GAZA: SE GLI AIUTI NON ENTRANO È CATASTROFE UMANITARIA

Il fatto che Israele, in violazione a tutte le convenzioni internazionali, continui a impedire l'accesso degli aiuti umanitari sta portando questa guerra verso un’ecatombe senza precedenti. Ne abbiamo parlato con Riccardo Noury, di Amnesty International Italia e con Amal Khayal di CISS

di Maurizio Ermisino

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Catastrofe umanitaria. È questa, ormai da settimane, la situazione della Striscia di Gaza. Il numero di morti è spaventoso, è arrivato a 35.903 dall’inizio del conflitto. La carestia non è più un rischio, ma la realtà per centinaia di migliaia di persone rimaste al nord. Al sud, quasi un milione e mezzo di persone sono ammassate a Rafah e l’operazione di terra da parte dell’esercito israeliano ha peggiorato le cose. In Palestina, in questi mesi, stiamo assistendo a qualcosa che non si era mai visto, qualcosa che va oltre la guerra. Il fatto che Israele, in violazione a tutte le convenzioni internazionali, continui a impedire l’accesso degli aiuti umanitari di cui la popolazione di Gaza ha disperatamente bisogno, sta portando questa guerra verso un’ecatombe senza precedenti. Ne abbiamo parlato con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia e con Amal Khayal, Gaza area manager di CISS – Cooperazione Internazionale Sud Sud. «La situazione si aggrava di giorno in giorno» ci spiega Noury. «L’offensiva di terra contro Rafah ha aggravato la situazione di un numero enorme di persone che erano arrivate a Rafah con i precedenti sgomberi.  Con i vari ordini di evacuazione 450mila persone sono già andate via in luoghi assolutamente insicuri. Dal punto di vista dell’accesso della popolazione agli aiuti umanitari, l’offensiva di terra di Israele contro Rafah ha significato che Israele ha preso il controllo del valico di Rafah e lo ha chiuso. Ha militarizzato molto la zona intorno a Rafah, il che significa che l’altro valico terrestre è sigillato. I valichi che sono a Nord fanno entrare qualcosa. Ma dobbiamo fare sempre attenzione perché questa apertura degli aiuti a nord porta problemi di distribuzione enorme». A Gaza è emergenza sotto tutti i punti di vista. A partire da quel bene che permette a quelle poche cose ancora in piedi di andare avanti. «La cosa più grave è che le scorte di carburante si stanno esaurendo» ci conferma Riccardo Noury. «Il che vuol dire che quel poco che è rimasto delle strutture sanitarie a Gaza sta per collassare definitivamente. Vuol dire mettere k.o. il sistema di distribuzione interna degli aiuti. L’ingresso del carburante è prioritario perché senza si blocca tutto».

ONU: la risposta umanitaria non sia ostacolata né impedita

Gaza
Noury: «Il programma alimentare mondiale ha confermato che a nord di Gaza c’è carestia e il sistema sanitario è al collasso».

Riguardo alla guerra esistono delle convenzioni internazionali, delle regole che devono venire rispettate. Gli aiuti devono essere fatti entrare e il personale che le porta deve essere tutelato. Tutto questo non viene rispettato. «Rispetto all’offensiva terrestre, che è solo l’ultimo atto di un’offensiva militare iniziata sette mesi fa, c’è una serie di crimini di guerra infinita da parte di Israele» ci spiega Riccardo Noury. «I trasferimenti forzati violano le convenzioni del diritto internazionale umanitario che stabiliscono che un trasferimento di popolazione deve essere limitato nel tempo e provvisorio. E che la popolazione trasferita abbia accesso a tutti i servizi fondamentali. E Israele non sta rispettando nessuna di queste condizioni». La questione degli aiuti umanitari finora sembra passare quasi in secondo piano, e invece è gravissima. «Rispetto agli aiuti umanitari ci sono due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la 2720 e 2728, che sono vincolanti: chiedono che la risposta umanitaria verso la popolazione di Gaza non sia in alcun modo ostacolata né tanto meno impedita» ci spiega il portavoce di Amnesty. «E poi c’è una serie di misure cautelari ordinate dalla Corte Internazionale di Giustizia, che sta esaminando il ricorso del Sudafrica per genocidio nei confronti di Israele, tra cui c’è quella che impone – e non chiede per favore – a Israele di garantire la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria allo scopo di prevenire il rischio di genocidio. La corte ha detto a Israele che ci sono una serie di condizioni per cui può impedire che ci sia genocidio e una di queste è non affamare». E la situazione in questo senso è spaventosa. «Il programma alimentare mondiale ha confermato che a nord di Gaza c’è carestia» spiega Noury. «Così come il sistema sanitario è arrivato al collasso: sono stati chiusi ospedali e strutture cliniche che erano fondamentali per la sopravvivenza dei palestinesi».

Gli obblighi degli stati terzi

«Ci sono cose che Israele deve fare» continua il portavoce di Amnesty International Italia. «Ma ci sono obblighi che sono in capo anche ai cosiddetti stati terzi. Gli stati che hanno sottoscritto la Convenzione ONU sul genocidio hanno l’obbligo di cooperare affinché non si verifichino le condizioni vietate da quella convenzione. Il loro compito è premere su Israele perché faccia entrare gli aiuti senza ostacoli. Non lo stanno facendo. Amnesty e 19 Ong lo hanno reso noto in un documento». «Ci sono state richieste da capi di stato che hanno prevalentemente riguardato la richiesta di non proseguire con l’offensiva terrestre» continua. «La questione degli aiuti è in secondo piano: i valichi rimangono chiusi. Si prova a far arrivare gli aiuti via mare, o paracadutandoli dal cielo, che è un insulto agli aiuti umanitari e alle popolazioni che li ricevano. Il sistema umanitario per funzionare ha bisogno di quantità adeguati di beni e servizi essenziali che giungano a destinazione e che siano distribuiti da personale competente ed esperto in ragione delle necessità delle persone che ne hanno bisogno. Tutto questo è saltato».

 Dopo il 5 maggio non stanno più entrando aiuti

Gaza
Amal Khayal: «Chi porta gli aiuti, mai come prima sta mettendo a rischio la propria vita». 

Amal Khayal di CISS ha delle testimonianze dirette dei colleghi che sono andati fino a Rafah per vedere come stanno organizzando gli aiuti umanitari. «Ci sono più di 2mila camion che stanno aspettando a Rafah sotto il sole» ci rivela. Si tratta di riserve di cibo e di medicinali. Ma tanti beni sono stati rifiutati dal lato israeliano perché sono considerati generi di lusso: cose come dei cornetti al cioccolato o come i caricatori per i cellulari, che hanno dei pannelli per l’energia solare, non possono entrare». «Due settimane fa il confine di Rafah è stato chiuso e non c’è alcun aiuto che sta entrando» continua. «Solo il 5 maggio hanno aperto il corridoio marittimo che ha creato l’America e sono entrati 53 camion. Ma dopo quel giorno non ci sono state notizie confermate da associazioni che hanno ricevuto aiuti. Gli americani stanno dicendo che stanno entrano gli aiuti ma non è vero: le associazioni non li stanno ricevendo. L’esercito israeliano è arrivato quasi al centro della città di Rafah, che era considerata la zona umanitaria: c’erano più di un milione di persone».

Gli ospedali stanno cedendo

Le continue evacuazioni stanno redendo tutto più drammatico «Ogni giorno gli israeliani dichiarano che un nuovo block palestinese deve essere evacuato» ci spiega Amal Khayal. «Hanno iniziato tre settimane fa con i block che erano al lato est di Rafah – secondo i social media israeliani per assicurare il confine di Rafah – e quasi 250mila persone hanno dovuto essere evacuate». Tutto questo rende critica la situazione degli ospedali. «C’era un ospedale da campo che secondo l’esercito israeliano doveva essere evacuato e riallocato al lato ovest di Rafah vicino al mare» ci spiega Amal Khayal. «L’ospedale che sta al centro di Rafah sta cedendo, non ci sono dispositivi medici: è da più di 3 settimane che non possono entrare gli aiuti di questo tipo. Il confine di Rafah è completamente chiuso e nel corridoio marittimo solo una volta sono entrati i 53 camion, ma solo con il cibo».

I camion vengono attaccati e bruciati

Gaza
Amal Khayal: «Da gennaio la popolazione è alla fame»

Dal confine nord sta entrando qualche camion. «Ma questi camion, che stanno facendo tutta la strada dalla Giordania fino alla striscia di Gaza, subiscono gli attacchi dei coloni israeliani, quindi anche da qui non riesce a entrare quasi niente» ci rivela Amal Khayal. «Non si sa come i coloni siano lì e sappiano la strada che i camion stanno prendendo…». Chi porta gli aiuti, mai come prima sta mettendo a rischio la propria vita. «La prima cosa che Israele – che secondo la legge internazionale è una forza occupante – deve garantire è che questi aiuti arrivino ai civili» ci spiega la responsabile del CISS. «Da gennaio, lungo via Rashid, che è sul mare, ci sono stati dei camion delle organizzazioni internazionali che entravano dal sud al nord: la gente di Gaza lo ha saputo e voleva raggiungere gli aiuti. I carrarmati e dei cecchini hanno iniziato a sparare sulla gente, procurando più di 100 morti e 400 feriti: persone che erano lì solo per prendere gli aiuti. E non è stata una scena rara, è successo più volte nei mesi successivi».

Si muore di fame e negli ospedali, che vengono attaccati

«Da gennaio la popolazione è alla fame» ci spiega Amal Khayal. «31 persone sono morte di fame: 2 sono anziani e 29 sono bambini». E tanta gente non può neanche andare all’ospedale. «Un nostro partner a Gaza gestisce due ospedali, di cui è a nord», ci rivela Amal. «Da 5 giorni sono circondati dall’esercito e da carri armati e hanno iniziato a sparare allo staff medico per far uscire le persone che ci sono dentro. Ci sono famiglie, bambini, pazienti che si sono rifugiati lì per salvarsi, perché l’ospedale è uno spazio sacro ce non può essere attaccato. I carrarmati hanno iniziato a sparare su un altro ospedale: alcune persone sono morte, altre ferite. In un ospedale alcuni neonati sono stati lasciati morire: quando i militari hanno iniziato a sparare allo staff medico, hanno dovuto lasciarli perchè non potevano prendere le incubatrici».

493 staff medici e 69 persone di protezione civile hanno perso la vita

La situazione è disperata anche perché gli stessi cooperanti che portano gli aiuti non vedono tutelata la propria vita e il proprio lavoro. «Se non c’è la possibilità di garantire le vite degli staff delle Ong e delle organizzazioni internazionali questi aiuti non sono garantiti» riflette Amal. «L’esercito ha attaccato le tre macchine di un’organizzazione americana che stava portando gli aiuti nel corridoio marittimo e ha ucciso 7 persone del loro staff. Durante questa guerra sono rimaste uccise 493 degli staff medici, 69 persone di protezione civile, 147 giornalisti. È un attacco che non è mai stato visto in alcuna guerra. C’è solo una parola per definire tutto questo, è genocidio».

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