I FIGLI DI IMMIGRATI VENGONO DISCRIMINATI ED ETICHETTATI COME TERRORISTI
Allarmanti le proiezioni dell'Unar sui primi dati 2017: a seguito del dibattito sullo ius soli aumenta la discriminazione
07 Luglio 2017
Figli di immigrati discriminati ed «etichettati come terroristi», con il dibattito sullo ius soli che fa aumentare il fenomeno d’odio: questa la fotografia, scattata dalle proiezioni sui primi dati 2017 dell’Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, che fa capo al Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ad affermare che spesso i ragazzi di seconda generazione sono etichettati come terroristi è stato Mauro Valeri, esperto di immigrazione di Unar, che ha spiegato a “Redattore Sociale” come il fenomeno non sia basato su dati reali, ma su una «percezione distorta».
Nel 2016 l’Unar ha aperto 2939 istruttorie, di cui 2652 sono risultate pertinenti. Il 69% di queste ha riguardato fatti discriminatori per motivi etnico razziali, di cui il 17% riguarda la comunità Rom, Sinti e Caminanti, mentre il 9% delle discriminazioni è per motivi religiosi o per convinzioni personali. 227 i casi riguardanti persone discriminate in quanto straniere, 199 casi in quanto profughe o richiedenti asilo, mentre 158 sono i casi di discriminazione per il colore della pelle.
Figli di immigrati discriminati? Non solo. Un altro dato allarmante riguarda il 16% dei casi riferiti a comportamenti discriminatori legati alla disabilità. Il 9% dei discorsi d’odio sono legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere e il 5% all’età. Sono circa 2.100.000 i contenuti potenzialmente discriminatori, che ogni anno vengono rilevati sul Web dall’Unar, perché da alcuni anni l’attività di monitoraggio, già presente sui media tradizionali, viene fatta anche sui social network (Fb, Twitter, Google Plus e Youtube), oltre che su articoli di giornale online, blog, siti di fake news.
Negli ultimi anni la percentuale dei casi di discriminazione nei confronti degli italiani di pelle scura è stata sempre più o meno pari a circa il 30 per cento di tutte le denunce: un caso su tre. Figli di immigrati discriminati non solo sul Web, ma anche sui luoghi di lavoro, da parte di colleghi o datori. C’è poi la profilazione etnico razziale, negli episodi in cui le forze dell’ordine fermano i ragazzi di colore solo in base all’aspetto, e non in base ai comportamenti tenuti. «Ormai su questo tema abbiamo un’ottima collaborazione col ministero dell’Interno», ha detto Valeri. «Da 5 anni andiamo in tutte le tredici scuole di formazione degli allievi di polizia e spieghiamo di evitare la profilazione razziale», ha aggiunto.
Tornando al monitoraggio della discriminazione sul Web, l’Unar opera mettendo sotto la lente i contenuti hate speech. Questi «oltre a fornire un quadro imprescindibile di comprensione e lettura del fenomeno discriminatorio, rappresentano per l’Ufficio una sfida continua, che richiede un costante approfondimento giuridico, semantico e concettuale: bisogna infatti stabilire se determinati post o commenti ad articoli di giornale possano rappresentare una discriminazione oppure rientrino nella libera manifestazione del pensiero. Visti i numeri, ritengo che sia opportuno un maggiore coordinamento tra tutti coloro che sono attivi su queste tematiche, anche per meglio coordinare una efficace strategia di prevenzione e di contrasto», ha dichiarato Valeri all’AdnKronos.
In linea generale, sottolineano dall’ufficio stampa dell’Unar, «in assenza di una definizione univoca di hate speech a livello nazionale ed internazionale ed in considerazione della attuale normativa, l’Osservatorio valuta e seleziona stabilendo di segnalare all’autorità giudiziaria quelli che palesemente incitano alla violenza richiedendone, contestualmente, la rimozione ai social network o all’amministratore del sito che ospita il contenuto discriminatorio».