NOAH, E LA CUCINA DIVENTA UN LABORATORIO PER CRESCERE
"Il mio laboratorio Montessori in cucina" è un libro pensato per allenare i sensi, la manualità e la conoscenza del mondo dei bambini
08 Febbraio 2022
Questa è la storia di un bimbo, di un papà e di una cucina ricca di colori, di sapori e di odori. E quindi piena di stimoli. È la storia di un papà e un bambino che trovano il tempo di stare insieme e di imparare tante cose, cucinando. La storia di Noah e di suo papà, Federico Bastiani, giornalista e fondatore di Via Fondazza Social Street, la prima social street in Italia, è diventata un libro, “Il mio laboratorio Montessori in cucina”, edito da QUID+, la linea editoriale educativa firmata da Gribaudo, parte del Gruppo Feltrinelli.
Il libro, sugli scaffali dal 3 febbraio, è pensato per allenare i sensi, la manualità fine e la conoscenza del mondo dei bambini. Ci sono 5 racconti illustrati, ispirati a fatti realmente accaduti nella famiglia Bastiani e incentrati sul piccolo chef di casa, Noah. Al termine di ogni storia sono suggerite tante attività montessoriane facilmente replicabili nella quotidianità di casa. C’è anche una guida che aiuta i genitori a comprendere come l’ambiente della cucina possa trasformarsi in un luogo di apprendimento e di sperimentazione, a cura dell’autrice Barbara Franco e con la consulenza di Cristina Venturi, insegnante di scuola primaria e formatrice dell’Opera Nazionale Montessori.
Cominciò con un licenziamento
Ma come è iniziata la storia del piccolo grande chef? «Noah aveva circa due anni e mezzo», racconta Federico Bastiani. «Era il periodo in cui io ero in una fase di cambiamento, lavoravo in azienda, ma non ne potevo più. Mi mancava il tempo materiale di stare con i bimbi. E mi stavo perdendo il momento più bello. Con mia moglie che era a casa e seguiva i bambini, ne abbiamo parlato. Così mi sono licenziato e mi sono reinventato».
«Avere del tempo a disposizione era un grande lusso, ma non era una scelta facile. Mi presi un congedo parentale di un anno e poi decisi di licenziarmi e dedicarmi ai bambini». Il bello veniva ora. «Ma mi sono detto: “Ce l’ho fatta, ora ho il tempo. Come lo impieghiamo?» ci racconta. «Mi piaceva cucinare, ma non avevo mai avuto il tempo di imparare, cucinavo sempre per necessità. Avendo più tempo a disposizione cominciai a prendere libri di ricette. Cominciai a riempire il tempo con queste cose, per me. E vedevo Noah che prendeva la sua seggiolina, si metteva vicino a me e mi guardava. Credevo fosse incuriosito, e gli presi una cucina di plastica. Pensavo non fosse interessato alla cucina, ma più a cucinare con me».
Così, un po’ per gioco, Federico comincia a farsi aiutare «“Mi lavi l’insalata? Mi lavi il pomodoro? Mi pulisci le alici?” Gli chiedevo questo» racconta. «A tre anni ha iniziato la scuola materna Montessori. Dove un’insegnate mi ha detto: “Lo sai che quello che sta facendo Noah seve a sviluppare la manualità?“. La cosa mi aprì un mondo e cominciai a documentarmi. È stato un crescendo: con mia moglie mettevo dei video sul mio profilo Facebook, spesso i genitori mi chiedevano le ricette. Così abbiamo creato la sua pagina Facebook, e questo esperimento, che è partito dalla pratica invece che dalla teoria».
La cucina, una palestra educativa
Durante il lockdown la cucina è diventata di moda per tutti. Ma per Federico e Noah è stato qualcosa di più. «Al di là dell’interesse mediatico, per me fu un momento per dire: “Ok, lui deve stare a casa, la cucina può essere una palestra educativa”», ricorda Federico Bastiani. «È davvero così: si imparano le decine e le centinaia grazie alla bilancia digitale. Cominciamo a studiare la storia: siamo andati al museo etrusco e al museo egizio per farci spiegare cosa mangiavano gli egiziani, e gli etruschi. Abbiamo studiato anatomia: abbiamo passato una giornata in pescheria e abbiamo capito come respirano i pesci. Abbiamo fatto geografia, per capire cosa mangiano in India, in una live con uno chef indiano. Abbiamo agganciato mille discipline».
«Il bambino, crescendo, sempre di più si avvicina non solo allo sviluppo di competenze e di proprietà, ma anche allo sviluppo di conoscenze» concorda l’insegnante Cristina Venturi. «Ad esempio, conoscenze legate alla matematica, alle equivalenze. Oppure a tutto quello che può essere legato alla stagionalità dei cibi, al concetto di chilometro zero, alla socializzazione. Si tratta infatti di fare delle cose insieme ad altri, il genitore o i compagni, un lavoro. E capire che i lavori fatti insieme sono importanti, perché insieme è meglio. La cultura passa attraverso la cucina».
L’importanza del Signor Errore
Il libro “Il mio laboratorio Montessori in cucina”, allora, è stato l’approdo naturale, la chiusura di un cerchio e la condivisione di un percorso. «Tutto questo l’ho fatto e mi piace condividerlo con gli altri», spiega Federico Bastiani. «Abbiamo chiuso questa partentesi e un giorno Noah la farà vedere ai suoi figli. Ho presentato questa proposta a Quid +, pensando a un libro per genitori e bambini, e mi hanno detto che si sarebbe inserito bene in una loro collana, dividendo il libro in due parti, una dedicata ai genitori e una ai bambini».
“Il mio laboratorio Montessori in cucina” è fatto di storie belle e coinvolgenti, da leggere con i bambini, e di spiegazioni utili per i genitori. Si spiega, infatti, come affrontare un discorso delicato come l’uso dei coltelli. «Raccontavo questa cosa all’inizio ai genitori e mi guardavano strano» ci racconta Federico. «Ci sono i coltelli, e c’è il fuoco. Cucinare non è esente da pericoli, ma lo è anche andare in biciletta. All’inizio gli ho dato i coltelli di plastica: volevo che guardasse me e che replicasse i movimenti con il coltello di plastica, ma lui ha capito che c’era qualcosa che non andava. Così ha preso il mio coltello e mi è venuto l’istinto di fermarlo. Ma il Signor Errore è fondamentale per l’apprendimento, se non sbagli non capisci qual è il tuo limite. Noah si è fatto dei piccoli tagli che ha vissuto male. Ma se il coltello lo usa con timore va bene: anche i grandi chef si tagliano».
Il risotto è un risotto
Il libro è pieno di belle storie. Come quella in cui Noah non ha gli spaghetti e trova il modo di farli con delle verdure. O come quando dimostra di tenere tanto a un suo compagno indiano, da fargli un piatto tipico dell’India, a base di riso. Che però nessuno deve chiamare risotto. «La parte che mi è piaciuta di quella storia è che è un messaggio di inclusione», commenta Bastiani. «Il risotto lo puoi fare con spezie diverse, ma comunque è un risotto. È un messaggio di inclusione, sulle differenze. Perché anche il tema del razzismo e delle differenze è un tema che è difficile affrontare con un bambino».
Il cibo è amore, è cura
«Come insegnante montessoriana ho visto subito la connessione con il fulcro del percorso pedagogico montessoriano», spiega Cristina Venturi. «Nella vita pratica c’è tutto il concetto della Montessori: rispetto per l’ambiente, sviluppo dell’autonomia, rispetto dell’altro. I sensi trovano la possibilità di poter sperimentare e incasellare le esperienze in qualcosa di più strutturato. Potersi dedicare a un progetto così, per un bambino piccolo, vuol dire affrontare, assieme ai genitori, una crescita dove in primo luogo c’è lo sviluppo dell’autonomia».
«In realtà questo fa sì che il ambino possa sviluppare un pensiero divergente quando si trova di fronte a delle difficoltà, e sta al genitore accompagnarlo in modo da affrontarle come qualcosa di superabile» aggiunge. «La difficoltà deve essere un gradino più su di quello che lui può fare: se fosse troppo facile poterebbe il bambino alla noia, e non imparerebbe niente; se fosse troppo difficile scatterebbero tutta una serie di frustrazioni e di capricci. L’errore ha un grande valore, perché permette lo sviluppo di un pensiero divergente e la capacità di saper gestire le frustrazioni».
Per pensiero divergente si intende ciò che accade in situazioni in cui vorremo fare una cosa e troviamo un ostacolo, per cui dobbiamo rivedere il nostro pensiero e trovare un’altra strada per raggiungere la meta. È quello che accade nella storia della ricetta con gli spaghetti che Noah non riesce a fare, perché non trova l’ingrediente giusto. «L’impegno per i genitori non è solo quello di accompagnare il bambino», spiega l’insegnante. «È anche fare qualcosa con lui, riuscire ad entrare, in una relazione con lui, nella quale il ponte è il cibo. Il cibo è amore, è cura. E questo vuol dire tanto a livello emotivo».
I figli non sono nostre emanazioni
C’è una cosa molto importante, però, a cui fare attenzione. «Ci sono bambini la cucina non interessa», spiega Venturi. «Si tratta sempre di seguire le inclinazioni del bambino: se non è la cucina sarà un’altra attività. Come diceva la Montessori, bisogna osservare e attendere, osservare molto il bambino e attendere le sue manifestazioni. Questo fa sì che il genitore possa preparare un ambiente adeguato. Il bambino deve sentire che è lui il promotore della sua conoscenza: deve sempre essere la curiosità lo stimolo personale. Il genitore deve supportare ma non sostituire i desideri propri a quelli che possono esser quelli del figlio. I figli non sono nostri, non sono nostre emanazioni».
Tutto questo è coerente con ciò che sta accadendo nella vita di Noah e di Federico. «Quest’anno ho detto: “cominciamo un’altra fase”» ci ha raccontato. «Non so se Noah continuerà a cucinare. Ora è interessato anche ad altre cose, ora segue il basket, la Formula 1. Ha comunque una grande amicizia con lo chef Luca Pappalardo, prende il suo libro e vuole fare ricette nuove. Ha delle competenze, le mette in una scatolina. Magari la riprenderà tra 15 anni».
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Barbara Franco
“Il mio laboratorio Montessori in cucina”
Gribaudo, 2.022
pp. 96, € 14,90