina di mercurio incantata».
Inizia così “Febbre”, il romanzo di Jonathan Bazzi (Fandango), recente finalista al Premio Strega. È l’intensa storia della scoperta di una malattia, di avere il virus dell’Hiv, dell’incertezza che, dai primi sintomi, porta alla diagnosi, per arrivare alla consapevolezza, all’accettazione e alla convivenza con il virus.
Per chi è cresciuto a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta, l’Hiv (allora si parlava di Aids, la malattia, e non del virus), erano gli inquietanti e stigmatizzanti aloni viola del primo spot diffuso in televisione, o le macchie sul corpo e sul volto di Tom Hanks in Philadelphia. Oggi è molto diverso, l’Hiv si può controllare, con l’Hiv si convive. Ma non è comunque facile. E mai avevamo letto un racconto così vivido come “Febbre”, capace di raccontare i segnali che manda il corpo, l’inquietudine che si crea nella testa di chi attende una risposta, un nome da dare al proprio malessere, di chi accetta la propria condizione, teme che la malattia non si limiti solo a quello, e alla fine trova la propria dimensione. Chi riesce a convivere con il virus. Jonathan Bazzi, prima su una testata on line, poi in questo libro, ha deciso di raccontare e di raccontarsi. «Ho deciso di essere un sieropositivo che si lascia individuare, che racconta più che lasciarvi immaginare. La precisione è l’arma di cui mi sono munito. La compagnia degli altri, la soluzione che ho scelto».
Odissea e romanzo di formazione
“Febbre” di Jonathan Bazzi è fatta di due storie in uno. Quella del giovane uomo alle perse con la malattia e di quel bambino, poi ragazzo e adolescente, che diventa quell’uomo. Il romanzo alterna l’Odissea di Jonathan tra sintomi, medici, ospedali, diagnosi, («un pellegrinaggio da un ospedale all’altro» come lo definisce l’autore) a un lungo flashback che viaggia indietro nel tempo, e torna indietro nella Rozzano degli anni Ottanta, nei quartieri popolari dove Jonathan è cresciuto.
Come un film che procede in montaggio alternato (è così, le due storie si avvicendano regolarmente, a turno, occupando un capitolo per volta), assistiamo passo per passo alla scoperta dell’Hiv da parte dell’autore, con una prosa a tratti nervosa, senza fiato, un flusso di coscienza che ci riporta, in maniera vivida, concreta, senza sconti, ogni sensazione fisica, ma anche ogni viaggio che la nostra mente fa quando si trova in situazioni di questo tipo. L’altra storia, dal respiro più ampio, è un romanzo di formazione struggente, quella di un bambino non desiderato, cresciuto a casa dei nonni tra una mamma sola e un papà che chiama di rado, lo porta a comprare i giocattoli e sparisce. Un romanzo che lo segue poi durante la scuola, le prime esperienze sentimentali, per arrivare a ricongiungersi alla storia principale.
Rozzano, un Sud senza il calore del sud
Il racconto dell’infanzia del protagonista coglie nel segno. È estremamente vivido nel ricordare certi ambienti, in cui crescere fa la differenza, e che restano dentro anche una volta che sono stati abbandonati. La Rozzano, rozzangeles, fatta di palazzoni di edilizia popolare, criminalità, e la torre della Telecom a svettare alta in mezzo al paese come un segnalino del Monopoli.
C’è un dato, del racconto di Bazzi, che ci ha colpito molto. «A Rozzano tanta gente ha origini meridionali, ma Rozzano non è Sud. È una specie di Sud senza il calore del Sud. È Sud sradicato e reimpiantato in fretta. Un concentrato delle difficoltà delle piccole periferie della Calabria, della Sicilia, della Puglia, della Campania, innestato in mezzo al freddo e alla nebbia della Pianura Padana, in mezzo ai suoi ritmi, ai suoi standard. È Sud raffreddato, senza mare, senza famiglia, senza più tradizioni intorno. Rozzano è Sud sequestrato, incattivito, in cattività». È un ambiente dove sembra quasi impossibile vivere l’amore in maniera serena, dove le giovani famiglie sembrano nascere e svanire in fretta, come quella dei genitori di Jonathan, uniti e presto divisi. «Tina e Roberto, la storia dei miei genitori è la storia di un amore diventato in fretta odio e ripicca. Una storia d’amore a Rozzano: il paese in cui vivono i miei è una specie di matrice che si riproduce in scala. Rabbia e conflitto si irradiano, in piccolo, ovunque».
La pillola rosa
L’altra storia, quella principale del libro, è una ricostruzione accurata, ricca di dettagli sulle sensazioni fisiche e sulle ricadute psicologiche di una condizione. Insieme a Jonathan attraversiamo, le condividiamo con lui, tutte le fasi della malattia. I sintomi, la paura, lo sfinimento, il labirinto kafkiano di analisi, referti, sale d’aspetto e incontri con i medici. La testa che ti fa pensare al peggio, ma proprio al peggio. Fino alla diagnosi, il virus dell’Hiv accolto quasi con sollievo.
«Quando mi capita di raccontare alla gente, agli amici, al mio medico di famiglia, il modo in cui ho reagito alla diagnosi nessuno capisce come sia possibile. Perplessità, sguardi confusi. Sì, nel momento in cui scopro di avere l’HIV io sono contento. Sollevato. La contrapposizione bene contro male è ingenua: ogni cosa che attraversiamo in realtà ha gradi, disegna un paesaggio. La definizione di vette e affossamenti è relativa. Sto così da troppo tempo, non ne posso più. Non so cosa significhi essere sieropositivo, ma lo sono già: il corpo ha giocato d’anticipo».
Ma seguono altre paure, che l’Hiv non sia solo, ma che ci sia altro. Arriva poi una fase di consapevolezza, ci convivenza. C’è il supporto a livello psicologico. Ci sono delle terapie, dei farmaci. C’è quella pillola rosa, un rituale da fare ogni giorno, da non smettere mai. Ma è quell’alleata che permette di vivere una vita normale, o quasi. «Passati i primi tempi, assumere la pastiglia è diventato un gesto automatico, che rischio di compiere senza rendermene conto. Ho dovuto prendere provvedimenti: dai cinesi ho comprato un portapillole coi giorni della settimana. Ogni lunedì lo riempio con le sette pastiglie. Con quello è facile: se la casella del giorno è vuota vuol dire che l’ho presa».
Dai passi del libro che abbiamo riportato si capisce che cosa sia Febbre. Un libro denso di paure ed emozioni, ricchissimo di storie e umanità. Un libro da leggere tutto d’un fiato. Un libro che lascia senza fiato.
_________________________________________________
Jonathan Bazzi
“Febbre”
€ 18,50
Ed. Fandango 2020
Se avete correzioni o suggerimenti da proporci, scrivete a comunicazionecsv@csvlazio.org