GIUBILEO 2025. LA GIOIA DEL SERVIZIO, CONTRIBUTO INDISPENSABILE DEL VOLONTARIATO
Nelle parole del Cardinale Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero vaticano per la cultura e l’educazione, il senso profondo di un Giubileo che arriva in un momento storico complesso. E il ruolo necessario del volontariato
19 Gennaio 2025
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Quale sarà l’apporto dei volontari e del mondo del volontariato al Giubileo appena cominciato? «Credo che il contributo più importante – e potrei anche dire più necessario – che i volontari e il mondo del volontariato possono dare a questo evento, e a coloro che vi parteciperanno, sia la loro gioia». Lo sostiene il cardinale José Tolentino de Mendonça, dal 26 settembre 2022 prefetto del Dicastero vaticano per la cultura e l’educazione, che abbiamo intervistato. Portoghese, 59 anni, è autore di poesie, saggi e opere teatrali; teologo e professore universitario di lungo corso, è anche considerato una delle voci più originali della letteratura portoghese moderna e riconosciuto come eminente intellettuale cattolico. È stato curatore del padiglione del Vaticano alla 60ª Biennale di Venezia, dal 20 aprile al 24 novembre dello scorso anno; ora il padiglione è ospitato nel carcere femminile della Giudecca. Fra le sue ultime opere in italiano, l’ebook gratuito Il potere della speranza. Mani che sostengono l’anima del mondo e il saggio Una grammatica semplice dell’umano (Vita e pensiero), mentre con Piemme è uscito nel 2023 Amicizia. Un incontro che riempie la vita. Il 26 dicembre scorso Papa Bergoglio ha inaugurato la seconda Porta Santa del Giubileo nella chiesa del Padre Nostro, all’interno del carcere di Rebibbia a Roma: prima della Celebrazione, grazie al progetto “L’arte contemporanea in carcere: la sfida della speranza” promosso proprio dal Dicastero per la cultura e l’educazione, è stata svelata nel cortile del penitenziario l’installazione di Marinella Senatore “Io contengo moltitudini”. Ad accogliere il pontefice c’era il cardinale Tolentino de Mendonça. «Durante l’ultimo viaggio apostolico di Papa Francesco in Papua Nuova Guinea, nel corso di un incontro con i vescovi, i diaconi, le persone consacrate, i seminaristi e i catechisti di quella regione, uno dei presenti ha chiesto al Santo Padre come si trasmette l’entusiasmo della missione ai giovani, e il Papa ha risposto: “Non penso che ci siano ‘tecniche’ per questo. Un modo collaudato, però, è proprio quello di coltivare e condividere con loro la nostra gioia di essere Chiesa (cfr. Benedetto XVI, Omelia nella Messa di Inaugurazione della V Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi, Aparecida, 13 maggio 2007)” (Francesco, Discorso in occasione dell’incontro con i vescovi della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate, i seminaristi e i catechisti, Santuario de Maria Ausiliatrice, Port Moresby, Papua Nuova Guinea, 7 settembre 2024)», precisa il porporato. E aggiunge che «in effetti lo stesso Papa Francesco aveva già affermato qualcosa di simile all’inizio del suo pontificato, nel primo documento del suo magistero: l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, sull’annuncio del Vangelo nel mondo di oggi: “I cristiani hanno il dovere di annunciare il Vangelo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile” (EG n. 14). Per questo anch’io credo che la gioia, quella gioia genuina che, anche nel mezzo del lavoro personale o degli impegni professionali, anche a dispetto del dolore, della tristezza o delle difficoltà, viene profusa nel servizio semplice, distaccato e disinteressato agli altri, sia il miglior contributo che tutti noi possiamo – e dobbiamo – offrire alla realizzazione di questo grande evento».
Qual è il senso profondo, umano e spirituale, di un Giubileo che arriva in un momento storico così complesso?
«La celebrazione del Giubileo affonda le sue radici nell’Antico Testamento, in particolare nel libro del Levitico. Un libro che, va ricordato, contiene precise e minuziose norme relative ai rituali del tempio di Gerusalemme. In questo testo biblico, più precisamente nel capitolo 25, il primo aspetto di cui si parla nel descrivere e normativizzare l’anno giubilare è il “riposo” della terra, seguito dal comando che prescrive che il frutto del riposo della terra, servirà da cibo a tutti: servi, braccianti, stranieri ecc., ma anche al bestiame e al resto degli animali (cfr. Lv 25,6-7). Già qui possiamo renderci conto di un primo aspetto profondo, umano e spirituale, del Giubileo: la terra che, pur non essendo seminata produce frutto, ci ricorda che essa è un dono di Dio, e che la natura e i suoi prodotti non dipendono solo dall’opera dell’uomo, ma anche e soprattutto dal Creatore. L’ordine di far beneficiare tutti dei frutti del riposo della terra rappresenta, inoltre, il riconoscimento della finalità universale dei beni della natura. In questo senso, si può fare riferimento agli insegnamenti di Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, dove il Santo Padre scrive sull’importanza di un’ecologia integrale, nella quale la preoccupazione per la natura, la giustizia per i poveri, l’impegno per la società, ma anche la gioia e la pace interiore, sono inseparabili (cfr. Laudato si’, n. 71). Un secondo aspetto di cui parla il testo biblico nel descrivere l’anno giubilare è il condono dei debiti e la restituzione al proprietario originario delle terre alienate e vendute. Sebbene rappresenti un ideale difficilmente realizzabile nella sua interezza, questo aspetto del Giubileo ci ricorda comunque il senso umano di fraternità e solidarietà che ci deve caratterizzare e che non può rimanere solo un augurio, ma deve tradursi in azioni e impegni sociali concreti. In questo caso, dobbiamo ricordare l’enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti, nella quale mette l’accento sulla fraternità. Una fraternità che deve essere promossa non solo a parole, ma con i fatti. Fatti che si concretizzano nella “migliore politica” (cfr. Fratelli tutti, n. 154), quella non subordinata agli interessi della finanza, ma al servizio del bene comune, capace di collocare al centro la dignità di ogni essere umano e di garantire il lavoro a tutti, affinché ciascuno possa sviluppare le proprie capacità. Infine, il terzo aspetto centrale, che nella sua origine biblica caratterizza la celebrazione del giubileo, è la liberazione, il riscatto. L’anno giubilare, secondo il testo del Levitico, è l’anno non solo del perdono dei debiti, ma anche della liberazione degli schiavi. Senza entrare nella questione della possibilità della sua realizzazione letterale e del suo pieno compimento o meno, questo aspetto del Giubileo vale anche per noi oggi, soprattutto se pensiamo alle molteplici forme di schiavitù che opprimono e sottomettono non solo le persone, ma nazioni o società in generale. Di fronte a questa realtà, ecco il grande senso umano e spirituale del Giubileo: si può essere liberi esternamente, ma schiavi internamente, e, alla luce di ciò, l’anno giubilare è, per eccellenza, una via verso la libertà. Per questo una parte importante della celebrazione si orienta verso la ricerca della riconciliazione, la conversione personale e la partecipazione alla penitenza sacramentale. In sintesi, il Giubileo costituisce un tempo speciale di grazia, per rinnovare un rapporto ben fondato con Dio, con il prossimo e con tutta la creazione».
In che modo questo evento può interpellare le nuove generazioni, i giovani?
«La celebrazione di un Giubileo – e a maggior ragione la celebrazione di questo Giubileo 2025, il cui tema è la Speranza – rappresenta un’opportunità proprio nella vita delle nuove generazioni, i giovani, perché loro, come spesso viene detto, sono la speranza e il futuro dell’umanità. Penso che non è sbagliato dire che uno degli obiettivi della celebrazione dell’anno giubilare è quello di dare speranza concedendo nuove opportunità. Con un nuovo inizio, recuperando la terra perduta, ottenendo la cancellazione del debito o, insomma, riacquistando la libertà, la persona si riempiva di speranza e, con rinnovato coraggio, era in grado di riprendere il cammino della vita. Oggi, per le nuove generazioni, che a volte si trovano in un così grande bisogno di ragioni per andare avanti, il Giubileo rappresenta un appello che, se viene accolto e se risponde a lui con generosità, può riempire il loro cuore di speranza e di gioia. Ma non una gioia qualsiasi, effimera o passeggera, bensì una gioia grande, intensa, cioè, un’giubilo che, insieme alla speranza, li aiuterà ad affrontare le vicissitudini della vita. È proprio questo uno dei motivi per cui Papa Francesco ha voluto celebrare questo Giubileo 2025 sotto il tema della Speranza, oggi che viviamo in un momento storico così complesso: “Dobbiamo tenere accesa la fiaccola della speranza che ci è stata donata, e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante. Il prossimo Giubileo potrà favorire molto la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia, come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza” (Lettera del Santo Padre Francesco a S.E. Mons. Rino Fisichella per il Giubileo 2025, Roma, 11 febbraio 2022). Infatti, lo scorso mese di novembre 2024, in occasione della celebrazione della prima Assemblea plenaria del Dicastero per la cultura e l’educazione, il Santo Padre ci ha rivolto a tutti i partecipanti queste parole, enfatizzando l’urgente necessità della speranza: “Sbarazziamoci di ogni fardello del pessimismo; il pessimismo non è cristiano. Convergiamo, con tutte le nostre forze, per sottrare l’essere umano dell’ombra del nihilismo, che è forse la piaga più pericolosa della cultura odierna, perché è quella che pretende di cancellare la speranza. E non dimentichiamo: la speranza non delude, è la forza. Quell’immagine dell’àncora: la speranza non delude” (Francesco, Discorso ai Partecipanti alla prima Assemblea Plenaria del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, Sala Clementina, 21 novembre 2024)».
Se dovesse indicare delle parole chiave del Giubileo per destare l’interesse e la curiosità dei non credenti, dei credenti di altre religioni e dei cattolici “tiepidi”, quali suggerirebbe?
«Per rispondere a questa domanda vorrei utilizzare le parole che Papa Francesco ha rivolto ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi, alle persone consacrate, ai seminaristi e ai catechisti della città di Giacarta, in Indonesia, e proporre queste stesse tre parole come parole chiave. Nel suo discorso il Santo Padre ha parlato di tre virtù che esprimono bene il cammino della Chiesa e che, credo, rivelano anche il significato del Giubileo. Queste tre parole sono: fede, fraternità e compassione.
Fede. L’intraprendere un pellegrinaggio per celebrare un Giubileo inizia con la fede e da essa è sostenuto. Proprio come Abramo, che grazie alla sua fede in Dio accettò di diventare un pellegrino in cammino verso la Terra Promessa, e fu la sua fede in Dio a sostenerlo nei momenti di avversità – si pensi, ad esempio, al momento del sacrificio del figlio Isacco –. È, quindi, la fede che ci mette in cammino e ci sostiene nel cammino, non come turisti, ma come pellegrini.
Fraternità. Nel discorso in Indonesia di cui stiamo parlando, il Papa ha detto ai presenti che “vivere la fraternità vuol dire accogliersi a vicenda riconoscendosi uguali nella diversità”. Il Giubileo ne è proprio l’esempio perfetto di questo! Persone provenienti da ogni parte del mondo si incontrano e si accolgono, si aiutano e si riconoscono come uguali intorno a un’unica verità: pur essendo ognuno diverso, sono tutti fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre.
Compassione. È impossibile parlare di fraternità e non parlare di compassione. La vera fraternità è compassionevole, così come l’autentica compassione è fraterna. Come ben sappiamo, infatti, compassione significa soffrire con l’altro, condividerne i sentimenti. Il Giubileo ci offre innumerevoli occasioni per viverla e metterla in pratica, perché incontriamo fratelli con cui condividere e accompagnare a sopportare i loro sentimenti o i loro dolori. Ma a volte penso anche che non ci sia modo migliore per descrivere i sentimenti di Dio verso di noi che la compassione. Partendo dall’origine etimologica della parola, secondo il testo ebraico dell’Antico Testamento, la parola “compassione” (raḥămim) deriva dal termine “rehem” che designa il grembo, l’utero, il ventre (cfr. L.A. SCHÖKEL, “~x,r,” in Dizionario Biblico Ebraico-Spagnolo, Trota, Madrid 1999, 699), il luogo di origine di ogni vita, sia umana che animale, il luogo dove la vita viene concepita, portata e nutrita fino al giorno della nascita (cfr. H.J. STOEBE, “~x,r,”, Dizionario Teologico Manuale dell’Antico Testamento II, Cristiandad, Madrid 1985, 958). Quindi, metaforicamente parlando, possiamo definire la compassione come quel sentimento materno, intimo, profondo, tenero e amorevole che spinge una persona ad agire di conseguenza e a non rimanere indifferente al bisogno degli altri. Uno degli esempi più significativi di come Dio provi questo sentimento nei nostri confronti si trova nel testo del profeta Isaia quando, di fronte al lamento di Sion che si sente abbandonata, Dio stesso risponde dicendo per bocca del profeta: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,15). Non è un caso che Dio affermi che il suo amore è più grande e la sua compassione più certa di quella di una madre, perché così facendo, afferma che il suo amore e la sua compassione superano quelli che per natura sono insormontabili. In altre parole: che Dio si ricordi (ami) e compatisca con maggiore certezza di quella persona che per natura non smette mai di farlo, equivale a dire che il suo ricordo (amore) è infinito e la sua compassione indefettibile. Forse è per questo che Dio stesso ha voluto definirsi compassionevole (Es 34,6), per insegnare all’uomo come comportarsi e, allo stesso tempo, per riempirlo di speranza, mostrandogli che nel suo essere divino regna un sentimento materno di tenerezza, che, come il grembo di una madre, trasmette anch’esso la vita perché si traduce in opere concrete, e che, uguale o maggiore a quello di una madre, non viene mai meno né finisce mai. In questo senso, il Giubileo è un momento privilegiato in cui Dio si comporta in questo modo: mosso dalla sua compassione – che non finisce mai – agisce teneramente a nostro favore e ci ridà di nuovo la vita, attraverso il perdono e la riconciliazione.
Infine, vale la pena notare che Papa Francesco ha voluto dedicare buona parte della sua più recente enciclica Dilexit nos a riflettere su questo sentimento. In essa il Santo Padre ci invita a non lasciare che i nostri cuori si raffreddino, diventando indifferenti e abituati alle sofferenze degli altri, ma al contrario, ricordando e imitando il Cuore di Gesù, ci chiama a ripristinare il calore umano, sapendo che l’empatia, la tenerezza e la misericordia sono i rimedi per le ferite del mondo attuale: “Il mondo può cambiare a partire dal cuore” (Lettera Enciclica Dilexit nos, Roma, 24 ottobre 2024, n. 28), afferma».