FRANCO PARASASSI. TRA PROFIT E NON PROFIT UN RAPPORTO SEMPRE PIÙ STRETTO
Franco Parasassi, Presidente Fondazione Roma, interverrà sui rapporti tra profit e non profit nel convegno CSV Lazio del 16 Giugno. «Le iniziative di Fondazione Roma sono buone prassi a disposizione di chi voglia seguire il nostro stesso percorso»
09 Giugno 2023
«Fondazione Roma opera direttamente sul territorio con proprie iniziative, che si fanno apprezzare non solo per i loro risvolti di utilità sociale, socio sanitaria, socio assistenziale o socio culturale, ma anche perché sono di esempio ad altri che potrebbero seguire il nostro stesso percorso. Sono buone prassi a disposizione di chi si vuole impegnare in queste attività».
A parlare è il Presidente di Fondazione Roma, Franco Parasassi, che porterà il suo contributo e il suo punto di vista di osservatore privilegiato alla tavola rotonda dedicata allo scambio di competenze e pratiche tra profit e non profit, in occasione del convegno CSV Lazio del prossimo 16 giugno, dal titolo Costruire il presente immaginando il futuro.
Lei porterà la sua esperienza nel panel dedicato al rapporto tra mondo profit e mondo non profit. Ecco, come vede il rapporto tra questi due mondi?
«Si tratta di un rapporto molto stretto perché anche tutte le società che operano nel profit si stanno sempre più avvicinando a temi di carattere generale che riguardano i bisogni di prossimità. Ci sono tanti esempi di società importanti che, se non direttamente, costituiscono fondazioni, tramite le quali intervengono nei campi di utilità sociale. Direi che l’approccio tra queste società, gli enti che lavorano direttamente nel sociale come le fondazioni e le associazioni è identico. L’importante è strutturarsi bene e avere le persone giuste ad operare in questi settori: devono essere persone che abbiano una certa vocazione, una certa disponibilità ad affrontare tematiche che possono essere molto sensibili e coinvolgenti. Non vedo grosse differenze, ad essere differenti sono l’approccio alle problematiche e l’approccio al lavoro. Quest’ultimo è, infatti, differente in un’organizzazione a scopo di lucro rispetto ad una che non ha fini di lucro. Chiaramente le modalità operative, l’organizzazione devono essere sempre al centro, dato che, in fin dei conti, si tratta comunque di due aziende, una che opera nel campo lucrativo, una che opera nel campo non lucrativo».
Le fondazioni sono sempre state sulla linea di confine tra questi due mondi. Dal suo osservatorio privilegiato cosa chiederebbe al nostro mondo?
«Le fondazioni sono sulla linea di mezzo tra profit e non profit, non a caso parliamo di Terzo settore, a metà, cioè, tra pubblico e privato. Devo fare una premessa: Fondazione Roma è una fondazione operativa, opera, cioè, direttamente sul territorio con proprie iniziative. Nell’ambito del Terzo settore, quando si programma un’iniziativa, occorre anzitutto fare attività di pianificazione per fare emergere i bisogni di un determinato territorio; successivamente progettare l’intervento, eseguirlo e, infine, fare attività di controllo, di monitoraggio e di verifica dei risultati. Fondazione Roma interviene in tutte queste quattro fasi: facciamo analisi dei bisogni, sulla base della quale facciamo una progettazione per intervenire, realizziamo il progetto e poi lo controlliamo. Non so se gli enti non profit abbiano la forte capacità di poter portare avanti tutte le quattro fasi. Il loro ruolo potrebbe essere quello di operare nella seconda e nella terza fase ovvero di segnalare a noi dei progetti e poi, se noi siamo d’accordo a sostenerli, di realizzarli. Ciò che chiediamo a queste organizzazioni è di segnalarci progetti concreti, che abbiano una reale validità, siano molto di prossimità, e di essere capaci di realizzarli. Non dico questo a caso: noi, pur essendo una fondazione operativa, lasciamo comunque una parte delle nostre disponibilità agli enti del territorio per iniziative loro. Ecco, questi devono essere in grado di presentarci progetti validi ed essere in grado di realizzarli. Sembra scontato, ma a volte questi enti si muovono con grandi propositi, con grande entusiasmo, però poi all’atto pratico, operativo, organizzativo, realizzativo mostrano i loro limiti. È questo elemento che deve essere migliorato. Questa la nostra esperienza sul Lazio, credo che al Nord gli enti siano maggiormente strutturati».
Fondazione Roma, che ha fatto un percorso particolare, realizza attività e progetti in diversi settori: sanità, ricerca scientifica, assistenza alle categorie sociali deboli, istruzione e formazione, arte e cultura. In che modo?
«I nostri sono progetti propri, che realizziamo direttamente noi, non ci sono soggetti terzi che intervengono, se non a fornire attività di volontariato, come nel nostro Hospice, ad esempio. Però i nostri progetti, quelli sui quali ci impegniamo nelle quattro fasi si cui abbiamo parlato, li realizziamo direttamente. E non potrebbe essere diversamente, perché, trattandosi di ingenti risorse, ci teniamo ad essere noi a gestirle, tenendo conto anche del fatto che si tratta di progetti di natura continuativa».
Quale il ruolo delle fondazioni? In che modo possono queste essere attori di cambiamento e volano di crescita in questo senso?
«Questo è uno dei ruoli proprio delle Fondazioni, che hanno impostato delle buone prassi che possono essere di esempio per altri organismi che vogliano impegnarsi nello stesso settore. Ormai molti anni fa abbiamo impostato un Hospice, ora abbiamo il Villaggio Emmanuele per l’assistenza e la cura dei malati di Alzheimer, abbiamo un museo. Si tratta di iniziative che si fanno apprezzare non solo per i loro risvolti di utilità sociale, socio sanitaria, socio assistenziale o socio culturale, ma anche perché sono di esempio ad altri che potrebbero seguire il nostro stesso percorso. Sono buone prassi a disposizione di chi si vuole impegnare in queste attività».
Quale, invece, il ruolo e il contributo che possono portare i CSV?
«Sicuramente un maggior scambio di informazioni. Il CSV Lazio – e tutti i Centri di Servizio – sono enti fortemente territoriali, che conoscono perfettamente le realtà e i bisogni dei territori. Potrebbero essere quindi portatori di esigenze verso le fondazioni – naturalmente non solo verso Fondazione Roma -, quindi segnalare necessità e opportunità di intervento potrebbe essere un loro ruolo».
Quali sono le priorità che lei vede nel futuro sui temi su cui Fondazione Roma è impegnata e che tipo di dialogo e contaminazione sono necessari tra profit e non profit?
«Le priorità sono veramente tante, ma credo che sanità, istruzione, ricerca scientifica siano le più importanti, siano in questo momento bisogni di prossimità. Soprattutto istruzione e sanità, mentre la ricerca scientifica è essenziale, ma sappiamo che dà risultati nel medio termine. Riguardo il dialogo e la contaminazione tra profit e non profit, sicuramente il mondo profit può imparare molto da noi per quanto riguarda le attività filantropiche, così come può imparare molto riguardo tutti gli aspetti operativi. Questo è, infatti, un lavoro particolare e impegnativo: ho avuto l’esperienza di molti colleghi che vengono dal mondo profit e, approcciandosi lavorativamente al non profit, vengono coinvolti e difficilmente tornano indietro, perché aiutare il prossimo fa bene a chi riceve, ma anche a chi dà. È possibile portare avanti iniziative importanti tra profit e non profit. Ciò che conta è trovare un punto in comune e, in questo, gli enti, più che lasciarsi andare alle solite sponsorizzazioni, potrebbero fare qualcosa di più concreto. Noi, naturalmente, siamo a disposizione».
A questo link l’intervista a Enrico Serpieri, che ha introdotto il primo world cafè, a questo l’intervista a Gianluca Cantisani, che ha introdotto il secondo. Qui l’intervista doppia ad Annalisa Casino e Monica Di Sisto, che hanno introdotto il terzo. Qui l’intervista a Rose Marie Scappin, che, insieme a Beatrice Tabacco, qui l’intervista, sarà nel panel dedicato alle nuove forme di attivismo civico. Qui, invece, l’intervista a Mauro Del Barba, dedicata alle società benefit e al rapporto tra profit e non profit