IL FUTURO DELLA SCUOLA È IL NOSTRO FUTURO: 8 PROPOSTE PERCHÉ SIA EQUO
12 associazioni e coordinamenti hanno presentato un documento con le proposte per rimettere i bambini al centro
26 Giugno 2020
«A scuola fatico meno, perché pensiamo insieme» ha detto un ragazzo. «A scuola la linea non cade mai», ha raccontato un altro studente. Alunni, genitori e insegnanti vengono da tre mesi durissimi, con le scuole chiuse. È un tempo che non possiamo pensare di mettere tra parentesi per tornare al mondo prima del Covid-19. Questi mesi ci hanno dimostrato che la scuola italiana non è aperta a tutti: con la DAD (didattica a distanza) non tutti erano forniti degli strumenti necessari, e si è rivelata uno strumento di esclusione. È come si fosse svelato quello che nella scuola in presenza era già evidente: la possibilità di raggiungere i bambini non è la stessa. A settembre mancano 70 giorni. 12 associazioni e coordinamenti – realtà non profit impegnate in campo educativo – hanno presentato il documento “Da una scuola grande come il mondo a una grammatica per la riapertura” (il testo si può leggere a questo link), che contiene una proposta non solo per riaprire la scuola, ma per darle un futuro. È infatti necessario, in questo momento più che mai, un approfondimento sul ruolo che la scuola ha e dovrebbe avere per il futuro nel nostro Paese.
Un investimento sul nostro futuro
«E se a settembre la scuola potesse volare?» si chiedono, nel nome di Gianni Rodari, i redattori del documento. Non è un caso che si citi Rodari. Vuol dire mettere al centro l’arte di inventare, un agire comunicativo, un dialogo un incontro con l’altro. La scuola è a un bivio. Da un lato ci sono delle proposte con meno giorni di scuola, meno presenza dei docenti e meno istruzione, che significa meno democrazia. Non vengono ancora indicati i livelli minimi di presenza a scuola dei bambini. E, per quanto sia condivisibile l’autonomia di ogni scuola, è necessario poter prevedere una presenza almeno uguale in tutto il territorio nazionale.
Il Governo deve aiutare la scuola, e un miliardo e mezzo di euro non basta. Perché quella per la scuola non deve essere considerata una spesa, ma un investimento per tutto il paese, un investimento sul nostro futuro. Investire nella scuola vuol dire investire nella coesione sociale, nell’economia e nella salute. Nella scuola che vorremmo non deve esserci didattica mista, ed è necessario un forte incremento degli organici e la copertura stabile dei posti vacanti. Va mantenuto e incrementato il tempo pieno, e va mantenuto il numero delle sezioni di tutto il percorso 0-6 anni (nidi e scuole dell’infanzia) del 2019, a prescindere dalle nuove iscrizioni. E deve essere fatto ricorso a tutte le opportunità consentite dall’autonomia di ricerca e dalla flessibilità organizzativa dei servizi educativi e scolastici.
In questo senso, le associazioni non nutrono molta fiducia nella Ministra dell’istruzione. Come ha detto Clotilde Pontecorvo, della Federazione Italiana dei Cemea, «per far ripartire le scuole non bastano le linee guida, che sono insufficienti, ma gli istituti hanno le forze per riaprire con l’aiuto degli Enti locali e dei volontari e del Terzo settore». I Cemea, come Movimento dell’Educazione attiva, ha aggiunto «danno molta importanza alla metodologia che si stabilisce con bambini piccoli e ragazzi di qualsiasi età. Per questo siamo contrarissimi alla Dad, che è stata un fattore di discriminazione, nonostante gli sforzi straordinari delle maestre».
Insomma, tutto deve stare dentro una cornice di senso pedagogico. Va esclusa ogni possibilità di modificare i modelli educativi che hanno assicurato identità, specificità e una propria cultura pedagogica alla Scuola, come la scuola in presenza, il tempo pieno, i gruppi classe. La pandemia non deve costituire un alibi per indebolire i modelli educativi.
Otto punti per il futuro della scuola
Quella che abbiamo davanti è un’occasione da non perdere. La scuola, che dovrà ripartire a breve, può diventare il motore di cambiamento per l’intera comunità locale. Ecco gli otto punti del documento, che sono stati illustrati da Anna D’Auria, segretaria nazionale del Movimento di Cooperazione Educativa (MCE).
Il primo punto è ricordarsi che le storie non sono tutte uguali, e che non ci può essere una soluzione unica per tutte le scuole. Per esempio, non dovrebbe succedere più quello che è accaduto quest’anno, che anche dove non c’è stata una vera emergenza la scuola è stata chiusa. Il secondo punto è fondamentale: si tratta di passare quanto più tempo possibile a scuola, perché «a scuola la linea non cade mai», come ha detto quel bambino di Cagliari. Serve poi una cornice comune di riferimento, che deve essere data dalle linee guida del ministero. È importante stare insieme in salute: servono dei protocolli sanitari, e ogni scuola deve essere preparata a livello sanitario e di prevenzione, e deve avere un personale adeguatamente formato. Si tratta poi di stare fuori dall’aula senza paura, occorre cioè definire in modo chiaro le responsabilità di tutti: dirigenti, docenti, personale educativo, personale ATA, famiglia e alunni, sviluppando una nuova logica basata sulla corresponsabilità di tutti i soggetti.
Il sesto punto è il bisogno di liberarsi dal fantasma dei programmi e andare verso l’attualizzazione di argomenti e temi. Nella nostra scuola c’è ancora l’idea di un programma rigido e un libro di testo a cui fare riferimento, secondo un sistema gerarchico. Il curriculum scolastico invece deve potersi incontrare con la proposta extracurriculare, con esperienze concrete di vita, secondo un percorso di crescita e apprendimento.
Il punto 7 parla di formazione e qualità dell’azione educativa, ed è un discorso affascinante: scuola all’aperto, in natura, per piccoli gruppi e percorsi laboratoriali nel territorio, richiedono un’innovazione didattica e metodologica strutturale. Non si tratta unicamente di trasferire le attività fuori dall’aula a piccoli gruppi, ma di cambiare la cornice pedagogica, per reimpostare un nuovo e permanente modo di fare scuola e di essere adulti che educano. La formazione degli insegnanti allora diventa strategica per la qualità dell’azione educativa. L’ultimo punto parla di allargare gli spazi di partecipazione, democrazia a scuola e nel territorio: negli ultimi anni questi sono stati ridotti, burocratizzati. L’emergenza ci ha dimostrato quanto siano importanti la partecipazione e il coinvolgimento delle famiglie. Il Patto Educativo di Corresponsabilità dovrebbe essere il momento in cui chi è investito, a qualunque titolo, del compito educativo si riconosca nel conseguimento di un obiettivo. Le leve della ripartenza devono essere allora l’autonomia scolastica, gli organi collegiali, una certa flessibilità organizzativa e il dialogo con il territorio.
Dietro le mascherine c’è un bambino
«I genitori hanno dovuto improvvisarsi procacciatori di fotocopie, controllori dell’esecuzione dei compiti, di fare da docenti, organizzatori di spazio, gestori delle emozioni dei figli» ha spiegato Angela Nava, del Coordinamento genitori democratici. I genitori hanno sperimentato quella complessità di ruoli e professioni che appartenevano agli insegnanti. Per questo, sottolinea Angela Nava, «i genitori devono essere coinvolti un processo decisionale e democratico, battendo vie nuove, che diano nuova vita agli stanchi organi collegiali. La scuola deve diventare un grande rito laico di condivisione». «Non possiamo pensare a una scuola che risponda all’emergenza solo con dei piani di ingegneria organizzativa» aggiunge Angela Nava. «Vogliamo che ci sia un progetto didattico. Dietro le mascherine – si, no, a sei anni? – ci deve essere quel bambino, quel progetto pedagogico. Come diceva Danilo Dolci, c’è chi educa sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato».
La fascia 0-6 anni
Nelle linee guida del governo non c’è traccia della fascia 0-3 anni e neanche di quella 3-6 anni, cioè dei nidi e delle scuole per l’infanzia. «La preoccupazione che abbiamo avuto è stata vedere trattata la fascia 0-6 anni sono quando sono ricominciati i processi produttivi, perché si è parlato del come conciliare famiglia e lavoro» ha commentato Aldo Garbarini, del Gruppo Nazionale Nidinfanzia. «Ma dietro ci sono dei diritti fondamentali di infanzia e adolescenza. Va potenziata l’offerta dei servizi educativi. Abbiamo bisogno che il sistema riparta non dimenticando nessuno, che tutti i bambini e le bambine possano ritrovare appieno il loro mondo, e molti nuovi bambini accedano a questi servizi. Molti enti pubblici ed enti locali si stanno muovendo verso la soluzione della chiusura dei servizi o la totale privatizzazione».
Reinventare gli spazi
Gli spazi, improvvisamente, sono diventati i grandi protagonisti di questa riapertura. Nel documento sono presenti anche una serie di azioni e considerazioni che li riguardano. «Quando si tornerà a scuola dovranno essere degli spazi sicuri, ma anche reinventati, capaci di raccontare un’altra scuola più inclusiva e più efficace», spiega Vanessa Pallucchi, responsabile scuola e formazione di Legambiente.
«Gli spazi dovrebbero diventare il terzo educatore. E andrebbero rigenerati: la nostra edilizia scolastica non è in buone condizioni, e delle condizioni minime devono essere assicurate in ogni territorio». Gli spazi educativi oggi non sono solo dentro la scuola, e il momento di crisi lo ha fatto notare di più. «Altri spazi e soggetti che possono offrire il loro apporto, però, non siano considerati stampelle, ma siano integrati dentro un piano» continua Vanessa Pallucchi. «Facciamo in modo che il Terzo Settore non sia quello che fa fare la gita fuori porta, che assicura lo sport, ma che sia considerato un soggetto veramente attivo, dentro una regia, dentro un pensiero culturale».
Il ruolo del Terzo settore
Il ruolo del Terzo Settore allora deve essere un ruolo attivo, creativo, all’interno di dei patti territoriali con cui stabilire un patto consapevole con delle persone, che sono sempre adulti con una funzione educativa più larga. Lo ha detto Claudio Tosi del CSV Lazio. «Dobbiamo fare tesoro di tutte quante le esperienze che abbiamo, scuole aperte, scuole apribili, comitati dei genitori che integrano, con le attività che mettono in campo, tutta l’offerta formativa» ha spiegato Tosi. «E coinvolgere tutti quegli organismi che fanno progetti contro la povertà educativa, rifocalizzare con le famiglie, adulti e bambini, una voglia di partecipare a questa crescita. Che non è un pezzo di carta, ma una tessitura di relazioni sui territori».
Le ore di 40 minuti
Una delle proposte fatte dal ministero per la riapertura delle scuole è quella delle ore di 40 minuti, in modo da accorciare le giornate di lezione e favorire i doppi turni. «Pensare a ore di 40 minuti è una scelta poco intelligente, vuol dire che la scuola può essere fatta di corsa» commenta Franco Lorenzoni, maestro elementare, autore e coordinatore della Casa-laboratorio di Cenci. «Dovendo fare le cose in 40 invece che in 60 minuti si taglia la relazione, lo spazio del confronto tra le idee. “A scuola fatico meno perché pensiamo insieme” ha detto un ragazzo. Per pensare insieme bisogna darsi il tempo, dobbiamo usare questa crisi per dire più scuola: più scuola pubblica, più tempo a scuola». E una “politica del rammendo”, per recuperare tutti quei bambini e quei ragazzi che sono stati completamente allontanati da ogni forma di istruzione per più di tre mesi.
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