PROTEZIONE DAI CONFLITTI. DIRITTO PER TUTTI O PRIVILEGIO PER POCHI?
È la domanda al centro dell'incontro organizzato da Unire con il supporto di CSV Lazio per la Giornata Mondiale del Rifugiato 2022. Syed Hasnain: «Più corridoi umanitari e accesso a istruzione, casa, lavoro».
20 Giugno 2022
In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato 2022, UNIRE (Unione Nazionale Italiana per Rifugiati ed Esuli) ha voluto raccogliere a Roma, presso la sede di Save the Children e con il supporto di CSV Lazio, alcune tra le realtà della società civile che quotidianamente si impegnano a tutelare i diritti dei rifugiati. Al centro del tavolo una domanda, che più di altre, sta sollecitando l’azione di governi e organizzazioni in tema di flussi migratori: l’accesso alla protezione dai conflitti è un diritto per tutti o un privilegio per pochi?
Gli oltre cento giorni di guerra in Ucraina sembrano aver cambiato la percezione di donne, bambini e uomini che fuggono dai conflitti armati per raggiungere Paesi più sicuri; i media hanno sostituito il termine “invasione” (associato agli sbarchi di profughi provenienti dalle coste libiche) con il termine “approdo”, come fosse più consono a chi scappa da una guerra europea. E mentre i rifugiati afghani arrivati nel nostro Paese ad agosto 2021 chiedono quali saranno le loro prospettive di inserimento sociale dopo mesi di sola accoglienza, ci si domanda se le procedure “semplificate” per riconoscere lo status di rifugiato ai migranti in fuga dall’Ucraina siano le stesse garantite a quelli provenienti dalla Siria, dal Burkina Faso o dal Sahel, dove altrettante sanguinose guerre stanno mettendo in ginocchio la popolazione.
Profughi di serie A e profughi di serie B
«Con l’ultimo Global Report di UNHCR, abbiamo dato una notizia che non avremmo mai voluto pubblicare» afferma Carlotta Sami, portavoce di UNHCR». «Nel mondo abbiamo varcato la soglia di 100 milioni di persone tra rifugiati, sfollati e apolidi: a fine dicembre 2021 erano quasi 90 mila, ma l’inasprirsi del conflitto in Sahel unito allo scoppio della guerra in Ucraina hanno fatto schizzare in alto questa cifra. A fronte di questo grande numero, quello che emerge è che l’attenzione dei media occidentali è concentrato esclusivamente al conflitto europeo: quella dell’Ucraina è una guerra che viene costantemente raccontata da centinaia di giornalisti e fotografi presenti nella città militarizzate, già dai primi giorni di bombardamenti. Compito della nostra e di altre organizzazioni è quello di ri-equilibrare questa situazione, dando anche voce alle tante situazioni drammatiche non risolte, come la Siria, il Burkina Faso, l’America centrale e latina».
Se ad accentuare queste differenze tra poveri è il peso esercitato dai media, allora c’è da investire ancora di più sulla formazione dei giornalisti che raccontano questi fenomeni, come da anni fa l’associazione Carta di Roma. «Formare i futuri giornalisti e reporter ad un uso corretto delle parole riguardanti le migrazioni e ad un racconto autentico delle storie di queste persone è l’unico modo per poter poi confrontarsi con un’opinione pubblica più competente su questi temi» dice Piera Francesca Mastantuono dell’associazione Carta di Roma. «L’Ucraina ha catalizzato l’attenzione mediatica ma non è che gli altri conflitti siano scomparsi. Il rischio è che l’informazione stia generando profughi di serie A e di serie B: è quindi necessario che le storie di queste persone che fuggono (allo stesso modo) da una guerra, vengano raccontate tutte, senza distinzioni. Attualmente nei servizi televisivi le storie dei rifugiati coprono solo il 6% di tutta la programmazione e il più delle volte vengono raccontate in contesti emergenziali. Dobbiamo rompere questo meccanismo dando spazio ad un pluralismo di voci più vicino alla verità dei fatti».
Non solo assistenzialismo a breve termine
La rete UNIRE come tante altre realtà nate dal basso, si impegna ad essere cassa di risonanza dai diversi territori in cui risiedono i rifugiati, da qualsiasi crisi essi fuggano. Yagoub Kibeida guida a Torino l’associazione Mosaiko promuovendo una serie di servizi per facilitare l’accoglienza e l’inserimento sociale di chi ha diritto alla protezione internazionale. «Non è una guerra tra poveri, piuttosto è un razzismo istituzionale. In Italia le associazioni dei rifugiati stanno aiutando i profughi ucraini, supportandoli soprattutto nelle pratiche legali e nell’apprendimento della lingua italiana. Sono piuttosto le istituzioni a dover estendere a tutti le misure straordinarie adottate per questo conflitto. A Torino è avvenuto che gli afghani venissero collocati in borghi fuori dalla città, privi di relazioni con le comunità e anche privi di corsi di lingua: molti di loro sono laureati, ingegneri, professionisti sanitari e senza l’intervento di associazioni come Mosaiko (che li ha inseriti nel mondo del lavoro) avrebbero messo di lato queste competenze, perso le loro energie. Purtroppo in Italia si investe solo su un assistenzialismo a breve termine senza valorizzare tutto questo capitale sociale che arriva da noi. Vanno introdotti programmi di accompagnamento e inserimento nella società».
Una Giornata Mondiale del Rifugiato in cui “c’è poco da festeggiare” come ha ribadito Syed Hasnain presidente di UNIRE, ma anzi «un’occasione per fare ancora di più rete e rivendicare quel diritto d’asilo ancora non riconosciuto a tutte quelle persone che fuggono dalle guerre, da qualsiasi parte vengano». C’è bisogno di più corridoi umanitari, e appena arrivati nel nostro Paese garantire subito istruzione, accesso all’abitazione e accesso al lavoro. Non ci sono rifugiati buoni e rifugiati cattivi, ci sono persone.