I LOVE TORPIGNA

Descritta dai media mainstream come sull’orlo di una guerra civile, Torpignattara è soprattutto un laboratorio d’idee grazie ai cittadini che valorizzano la sua multiculturalità

di Lucia Aversano

Quando dici Torpignattara, la prima cosa che viene in mente a chi di “Torpigna” non è, sono i negozi di “bangladini” in ogni angolo di strada, parrucchieri cinesi aperti fino a notte e l’immancabile degrado. Un’inferenza psicologica che riduce Torpignattara e zone limitrofe a un quartiere ghetto dal quale è meglio stare alla larga se si vuole tener salva la pelle. E guai a prendere un mezzo pubblico dopo le 18.00 perché lì è coprifuoco. Se ne parla spesso di Torpignattara, più nel male che nel bene: del “Torpignathlon”, ad esempio, che quest’anno è giunto alla seconda edizione se n’è parlato poco o nulla, eppure è una manifestazione sportiva che coinvolge, oltre agli abitanti del quartiere, anche alcune delle comunità straniere del territorio, tra cui quella bangladese, la più numerosa. La stessa scuola Pisacane, ormai famosa per essere, se non la prima a Roma, la più conosciuta ad avere avuto tra i suoi iscritti più alunni stranieri che italiani, ha trovato ampio risalto nella cronaca nazionale solo nel momento della crisi e del malcontento dei genitori, per essere poi dimenticata nel momento in cui è diventata modello riuscito di integrazione scolastica. Insomma, diviene quasi naturale pensare a Torpignattara come estrema periferia di Roma sull’orlo di una guerra interrazziale anche se è distante dal raccordo molti chilometri – e solo 4 da piazza Vittorio – e la guerra interraziale non è sull’orlo di sfociare, almeno non ancora.
Ma la situazione è davvero così esplosiva? Chi lì ci vive e ci lavora ti risponde «pericolosa Torpigna? Forse negli anni della banda della Marrannella; oggi quello che fa più paura qui è la paura stessa. La gente non si sente più padrona del territorio, non è più in strada e più ci si chiude e più la paura cresce». E pensare che durante gli anni della Resistenza era nelle stradine che si dipanano tra la via Casilina e la Prenestina, che si nascondevano i partigiani, e che i migranti provenienti dalle campagne e dal meridione si stanziavano qui. La differenza tra le migrazioni di ieri e quelle di oggi la fa proprio la paura.

L’assemblea pubblica permanente


La chiave per comprendere quello che sta succedendo qui sta proprio nella paura, che quando non si trasforma in chiusura diventa rabbia da sfogare verso il più debole. «Questo è un quartiere in crisi oltre che economica anche culturale», spiega una delle tante persone che prendono parte all’assemblea pubblica permanente promossa dal Comitato di quartiere storico di Torpignattara. «Non c’è un luogo di ritrovo, non un punto di riferimento del quartiere, né cinema né biblioteche, ma nemmeno un posto per fare il più prosaico degli aperitivi». Sono assenti quei presidi culturali che potrebbero fare la differenza per chi risiede qui. Per esempio i cinema della zona sono stati chiusi uno alla volta: l’Hollywood in via del Pigneto oggi è una palestra, il cinema Due Allori lungo la via Casilina e il Diamante in via Predestina sono stati entrambi trasformati in sale Bingo, l’Impero in via dell’Acqua Bullicante non è più un cinema dal 1983, ma in questi giorni ha riaperto al pubblico non come sala cinematografica ma come laboratorio.
Spiegare questo spicchio di realtà non è semplice, come non lo è spiegare le tante borgate multietniche non solo della Capitale, ma di tutt’Italia. Torpignattara potrebbe diventare gioiello multiculturale così come la sua scuola più famosa, ma per ora resta passerella ideologica dei tanti politici che cavalcano il malcontento e incubatrice di biechi razzismi. Un’alta percentuale di stranieri, provenienti principalmente dal Bangladesh, c’è, sono state contate 60 nazionalità che vi alloggiano da diverso tempo, ma “tanti stranieri” non è sinonimo di intolleranza e cattiva convivenza, anzi. Problemi Torpignattara ne ha molti: mancano spazi pubblici per bambini e luoghi d’aggregazione per i giovani. Le aree verdi sono spesso inagibili perché lasciate nel degrado più totale e, quando non vandalizzate, sono frequentate dai tossicodipendenti (è bene ricordare che la stragrande maggioranza di questi è italiana) che lasciano in giro i loro “strumenti”. E poi c’è forse quella che è la causa principale del crescente degrado: la mafia (si suppone sia quella casalese) che qui gestisce il traffico di droga e offre “lavoro” creando disagio. Per non parlare delle questioni comuni a tutta la città, come la raccolta dei rifiuti o i mezzi pubblici scadenti, che rendono il tutto ancora più difficile. Questi i punti principali sui quali discute l’assemblea permanente di Torpignattara, che si riunisce tutti i lunedì sera a piazza della Marranella nell’ex aula consiliare municipale. Qui si incontrano i vari comitati di zona, le associazioni attive sul territorio tra cui Asinitas, Mamme della Pisacane, associazione Bianco e Nero e i referenti delle comunità straniere residenti, per cercare una soluzione ai tanti problemi. Chi più chi meno, sono tutti d’accordo su una cosa: «non servono più forze di polizia, militarizzare il territorio non serve a nulla, serve invece com-partecipazione. I cittadini da soli possono fare molto, ma il loro sforzo è vano senza il supporto costante delle istituzioni».

Le finestre rotte

E qui entra in gioco la teoria delle finestre rotte cui i cittadini fanno riferimento quando dicono eufemisticamente che c’è bisogno di più pulizia e meno polizia. La teoria enunciata nel 1969, a seguito di un esperimento condotto da alcuni ricercatori di psicologia sociale dell’Università di Standford è interessante perché spiega i meccanismi di psicologia sociale che si celano dietro ad alcuni comportamenti criminali. I ricercatori dell’epoca decisero di parcheggiare due auto uguali in due quartieri opposti: il Bronx, a New York, estremamente povero (parliamo degli anni ’70) e Palo Alto, quartiere residenziale della California. Dopo poche ore la macchina parcheggiata al Bronx venne completamente smantellata: stereo, ruote, motori, eccetera furono fatti sparire e la carcassa della vettura distrutta, mentre la gemella di Palo Alto rimase illesa. Dopo circa una settimana la vettura di Palo Alto era ancora parcheggiata senza nemmeno un graffio e gli studiosi procedettero con l’esperimento rompendo un finestrino. Di lì a poco la sorte toccata alla macchina gemella del Bronx toccò anche alla vettura di Palo Alto: venne preso tutto ciò che poteva essere rivenduto. Sintetizzando al massimo le conclusioni dell’esperimento si può dire che non è dunque necessariamente la povertà a rendere un luogo poco sicuro e degradato ma sono l’abbandono e l’incuria ad innescare una spirale criminale. Un solo vetro rotto ha dato il via alla distruzione di una macchina in un quartiere sicuro perché il vetro frantumato rappresenta disinteresse e mancanza cura. E la stessa cosa sta succedendo a Torpignattara: l’incuria e il disinteresse stanno portando il quartiere verso il basso. Pietro, uno dei partecipanti all’assemblea, ha posto una semplice domanda: «perché i gabbiotti della municipale ai Parioli sono tutti pieni mentre quelle di Torpignattara sono perennemente vuoti?» Già, perché?

Istituzioni poco presenti e resistenza civica: il lago Sandro Pertini


Poco prima di Piazza della Marranella c’è largo Prenestre, dove via di Portonaccio incrocia via dell’acqua Bullicante e via Prenestina. Il muro che racchiude l’ex Snia-viscosa, fabbrica tessile attiva fino agli anni ’50, è diventato, sul lato di via Portonaccio, un muro di ex voto, dove numerose mattonelle Pgr (Per grazia ricevuta) sono state affisse vicino alle due Madonnine che proprio su quel muro vegliano l’incrocio. E chissà se c’entra qualcosa il fatto che nel 1994 proprio all’interno delle mura dell’ex-Snia la formazione di un lago naturale abbia bloccato l’ennesima speculazione edilizia. Ecco, l’ex-Snia è un classico esempio di come i cittadini si siano riappropriati di uno spazio vitale per la comunità. Hanno lottato vent’anni con tutti i mezzi per restituire alla collettività uno spazio che sarebbe andato ad alimentare solo le tasche dei costruttori a discapito della cittadinanza.
Vale la pena ripercorrere le tappe di questa storia paradossale. Gli spazi dell’ex-Snia, secondo il piano regolatore del 1965, avrebbero dovuto ospitare un ministero, ma negli anni ’90, “magicamente”, quell’area diventa destinata a servizi. Nel 1994 le ruspe iniziano a scavare il parcheggio del futuro centro commerciale ma 10 metri di profondità sono troppi per quella zona ricca d’acqua e una vena della falda dell’Acqua Vergine viene rotta: comincia da qui a fuoriuscire dell’acqua minerale, non contaminata, che lentamente va a formare un lago naturale profondo 6 metri. In un primo momento i costruttori hanno tentato invano di spacciarla per residui fognari cercando di andare avanti con i lavori ma quell’area viene espropriata dal Comune. Una beffa per il costruttore ma una salvezza per quella zona già soffocata dal cemento, e per i cittadini che per ora hanno un lago, il Sandro Pertini, e una grande vittoria alle spalle per poter proseguire nella battaglia di riappropriazione degli spazi e rendere la loro tanto amata “Torpigna” fiore all’occhiello e esempio di multiculturalità.

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