LA FORMAZIONE DEL VOLONTARIATO SANITARIO
Domande e proposte per sapere, saper fare e saper essere in un ambito che deve affrontare molte nuove sfide
di Paola Atzei
04 Maggio 2016
Volontariato in sanità: è questo il tema del numero 3 del 2015 di V Dossier. Da qui è tratto il contributo che proponiamo.
La formazione del volontariato sanitario ha da sempre rivestito un ruolo molto importante nell’esperienza di chi si affaccia al volontariato e di chi, svolgendolo da tempo, necessita di momenti di supporto e di miglioramento delle proprie competenze. Soprattutto nell’ultimo decennio, ha accompagnato la crescita delle organizzazioni nel leggere i cambiamenti di sistema sanitario e di welfare, nell’interpretare la propria funzione solidale e sussidiaria e nel diversificare attività e servizi e ampliare i contesti d’intervento, sperimentando spesso nuove prassi nell’operatività, nella collaborazione con le strutture sanitarie e promuovendo politiche più aderenti ai bisogni e problemi reali delle persone.
L’iter per diventare volontari in ambito sanitario, soprattutto nei contesti di cura e trattamento della malattia, è molto “severo”, selettivo e qualificante, se paragonato ai percorsi svolti in altri ambiti di volontariato (welfare e non welfare). Scrupolosità e severità che si spiegano con la delicatezza dell’utenza, dei “temi trattati” (la sofferenza, la malattia, la morte, il senso di frustrazione) e per le responsabilità professionali verso il malato da parte del personale medico e sanitario col chiaro mandato istituzionale di prevenzione, diagnosi, trattamento e cura; ma si spiega anche come forma di “protezione” del volontario e del suo beneficiario, per il forte rischio di coinvolgimento emotivo e di stress psicologico a cui possono andare incontro operatori volontari se non adeguatamente preparati e lasciati in solitudine.
In questo ambito, infatti, la dimensione di gruppo, il senso di appartenenza, di condivisione e confronto che un’organizzazione può offrire diventa, ancora più che altrove, la garanzia contro il senso di abbandono, impotenza e solitudine, rafforzata dall’accompagnamento formativo iniziale e permanente come percorso di crescita personale e di gruppo, lungo l’arco dell’esperienza.
Orientamento, selezione e formazione del volontariato sanitario
Per la peculiarità di attività ad alto contenuto relazionale e ad alto investimento emotivo, diventa molto importante vagliare fin dall’inizio l’idoneità dell’aspirante volontario, attraverso le sue motivazioni, aspettative, attitudini e competenze trasversali di partenza.
Molto spesso, quindi, la formazione di base è preceduta da un’attenta fase di conoscenza, orientamento e selezione delle persone che richiedono di fare volontariato. Il colloquio ha anche lo scopo di fornire informazioni sull’associazione utili per permettere di scegliere gli ambiti di attività che il volontario sente più congeniali e per i quali il suo impegno sarà valutato più idoneo e funzionale.
Colloquio di selezione, formazione di base, esperienza di tirocinio, colloquio di valutazione rappresentano i passaggi fondamentali presenti, in forme più o meno strutturate e codificate, nelle associazioni di piccola o grande dimensione.
La formazione di base molto spesso è organizzata internamente dalla associazione stessa, anche nelle piccole organizzazioni, con incontri tenuti prevalentemente da medici e psicologi che operano all’interno della struttura sanitaria, da esperti o da volontari-formatori. Si svolgono il più delle volte nell’arco di un tempo utile per favorire la riflessione e la rielaborazione sui contenuti, sulle motivazioni, le potenzialità e limiti del ruolo del volontario.
La formazione iniziale si concentra prevalentemente sugli aspetti comunicativi e relazionali del rapporto con il paziente e la sua famiglia, con particolare attenzione alla relazione d’aiuto, l’ascolto attivo e l’empatia; sulle funzioni, strutture e compiti del sistema sanitario, ospedaliero, dei servizi sanitari e socio-assistenziali del territorio, sui ruoli e responsabilità del personale sanitario e assistenziale e le forme di collaborazione; sul concetto di malattia e sofferenza, su specifiche patologie e relativi percorsi di trattamento e cura.
Uno spazio importante è dedicato alle motivazioni al volontariato, alla dimensione relazionale come peculiarità e valore aggiunto della cittadinanza attiva per la costruzione del bene comune e del capitale sociale.
Vengono affrontati livelli tematici e di competenze anche per le altre aree di attività: prevenzione, promozione, fund raising, comunicazione sociale ed esterna, progettazione e per aspetti gestionali ed organizzativi interni all’associazione.
L’iter formativo
Questo percorso acquista la sua valenza formativa non solo per gli obiettivi di apprendimento e miglioramento di competenze, ma perché rappresenta un’importante occasione di confronto e di crescita per i cittadini futuri volontari (come persona e come gruppo) e per l’organizzazione stessa. Un’occasione per:
- far conoscere la storia, i valori, l’approccio dell’associazione nei confronti del malato e della sua rete di relazioni, delle strutture e del personale sanitario, alla base degli interventi e servizi, il proprio regolamento o codice deontologico e di comportamento;
- far riflettere gli aspiranti volontari sulle proprie motivazioni e aspettative, sulla disponibilità di “mettersi in gioco”, di fronte alla sofferenza e alla morte, in relazioni d’aiuto e supporto empatico; sulla coerenza dei propri valori di solidarietà, vicinanza all’altro e tutela dei diritti e con quelli dell’associazione per costruire l’esperienza di volontariato in modo collaborativo, organizzato, gratuito e continuativo nel tempo con altri volontari;
- far maturare la consapevolezza dell’esigenza di formarsi per operare in modo competente; essere più attrezzato nel gestire situazioni e relazioni ad elevato coinvolgimento emotivo, a rischio burn-out; e saper accettare i limiti del proprio ruolo di fronte alla malattia e alla morte e nel rispetto degli altri ruoli;
- conoscere e “valutare” meglio le persone che vorrebbero diventare volontari nell’associazione; comprenderne le caratteristiche personali, le motivazioni, le capacità (a livello comunicativo, empatico, progettuale) soprattutto per il tipo di utenza a cui si rivolgeranno e il contesto in cui opereranno (malati oncologici, bambini, hospice, domicilio, pronto soccorso);
- accogliere i volontari anche come portatori di esperienze, competenze ed energie nuove da valorizzare, per porre le basi per una relazione di collaborazione e fiducia e far crescere e attualizzare l’associazione.
Terminato il corso, l’aspirante volontario inizia l’esperienza di tirocinio diretta “sul campo” guidata dal tutor o coordinatore, un volontario senior che lo supporta nella messa in pratica delle competenze, nei momenti critici pratici, emotivi e relazionali e verifica insieme a lui l’andamento dell’esperienza, la crescita e la consapevolezza dei limiti e potenzialità del suo ruolo.
Questa importante fase di selezione e formazione si conclude poi con un momento di confronto e valutazione con il volontario sull’idoneità o meno a proseguire e in quale attività o servizio. La formazione permanente, pur assicurando l’aggiornamento su tematiche tecnico-specialistiche, e sulle metodologie di intervento, mira a rispondere ai bisogni maggiormente espressi dai volontari di avere uno spazio di contenimento dei vissuti emotivi, di crescita individuale e di gruppo che tenga in armonia l’impegno quotidiano qualificato con il valore e il senso dell’esperienza di volontariato e rafforzi il senso di appartenenza e del lavoro di gruppo. Attraverso le metodologie della supervisione e dell’intervisione le parole chiave per consolidare e migliorare competenze sociali, psicologiche e delle relazioni d’aiuto diventano: rielaborazione, riflessività, analisi, confronto, scambio di esperienze e buone prassi.
Con questo quadro si è voluto tracciare l’iter per la formazione del volontariato sanitario, che ruota intorno alle tre dimensioni del Sapere, Saper fare e Saper essere e che contraddistingue la maggior parte delle organizzazioni non profit in ambito socio-sanitario con le dovute differenze territoriali, di contesto (ospedaliero-reparto, pronto soccorso, ambulatoriale, assistenza domiciliare, hospice) di tipologia di malato (anziano, bambino, oncologico, con patologie rare, in riabilitazione, in fine vita).
Esperienze maturate per anni in contesti di prevenzione, diagnosi, cura e assistenza sanitarie con la collaborazione delle strutture e del personale sanitario, spesso esso stesso sostenitore di progetti e associazioni di volontariato, e con una costante attenzione alla qualità degli interventi, hanno consolidato prassi e modelli di formazione interna in base a ruoli, attività e servizi, contesti d’intervento e caratteristiche del malato, della tipologia e fase della malattia. Significativi modelli formativi di realtà associative quali la Federavo, Federazione Nazionale tra le Associazioni di Volontariato Sanitario, la Lilt, Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, la Fcp, Federazione Cure Palliative che rappresentano un patrimonio per tutte le organizzazioni che vogliano potenziare le loro prassi formative e declinare i pro- fili dei volontari in competenze specifiche necessarie per differenti ruoli e attività.
La fase progettuale
In questo tipo di percorsi per la formazione del volontariato sanitario vorremmo sottolineare l’importanza riservata alla fase progettuale della formazione: che non segua protocolli o standardizzazioni decontestualizzate, ma che per la formulazione degli obiettivi di consapevolezza e competenza da rag-giungere, dei risultati extra-apprendimento a cui mira, si lasci guida-re da ipotesi e quesiti, come
- a quali bisogni di competenza risponde la proposta formativa che offriamo e quali ricadute ci prefiguriamo in forma diretta e indi- retta? Quale spazio dedicato all’analisi diretta delle esigenze dei volontari e alla lettura dei cambiamenti dei beneficiari?
- Quali metodi e strumenti, quali professionalità meglio si coniuga- no con gli obiettivi di un’esperienza formativa in cui i risultati sia- no frutto dell’interdipendenza tra apprendimento, partecipazione attiva e benessere?
- L’approccio sottostante mira a potenziare (empowerment) i volontari, a sviluppare apprendimenti generativi, o rischia di “sclerotizzare” prassi operative, schiacciare le funzioni del volontariato in dinamiche asimmetriche di legittimazione del sistema in cui si opera?
- In quale contesto organizzativo e socio-territoriale si inserisce l’azione formativa, quale tipo di “comunità” contribuisce a sviluppare? Quale ruolo dei volontari e dell’associazione contribuisco a sviluppare nel rapporto con le altre figure dei sistema in cui operiamo?
- Come restituire senso, concretezza e utilità al tempo e all’impegno “speso” per la formazione, che nel volontariato sono ricavati da quello già donato perle attività e la vita associativa?
Le nuove esigenze formative
In questi ultimi anni sono andate sviluppandosi delle nuove attenzioni da parte del volontariato sanitario e socio-sanitario, ulteriori “richieste” sussidiarie, se non di vera e propria delega da parte del settore pubblico, nuove emergenze, nuove frontiere d’intervento e innovazione che aprono a bisogni formativi nuovi o ancora attuali, tematiche e metodologie da sperimentare per la formazione del volontariato sanitario. Tra queste:
- la resilienza individuale e comunitaria, l’empowerment, l’auto- mutuo-aiuto non solo per il malato e la sua rete di relazione, ma anche per i volontari, le organizzazioni non profit, gli operatori socio-sanitari e socio-assistenziali;
- la medicina narrativa e lo storytelling, metodologie per la valorizzazione di storie, esperienze, valori, identità di malati, familiari,
volontari e operatori e il loro impatto sociale e psicologico; - l’approccio alla salute e alla malattia nelle culture dei cittadini immigrati: mediazione e multiculturalità nei contesti sanitari e assistenziali;
- la funzione di advocacy di reti di volontariato (cittadini, utenti, familiari) in sanità: da progetti di promozione e comunicazione sociale del diritto alla salute alle campagne “politiche” di rispetto e attuazione di diritti negati, fino alle azioni dei Comitati consultivi di controllo della qualità dei servizi e della comunicazione sanitaria;
- la cittadinanza generativa e il welfare generativo in sanità: valorizzazione dei cittadini da utenti/bisognosi a risorsa e capacità, per favorire il passaggio da logiche di costi a politiche di investi- mento;
- l’economia della condivisone, il fund raising di comunità e responsabilità sociale del Profit in ottica comunitaria;
- le cure palliative, come paradigma dei nuovi sistemi di welfare e una stima di almeno 4 mila volontari impegnati per la de-ospedalizzazione della cura, l’umanizzazione e la dignità del malato e della famiglia;
- il volontariato per il caregiver informale: prendersi cura di chi ha cura.
Per quanto riguarda la formazione del volontariato sanitario, si pongono quindi importanti sfide e prospettive che chiamano in causa non solo il non profit e le agenzie formative dei bacini istituzionali, ma anche i Centri di servizio, su come la formazione possa favorire processi partecipativi tra il volontariato sanitario e il volontariato del welfare e possa essere funzionale ad un volontariato che cerchi di rafforzare il proprio ruolo politico, di advocacy e operativo per una visione sussidiaria di garanzia e tutela della salute come qualità della vita; di approcciare bisogni emergenti multidimensionali che intrecciano aspetti sociali, socio-assistenziali e sanitari sostenendo risposte integrate in reti di cura territoriali (pubblico, non profit e profit); e non ultimo, di ”presidiare” e rinnovare la cultura della solidarietà, del legame sociale e di fiducia e della relazione di cura e di prossimità tra le persone.