I GIOVANI: L’ENERGIA CHE IL VOLONTARIATO DOVREBBE INTERCETTARE
"La voglia di occuparsi degli altri, nei giovani c’è, è naturale e incomprimibile". Intervista con Alberto Manni di CSV Lazio
di Redazione
12 Aprile 2019
«Quando parliamo di giovani, parliamo di energia – un’energia che è dentro qualsiasi giovane. E quindi dobbiamo chiederci come l’energia si canalizza», spiega Alberto Manni, parlando di un tema, il rapporto tra giovani e volontariato, che si scontra spesso con posizioni opposte: quella di chi sostiene che non hanno più voglia di impegnarsi, e quella di chi dice che la voglia c’è, ma trova strade che il volontariato non sa intercettare. Un tema su cui comunque il CSV Lazio, di cui Manni è vicepresidente, continuerà a impegnarsi.
«Pensando ai giovani non dobbiamo preoccuparci», continua. «Secondo me, la voglia di occuparsi degli altri, nei giovani c’è, è naturale e incomprimibile. Come questo si traduca in impegno concreto invece è tutto da scoprire, perché davvero le modalità sono cambiate e bisogna intercettarle. Per questo, tra l’altro, bisogna capire come funziona la comunicazione, perché senza comunicazione non si ha contatto con gli altri, e la presenza dei social è oggi così massiccia che sembra avere la forza di deviare alcuni contenuti sociali».
Quindi il problema è che le associazioni faticano a comunicare con i giovani?
«C’è senz’altro questo problema, ma non riguarda solo il volontariato: è un pezzo di società che fatica a comunicare con le nuove generazioni, che scelgono autonomamente come comunicare: magari sono condizionate dai grandi network, ma sono comunque molto più autonome, rispetto alle generazioni precedenti. Il problema del volontariato organizzato è che appare poco attraente ai giovani, che però non hanno perso la capacità di interessarsi agli altri, e neanche di cercarne sostegno e aiuto».
IL CSV Lazio come si muoverà?
«Il CSV lavora molto con il servizio civile: insieme alle associazioni mobilitiamo circa 600 giovani l’anno, e non si tratta di un contatto occasionale, ma di un rapporto che dura 12 mesi, in una fase interessante della vita: quella della formazione, in cui di forma la visione del futuro. L’esperienza delle associazioni è senz’altro positiva. Posso aggiungere che, ogni volta che faccio formazione, mi sento rinascere, perché incontro giovani che hanno disponibilità, energia e anche attenzione ai problemi di carattere sociale. Per questo io sono abbastanza positivo, pensando al futuro».
È utile fare iniziative specifiche per i giovani?
«La funzione fondamentale del Centro di Servizio è la promozione del volontariato, ma il problema vero è come farlo a livello territoriale. Il volontariato non è cosa “altra” rispetto al territorio: è un processo all’interno di processi sociali più complessi. Più il CSV è immerso nel territorio, più ne coglie le dinamiche e quindi avrà anche la possibilità di coinvolgere i giovani. Fare iniziative spot non paga: ce ne sono tante e si rischia la ridondanza. Bisogna stare nei processi, per riuscire a coinvolgere i giovani. Anche il contatto attraverso i social va bene, ma da solo non basta».
Il CSV Lazio ha anche il progetto Scuola e Volontariato, che ha l’obiettivo di portare la cultura della solidarietà e della responsabilità nelle scuole.
«Scuola e volontariato è un progetto importante, che continua e che, come tutti i progetti, va migliorato. Ora c’è una nuova sfida, che è quella dell’alternanza scuola-lavoro e le associazioni sono un ottimo luogo in cui fare questa esperienza. Ma ancora una volta si torna al tema del rapporto con il territorio, in questo caso con le scuole del territorio: è con loro che bisogna lavorare. Le associazioni vanno aiutate ad intervenire in questo contesto delicato che è la scuola, che non ha bisogno di invasioni, ma di sostegno e partecipazione, nel rispetto del ciclo scolastico e dei suoi ritmi».
Perché il volontariato organizzato sembra “vecchio” ai giovani?
«Perché lo è, vecchio. O meglio, lo è anagraficamente, ma non nei contenuti. Farsi carico degli altri e dei beni comuni è un contenuto sempre d’attualità e sempre nuovo. Sono vecchie però alcune modalità di rapportarsi con queste tematiche, a cui i giovani possono interessarsi soltanto se coinvolti in un’esperienza diretta. L’altro grosso problema è quello del tempo a disposizione: chi ce l’ha, come i NEET, non può essere interessato al volontariato, perché ha altre priorità. Il volontariato è in fondo un interesse di secondo livello. E questo vale anche per i disoccupati, per chi sta cercando lavoro».
Però si dice sempre che il volontariato è anche un’esperienza formativa, che permette di acquisire competenze che nella vita serviranno.
«C’è un interessante dibattito su questo e sul tema della valorizzazione delle competenze. I giovani possono maturare, all’interno delle attività delle associazioni o del servizio civile. E devono sapere che, se fanno volontariato, non solo sperimenteranno la gioia del dono, ma avranno anche un accrescimento a livello culturale e svilupperanno competenze che saranno utili nel mondo del lavoro. Ormai anche alcune imprese considerano positivamente, nella valutazione dei curricula, la presenza di esperienze di volontariato o l’avere svolto il servizio civile».
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