IL VOLONTARIATO AL TEMPO DEL COVID 19

Tiene duro il Centro Astalli, vita più difficile per il volontariato ospedaliero e quello carcerario. Il primo insegnamento: una comunità coesa non si improvvisa

di Lucia Aversano

In queste settimane il Paese intero è chiamato ad affrontare un’emergenza senza precedenti. Il Covid  19, causato dal virus Sars-cov-2, ci ha messo di fronte a una situazione inedita, di estrema incertezza e che ci riguarda tutti. Per rallentare il contagio, l’unica arma attualmente in nostro possesso è la riduzione drastica degli spostamenti e dei rapporti sociali. Progressivamente, quindi, sono stati ridotti gli spostamenti e sono stati chiusi tutti i principali luoghi di relazione: la scuola, lo sport e la cultura e infine gli spazi sociali. La serrata progressiva delle diverse attività ha portato molte associazioni del Terzo settore a ridurre o sospendere i propri servizi.

Se da un lato è necessario ridurre i rapporti sociali al minimo, dall’altro lato sappiamo che un virus non è mai una questione individuale, ma collettiva, e solo una comunità coesa può affrontarlo. Meno vita sociale non significa meno solidarietà, semmai il contrario e la Lombardia in questi giorni ce lo sta dimostrando. Ad esempio il Comune di Milano ha attivato una rete composta da aziende e privato sociale per dare aiuto agli over 65, agli immunodepressi e in generale alle persone più a rischio per far si che non debbano uscire di casa e che abbiano tutto il necessario durante questo periodo. E altre reti solidali si stanno attivando man mano che l’emergenza cresce.

Il Centro Astalli

Nel Lazio le associazioni che si occupano di servizi alle fasce più fragili della società continuano le loro attività, attenendosi scrupolosamente alle norme contenute dell’ultimo decreto legge (al momento in cui si scrive è quello emanato il 9 marzo).

accoglienza diffusa
Padre Camillo Ripamonti, direttore del Centro Astalli

Il Centro Astalli, che si occupa dei servizi per i rifugiati, ad esempio continua la sua opera, e l’erogazione dei servizi non ha subìto eccessivi stravolgimenti. Padre Camillo ci fa sapere che i servizi come la mensa, i servizi legali e quelli relativi all’ambulatorio e al centro accoglienza sono stati rimodulati secondo i decreti legislativi, ma non hanno avuto interruzioni. La mensa ad esempio viene erogata attraverso la somministrazione di pasti al sacco, mentre gli altri servizi restano attivi, contingentando l’utenza. Come fanno altre associazioni, che si occupano delle persone ai margini.

Negli ospedali

In questo momento si assiste anche a un altro fenomeno che ci riporta indietro nel tempo: osservare cosa succede in alcuni ambiti, quando il volontariato non è presente. L’AVO (Associazioni Volontari in Ospedale) ha deciso di sospendere l’attività, in quanto «gli ospedali sono nella massima allerta e costituiscono un punto “sensibile”, e la nostra presenza potrebbe essere d’impaccio in questa fase, oltre che una minaccia per la salute nostra e dei pazienti». Ciò rappresenta una grave perdita per i pazienti ospedalieri da un lato, e un profondo rammarico da parte dei volontari dall’altro.

In carcere

Un altro esempio eclatante è quello delle carceri. Tra le varie sospensioni di attività legate al Covid 19, ci sono anche quelle collegate alle associazioni che operano nelle case circondariali. Questa sospensione è quella che ha destato da subito maggior preoccupazione da parte delle associazioni che operano con i detenuti.

detenuti volontari
Ornella Favero, direttrice di “ristretti Orizzonti”

Già qualche giorno fa Ornella Favero, direttrice della rivista “Ristretti Orizzonti”, attraverso un articolo apparso su “Vita magazine”, rendeva pubbliche alcune lettere che testimoniavano la vita dei detenuti rimasti in carcere senza alcun tipo di attività, e rimarcava quanto «dannoso, pericolo e insicuro fosse un carcere chiuso alla società civile». Preoccupazioni più che mai ragionevoli, come ha poi dimostrato la cronaca di questi giorni. Dopo la sospensione dei colloqui con i famigliari per evitare il contagio, avvenuta in prima battuta nel nord Italia, è stato ancora una volta il volontariato a farsi portavoce degli “ultimi dopo gli ultimi”.

L’associazione Antigone ha chiesto a gran voce misure a favore dei ristretti, come ad esempio quella di poter raddoppiare la durata delle telefonate, fare colloqui via Skype, e adottare misure alternative alla pena. E alcune di queste richieste sono state inserite nei nuovi decreti. La cronaca di questi giorni ha dimostrato come gli allarmi, lanciati dalle associazioni, si sono rivelati purtroppo profetici e che si doveva fare di più e si doveva fare prima.

L’insegnamento del Covid 19

Probabilmente, quando tutto questo finirà, bisognerà trarne i giusti insegnamenti: ma il nuovo coronavirus, con la sua sfacciata democraticità, ci ha già messo di fronte ad alcune verità.

La prima è che siamo tutti sulla stessa barca e potenzialmente tutti abbiamo bisogno del medico di una Ong che venga a soccorrerci, siamo tutti “stranieri”, siamo tutti “l’altro”.

Ci ha già insegnato che se la società civile viene meno, è una perdita per tutta la comunità e che una comunità coesa non si costruisce dall’oggi al domani, ma va coltivata giorno dopo giorno, con implacabile tenacia.

Leggi anche: Il Coronavirus non ferma il volontariato.

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