IL COVID NON FERMA IL SERVIZIO CIVILE NEL LAZIO
La maggior parte delle associazioni si è riorganizzata ed ha fatto in modo che l'esperienza fosse significativa per i giovani e utile per gli altri
19 Marzo 2021
“Resiliente” è l’aggettivo che meglio qualifica il servizio civile del Lazio in tempi di covid. Durante il lockdown infatti quasi tutti i progetti in corso sono continuati e terminati, dando la possibilità ai giovani di vivere un’esperienza formativa unica nel suo genere.
«I primi dieci giorni di quarantena sono stati di riflessione. Trattando la disabilità, abbiamo avuto paura sia per la sicurezza dei nostri iscritti sia per quella dei ragazzi. Poi però ci siamo chiesti: se non aiutiamo ora, quando dovremmo farlo?», esordisce Catia Bartoli, Agenzia Vita Indipendente Onlus. «Nella prima fase abbiamo distribuito dispositivi di protezione ai diversamente abili e alle loro famiglie. Poi siamo passati ai pacchi alimentari per i meno fortunati. Infine una delibera regionale ha sancito il diritto, per coloro che sono affetti da ritardo cognitivo, di essere accompagnati fuori. Senza l’erogazione dei laboratori, tutta la cura è ricaduta sulle spalle dei genitori, alle prese con lo smart working e la didattica a distanza. Quest’anno, a differenza di quello precedente, la campagna di sponsorizzazione è stata più accesa e alle selezioni dei giovani si sono presentati molti più candidati».
«La maggior parte dei nostri soci sono persone ultrasessantenni, quindi abbiamo preferito chiudere a marzo e riaprire a fine maggio», così Claudio Della Ventura, di Progetto Casa Verde. «Abbiamo riorganizzato la ripresa in sicurezza, facendo entrare una persona alla volta e comprando un misuratore di temperatura e asciugamani elettrici per i bagni. La ragazza del servizio civile si è presa l’impegno di far rispettare le distanze e sanificare l’arredo. Mi dispiace che le nostre due linee d’azione più attrattive, lo studio medico dedicato agli immigrati (ma aperto comunque a tutti) e lo sportello lavoro, siano stati sospesi. Il flusso di persone non sarebbe stato comunque lo stesso dei tempi normali. Fermi anche i corsi di formazione trimestrali per badanti: speriamo nel prossimo autunno».
«L’arrivo del virus ci ha spinti a cambiare l’ordine delle priorità», racconta Riccardo Sinibaldi di Arciragazzi Roma, impegnata in ludoteche e centri di aggregazione. «Abbiamo interrotto qualsiasi attività in presenza, per trasferirle sulle piattaforme digitali. I nostri volontari hanno realizzato contenuti video per proseguire i laboratori e clip per aiutare i genitori con figli più piccoli. Con le prime riaperture abbiamo puntato sul sostegno allo studio pomeridiano, perché il ricorso alla didattica a distanza è stato particolarmente difficile per alcuni. Riadattare in corso d’opera la programmazione è stato più utile ai destinatari e ha permesso di vivere un’esperienza più intensa ai candidati scelti, che hanno cooperato maggiormente con gli operatori, tirando fuori le loro qualità migliori. Peccato che non abbiano potuto sperimentare altre iniziative collaterali e parallele».
«Il bando 2020 prevedeva il supporto a persone malate di Alzheimer, impegnate in gruppi di lavoro, terapie occupazionali e laboratori di cucina, canto, recitazione, orto terapia», ricorda Daniela Berton di Casa Aima Latina. «L’aiuto c’è stato lo stesso, ma a distanza, mantenendo i contatti con le videochiamate. Ma non è la stessa cosa. La tendenza a un miglioramento delle condizioni di salute degli iscritti, dovuto a un tempo maggiore passato in famiglia, si è invertita con il prolungamento del lavoro da remoto: non sempre si ha tempo di occuparsi dei nonni. Finora la Asl non ci ha dato il permesso di riaprire e in questi ultimi mesi le volontarie hanno eseguito valutazioni geriatriche con nuove famiglie. Uno o massimo due persone passano in sede per una passeggiata, un caffè insieme, cantare una canzone o vedere fotografie. Un’ora a settimana, non di più».
«La chiusura generalizzata ha colto anche noi di sorpresa», conclude Carlo Rossetti dell’Associazione Italiana per la lotta alle Sindromi Atassiche (AISA) del Lazio. «Non tutti i nostri giovani hanno terminato il periodo di servizio e recupereranno il tempo perso più avanti. Nei mesi passati hanno guidato i pazienti nella fisioterapia attraverso sportelli telefonici e telematici: attraverso una app abbiamo creato classi di cinque persone divise in base alle capacità residue: chi deambula, chi è costretto su sedie a rotelle e i tetraplegici. Stessa cosa abbiamo fatto con la nostra logopedista professionista, nostra ex volontaria che scrisse la sua tesi universitaria con noi. Quelli di quest’anno hanno partecipato anche a webinar formativi, attraverso i quali hanno incrementato le loro competenze».