I QUINDICI DEL BIRRIFICIO MESSINA: UNA STORIA DI RESILIENZA E COMUNITÀ
Quindici operai che non si arrendono alla chiusura della loro fabbrica, una città che si riscopre comunità e i giovani, che restano. È la storia di I Quindici del Birrificio Messina, di Alessandro Turchi, presentato a Roma
30 Ottobre 2024
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Quindici uomini, recitava una vecchia canzone di pirati. I Quindici, scritto così, in maiuscolo, sono invece i protagonisti di una bella storia di resilienza e rigenerazione industriale: quindici operai che hanno deciso di non arrendersi alla chiusura della loro fabbrica, il Birrificio Messina, e di fondare una cooperativa per rilevarla, grazie anche al sostegno fondamentale della Fondazione di Comunità di Messina. È la storia di solidarietà e di comunità raccontata dal film I Quindici del Birrificio Messina, di Alessandro Turchi, presentato a Roma, allo Spazio Coming Soon, che arriverà nelle sale a gennaio. Oggi il Birrificio Messina produce due marchi, la Birra dello Stretto e la Doc15, e ha un accordo con Heineken per produrre nei suoi stabilimenti la Birra Messina Cristalli di sale, proprietà della multinazionale, che distribuisce anche i marchi del Birrificio tramite i suoi canali.
I Quindici del Birrificio Messina: una lunga storia
La produzione di birra a Messina risale al lontano 1915. Nel 1988 lo stabilimento messinese e il marchio Birra Messina vengono acquisiti da produttori internazionali e la produzione della birra viene spostata in altri stabilimenti fino a ridurre quello messinese a semplice impianto di imbottigliamento per il mercato siciliano. Nel 2007 la Heineken, davanti al rifiuto delle autorità locali a concedere più spazio, annuncia la definitiva chiusura dello stabilimento messinese e qualche mese dopo la fabbrica viene acquisita dalla famiglia che quello stabilimento lo aveva costruito. Non potendo produrre sotto il nome di Birra Messina, vengono immesse nel mercato siciliano due nuove etichette. L’operazione, che mirava a riprendere il mercato precedente, non ha però i risultati sperati. Così nel 2011 la nuova società annuncia la chiusura della fabbrica e il licenziamento dei 42 lavoratori che, per evitare la vendita del terreno su cui sorgeva lo stabilimento, organizzano 18 mesi di presidi. Ma la produzione della birra non riprende. È proprio davanti ai lucchetti degli storici stabilimenti che inizia a prendere forma un progetto: anziché arrendersi al licenziamento, Quindici di quei 42 lavoratori decidono di riunirsi e fondare la cooperativa Birrificio Messina per riavviare dal basso la produzione di birra nella loro città.
Non lasciare soli i compagni
La perdita del posto di lavoro al Sud è una tragedia perché si sa che è difficile trovarne un altro. Tra quei 42 operai, molti hanno un mutuo e dei figli piccoli e il mondo sembra cadere loro addosso. Così inizia il lungo presidio fuori dalla fabbrica. È il 2011: Mimmo Sorrenti, oggi presidente del Birrificio Messina Società Cooperativa, è quasi sul punto di andare in pensione. Ma non se la sente di lasciare da soli i suoi colleghi. «Ero il rappresentante dei lavoratori. Non solo dello stabilimento, ma anche il delegato nazionale presso Heineken» ci ha raccontato. «Una volta trovato l’accordo con il nuovo proprietario (la famiglia che aveva rilevato la prima volta la fabbrica, ndr) mi ero messo a disposizione e lavoravo 16 ore, me ne pagavano otto, perché volevo risolvere la situazione. Ai miei compagni dicevo sempre, “state tranquilli, andiamo a fare il nuovo stabilimento”. Sono stato ingannato, e me ne sono accorto tardi. Mi avevano detto “se vendiamo il terreno con la destinazione d’uso residenziale, invece che industriale, realizziamo di più, e con quei soldi facciamo una nuova fabbrica: vedi se puoi fare qualcosa per il cambio di destinazione d’uso”. Siamo andati alla sala consiliare del Comune a firmare la delibera. Quando l’ho portata al proprietario della fabbrica, ho visto lui e il suo braccio destro guardarsi, come dire “ce l’abbiamo fatta”». Quella promessa di salvare la fabbrica, da parte di una famiglia del luogo, è solo fumo negli occhi. Dietro, infatti, c’è l’idea di una speculazione edilizia. È una grande delusione per tutti, la seconda. E vuol dire dover ricominciare tutto di nuovo.
La Fondazione di Comunità di Messina
L’unica soluzione è fondare una cooperativa di lavoratori. Rischiare il proprio Tfr, la mobilità, la disoccupazione e mettersi sulle spalle debiti non indifferenti. Solamente in 15 aderiscono al progetto della cooperativa. E qui arriva un altro grande gesto di Mimmo e di alcuni altri operai: il fondo di mobilità viene riscattato e reinvestito. «Avevo 52 anni e avevo diritto a 4 anni di mobilità» ricorda. «Gli altri miei compagni non arrivavano a ottenerli. Così io e altri cinque abbiamo riscattato questa mobilità e li abbiamo dati, come uno stipendio di mille euro agli altri compagni, per vivere». Ma tutto questo non basta. Servono finanziamenti più importanti, quelli delle banche. «Siamo stati aiutati tanto dalla Fondazione di Comunità di Messina, che ci ha dato quella forza che mancava nel rapporto con le banche» racconta il presidente. «Che una fondazione faccia da garante è un bel biglietto da visita». Nel giugno del 2016, grazie allo sblocco dei finanziamenti, arrivano finalmente i tir con i macchinari. Però viene anche il difficile: portare avanti l’industria per degli operai che non sono dirigenti d’azienda.
Una birra che racconta storie di libertà
Il 2016 è anche l’anno dell’inaugurazione, un momento commovente. Tutti, mentre girano tra quei capannoni, versano qualche lacrima. La comunità pensa che sia importante sostenere questo tipo di impresa e decide di essere presente. «Hanno vissuto la nostra storia» commenta Mimmo. «Dal 2011 fino al 2016 i messinesi ci hanno seguito in ogni momento. All’inaugurazione c’erano oltre 5mila persone. È stato bellissimo, non ero ancora cosciente di quello che avevamo fatto». Come ha raccontato Gaetano Giunta, fondatore della Fondazione Messina, questa operazione è anche una battaglia vinta contro il precariato, effetto dell’economia egoista e ci ha fatto tutti egoisti. «Questa economia è vorace, consuma la nostra felicità» spiega nel film. «Consuma le risorse del pianeta. Nella precarietà muore la democrazia, e si insinuano le mafie e le clientele. Sceglieremo questa birra perché è buona, di grande qualità e racconta storie di libertà».
Costruire qualcosa che resta a tutta la città
Il Birrificio Messina ha permesso ai Quindici di far rimanere i loro figli nella loro terra. È riuscito nell’impresa di creare qualcosa di stabile, di dare certezze anche per il futuro. Oggi i figli dei Quindici lavorano al controllo di qualità, in cantineria, al confezionamento, in amministrazione. C’è chi non ha lasciato mai la Sicilia e chi invece è tornato a casa. Quel birrificio è l’alternativa a un lavoro precario e sottopagato. È essere rispettati, lavorare in un luogo dove il rapporto tra il superiore e i ragazzi viene visto con un confronto. È ripensare le relazioni sociali e di comunità della città. «Non dobbiamo dire che ce l’abbiamo fatta» riflette Sorrenti. «Dobbiamo ancora completare tutto. Io sto cercando di portare l’azienda a un livello di sicurezza per questi ragazzi. Perché loro hanno passione, hanno seguito i nostri problemi, sono entrati perché hanno visto i sacrifici che hanno fatto i loro genitori. E questo posto lo sentono loro. Sono laureati, sono a livelli molto alti, eppure hanno scelto di rimanere a Messina. Questa è la cosa importante, non abbandonare mai il proprio territorio». E poi non sentono di lavorare sotto un padrone, ma per qualcosa che è loro. «Ogni tanto faccio qualche sfuriata» sorride. «Ma poi faccio anche la comitiva. Me li porto a mangiare una pizza, o faccio panini con la salsiccia. Quel piccolo contributo che ci fa sentire una famiglia lo cerco sempre». Oggi la birra di Messina va in tutto il mondo: in Canada, negli Stati Uniti, in Australia, in Belgio. «Non siamo imprenditori, siamo semplici operai. Ma abbiamo costruito una cosa che resta a tutta la città» sentiamo dire nel film. «Il punto di forza è stata l’unione. Le battaglie si fanno in gruppo. Nei momenti di bisogno trovare una persona accanto e confidarsi è fondamentale».