IL SESSISMO SUI MEDIA E NELLA SOCIETÀ C’È. METTIAMOLO NERO SU BIANCO
Pubblicità, giornali, social, iniziative pubbliche: in Italia la discriminazione verso le donne è ancora forte, e sui media è molto evidente
25 Novembre 2020
«A Roma Termini ci passo per lavoro, mi fermo per pranzo». «A Roma Termini prendo il pranzo, poi corro a smaltirlo». È un’affissione apparsa per lanciare la stazione di Roma come luogo conviviale. Il punto però non è questo. È come, ancora oggi, vengano visti diversamente uomini e donne nelle pubblicità, sui giornali, sui social media, nella comunicazione pubblica.
Maria Laura Ramello, giornalista da sempre attenta alle questioni di genere su Wired e altre testate, ha raccolto una galleria di mostruosità antropologiche come queste in un album, sul suo profilo Facebook, dal titolo Avete rotto le ovaie. La discriminazione. Nero su bianco, dove l’attenzione è su una serie di casi di sessismo sui media. «Da anni mi interesso di questioni di genere, prima legate alla rappresentazione del mondo femminile nei film e nelle serie tv; poi ho allargato l’interesse e ho cominciato a raccontare le situazioni in cui le donne venivano trattate in maniera palesemente sessista» ci ha spiegato Maria Laura Ramello. «È una cosa così sistemica, così radicata nella società che è quasi invisibile, e capita che non ci si faccia attenzione. E chi ci pone davvero attenzione è una minoranza. Volevo mettere nero su bianco che la discriminazione c’è sui quotidiani, sulle affissioni. In pubblicità è spesso esplicita: se accosti un culo a un’automobile è chiaro che quella è mercificazione. Ma ci sono delle cose un po’ più sottili. Oggi si tratta di trovare un codice comune di linguaggio. Capire che non ha senso più dire “una donna con le palle”. Per dire che è forte serve dire che ha attributi maschili?».
Dall’Antico Testamento alle Tv di Berlusconi
Abbiamo deciso di approfondire un po’ cosa sta succedendo nel nostro Paese con Maria Laura Ramello e con Marco Ferri, creativo da sempre molto attento a questioni di questo tipo. «C’è un libro molto interessante di Richard Wrangham, “Maschi bestiali. Basi biologiche della violenza umana”, che riguarda lo sviluppo dell’homo sapiens in relazione al sessismo, alla guerra e altre cose», spiega come premessa. «Sostiene che è insita nella crescita e nello sviluppo dell’homo sapiens, nella preistoria, l’idea che l’uomo abbia una supremazia nei confronti della donna. Quale sarebbe dovuto essere, nel corso dello sviluppo umano, l’antidoto a questa pulsione? Poteva essere la politica, la coscienza, la conoscenza. Nei secoli questa questione ha avuto alti e bassi: le religioni monoteistiche, sia l’Antico Testamento che i Vangeli che il Corano, trattano la donna come un essere inferiore (partorirai con dolore)… Nella società capitalista, descritta da Engels nel famoso “La situazione della classe operaia in Gran Bretagna”, si parla di sfruttamento femminile, e della prole».
«Abbiamo avuto una curva ascendente della presa di coscienza: non era possibile considerare un essere umano che sulla Terra è in maggioranza, come una minoranza», continua. «Fino a un certo punto, all’inizio degli anni Ottanta, questa curva ha criticato, smantellato, modificato l’assetto giuridico per migliorare la condizione della donna. Poi è cominciata una curva discendente. In Italia è coincisa con l’esplosione della tivù commerciale berlusconiana, il cui artefice, una volta al governo, con le sue battute ci ha fatto vedere come nelle aziende si ragionasse come se fossimo tutti all’interno dello spogliatoio dopo una partita di calcetto». C’è chi sostiene che la Storia proceda per cicli, e anche in questa questione è così. «Ci sono dei momenti in cui ciò che pensavamo che fosse arretrato e silente riemerge, e abbiamo questi drammatici episodi di sessismo, soprattutto nella comunicazione di massa, perché è quella che vediamo», commenta Ferri. «Siamo con un paese a un livello drammatico di violenza fisica verso le donne, non vive nei tuguri e nei quartieri malfamati, ma nelle famiglie».
Pranzi di lavoro contro spuntino e palestra
«Questa cosa non può non venire fuori nella pubblicità», ragiona Marco Ferri. «Facciamo bene a denunciarlo: a volte è latente, a volte viene fuori e ogni tanto si riesce a controllare e fare in modo che venga neutralizzata dal senso comune». In molte persone rimane quindi un retaggio, che fa sì che si manifestino atti di discriminazione, anche in maniera involontaria. La pubblicità della Stazione Termini in cui l’uomo si ferma ovviamente per un pranzo di lavoro, o un pranzo tra un lavoro e l’altro, e la donna per uno spuntino (neanche un pranzo, sia mai…) mentre deve tenersi in forma fisica, la dice lunga.
«Si pensa che la donna debba interessarsi solo al suo aspetto fisico, mentre l’uomo invece deve avere successo», commenta Maria Laura Ramello. «Del patriarcato sono vittime anche gli uomini, non solo le donne: perché è richiesto loro di essere il macho, quello che lavora, che non può mostrare i sentimenti». «È inevitabile che i creativi pubblicitari, suggestionati da una certa forma di briefing, facciano delle cose che sono ignobili. Prendiamone atto e denunciamola», invita Ferri. «La campagna è il tentativo di fare una multisoggetto, quell’affermazione potrebbe essere contestualizzata nell’individuazione da vari target. Ma ritaglia attorno alla donna un ruolo, che è sbagliato sottolineare».
Mamme: creatività in cucina
Ma poi ci sono cose ben più gravi, che arrivano dalla comunicazione pubblica, cioè una voce che dovrebbe parlare a tutti. Tempo fa il Comune di Perugia ha lanciato un evento dal titolo Professione Mamma 6.0 – Il Festival delle Mamme, in cui si promuovevano incontri e laboratori per la «capacità e creatività in cucina, nell’ordine della casa, nella forma fisica e bellezza, nell’istruzione dei figli, nella salute di tutta la Famiglia (rigorosamente scritta in maiuscolo, ndr)». «È propaganda politica ed è gravissima», commenta Ferri. «Perché con il denaro pubblico, comprese le tasse di chi non ha votato per l’attuale giunta, si propone un modello politico e sociale aberrante: l’amministratore che è stato eletto e crede che quello sia il suo elettorato, dovrebbe tenerlo a bada. Lo faccia il suo partito, non lo faccia il comune. Quella è l’arroganza degli accenditori di roghi. Un’istituzione non può permettersi di dire delle cose del genere, che sono sbagliate».
«In Umbria era stato tolto il day hospital per la pillola abortiva, poi si è tornati indietro», aggiunge Maria Laura Ramello. «C’è un disegno, uno schema politico. L’assunto “se sei donna sei anche madre” è un dato di fatto; il padre è una presenza che, quando ha tempo o voglia, accudisce i bambini».
Un’altra comunicazione pubblica scioccante è quella del Comune di Ferrara che ammonisce: «Se sei ubriaca sei in parte responsabile dello stupro». «Qui siamo al limite del codice penale» spiega Ferri. «Significa in qualche modo giustificare l’idea che un soggetto, indebolito dalla sua condizione di alterazione alcolica, possa essere soggetto a violenze. Siamo veramente nel disordine concettuale, che è molto grave».
Le donne fanno carriera? Si parla dei figli
Sui giornali le cose non vanno certo meglio. Non si tratta di discriminazioni premeditate, ma di quel retaggio che, ancora una volta, fa sì che si scriva in modo diverso quando parliamo di uomini e donne. Capita così che su un quotidiano, per presentare i consiglieri eletti al comune di Genova, le didascalie degli uomini parlino delle loro precedenti esperienze, mentre quelle relative alle donne riportino «madre di quattro figli» e «madre di una bambina». «È una questione di retaggio», commenta Ramello. «La donna fa i figli, è una brava mamma, la grande conquista per loro è quella. Fino a poco tempo fa non era scontato che la donna lavorasse, e con il Covid la percentuale è di nuovo crollata. C’è stata una parlamentare che ha proposto il congedo di paternità a cinque mesi, come per le donne, ma non è andata in porto. Una donna dovrebbe stare a casa, contemporaneamente lavorare, e quando arrivi alla carriera politica e vieni eletta, cosa scrivono? Ha tre figli, ha cinque figli. Vuol dire essere ridotte a madri, è una riduzione, si prende in considerazione solo un aspetto dell’essere donna».
«Anche questo è segno di una mentalità, la dico con una battuta che viene da Tristana, il film di Luis Bunuel, quando Fernando Rey dice a Catherine Deneuve: “La donna onesta tutto l’anno in casa resta”», interviene Ferri. «Secondo il giornale, quelle due donne che fanno parte della giunta sono oneste, e buone politiche, perché sono madri di famiglia. È una forzatura di genere non tollerabile».
Se due donne premi Nobel diventano Thelma e Louise
Dalla carta stampata arriva anche l’articolo che definisce due donne, premio Nobel per la chimica, «le Thelma e Louise del Dna». «Questo è marketing all’amatriciana, se mi posso permettere», è la definizione di Ferri. «Non capendo come dire una notizia straordinaria, la si fa diventare un film: il premio Nobel è andato a due donne, e si etichettano come Thelma e Louise. Siamo in un giornalismo un po’ cheap, un tentativo di marketing, un caporedattore che inventa un titolo accattivante per vendere un pezzo».
«La giornalista si è anche difesa» aggiunge Maria Laura Ramello. «Ha detto che lei aveva ripreso da un articolo di “Le Monde” dove avevano fatto questo “riuscitissimo” paragone, e a lei sembrava calzante perché erano due donne che trovavano il coraggio di fare delle cose… Peccato che Thelma e Louise finivano nel burrone per non tornare a casa dai mariti violenti». Fa riflettere che l’articolo sia stato scritto da una donna. «Le donne possono essere maschiliste quanto gli uomini», aggiunge Ramello.
Quinta di reggiseno, cinque chupiti
E poi c’è un caso di piccolo marketing, quello di un locale, The Social Chupiteria, dove, all’ingresso, si possono leggere promozioni a cui si stenta a credere. Cose del tipo «vuoi il numero della barista? Prendi 30 chupiti». Oppure, per le ragazze, «se fai vedere il seno, vinci chupiti; chi ha la prima di reggiseno, un chupito, chi ha la quinta, 5 chupiti». «In quel caso è il marketing delle vacche» commenta Ferri. «C’è un modo per punire questi atteggiamenti: non andare in quel posto, non comprare quel prodotto, non leggere quel libro o quel giornale. E dirlo apertamente. Il barista che vende giocando sul numero della barista pensa di avere avuto una straordinaria idea di marketing, pensa di essere negli Stati Uniti. Siamo in un paese civile dove queste cose non funzionano. Anche perché questa ragazze fanno una vita massacrante, vengono pagate poco, ci mancherebbe altro di metterle nella condizione di subire avances dai clienti».
«Si difendono dicendo che è una goliardata», racconta Maria Laura Ramello. «Il discorso è sempre quello: del corpo femminile si può disporre a piacimento. Sono state educate, anche le donne, a essere precise, perfette, carine, accondiscendenti, con il corpo curato per lo sguardo maschile. Guardiamo anche il cinema. La maggior parte delle donne che vengono rappresentate sono funzionali al racconto del protagonista, e il loro corpo viene mostrato come funzionale a questo racconto: o con una certa malizia, o per attirare l’attenzione, per suscitare interesse. E se non è conforme ai canoni della bellezza di Instagram non va bene, si viene criticate, vedi Vanessa Incontrada».
Contro il sessismo sui media
Oggi c’è più consapevolezza sul problema, ma la nostra cultura è ancora intrisa di patriarcato. «Ci sono associazioni che hanno scritto regole contro il razzismo, vademecum che si potrebbero osservare per evitare articoli e pubblicità razziste», conclude Maria Laura Ramello. «Andrebbe fatto qualcosa di simile anche quando si scrive sulle donne. Non ci vorrebbe tanto. Basterebbero più attenzione e più consapevolezza. Non si può pretendere di cambiare il modo di pensare da un giorno all’altro, ma ci si può almeno provare».
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