IL VOLONTARIO VIVE UNA VITA IN PIÙ. E VALE DOPPIO
L'esperienza di Chiara per i Bambini del Mondo, che aiuta migliaia di persone in Italia e nel mondo
18 Gennaio 2021
Luciano, che per 41 anni ha fatto il ferroviere, nel 2007 ha fondato l’associazione Chiara per i bambini del mondo ad Albano Laziale: è dedicata a sua figlia, che non c’è più e amava fare volontariato. Luciano è sempre stato nel mondo del sociale, dall’età di 18 anni. In nome di Chiara, ha deciso di continuare quello che lei amava fare: i treni continua a vederli, ma come cornice al bene che fa agli altri. Due volte a settimana va alla stazione Termini a portare cibo, vestiti, coperte, insieme a tanti volontari.
Attorno alle stazioni di Roma
«In tre anni che faccio il volontario con Chiara per i bambini del mondo non sono mancato quasi mai, il lunedì e il mercoledì», racconta Luca Lacchei. «Sono diventato un seguace di Luciano, che mi piace definire “un traghettatore di anime”, come Caronte, il “Caron dimonio, con occhi di bragia, che batte col remo qualunque s’adagia”. Luciano ci traghetta a Termini ma è superiore a Caronte, per la sua moralità e trasparenza, per il suo modo di fare e di essere. Faccio l’orafo ad Albano Laziale da 34 anni, mi relaziono con tutto il mondo, il mio lavoro mi porta ad incontrare tante persone, sono abituato a capire in tempo reale chi ho davanti. L’associato di “Chiara per i bambini del mondo” non perde un minuto di tempo, fa cose reali e utili, che rimangono nel cuore», spiega.
Il lunedì e il mercoledì i volontari cucinano tra i 50 e i 100 pasti, il mercoledì preparano anche vestiti e coperte, da Albano Laziale vanno alla stazione Termini con il pulmino carico e consegnano cibo, vestiario ed altro ai bisognosi. Prima della pandemia erano itineranti – tra via Marsala, piazza dei Cinquecento e via Giolitti – ora sono diventati stanziali. «Allestiamo un tavolo, con catenelle di sicurezza per mantenere il distanziamento sociale, a piazza dei Cinquecento. Tutte le persone devono indossare la mascherina, se no non le accettiamo. I cibi sono diversi, a seconda della cultura e della religione. Una volta una volontaria ha preparato una bevanda calda tipica del Bangladesh e le persone bengalesi hanno avuto un immenso piacere assaporandola, si sono sentiti per qualche minuto a casa loro».
Una coperta e due parole
«Io non cercavo un’associazione di volontariato, è stata una fatalità. Un giorno una mia ex compagna di classe, che saltuariamente aiutava l’associazione, mi accompagnò a Termini a vedere cosa facevano, da quel giorno è iniziata la mia avventura con l’associazione», racconta Luca. «La mia amica si portava a casa le angosce della gente che incontrava, non ci dormiva la notte. La cosa bella è che io riesco a non farmi coinvolgere dalle problematiche delle persone che aiutiamo, di conseguenza riesco a fare meglio il mio lavoro: mi preoccupo di soddisfare i bisogni di ogni persona, non del suo dolore. Riesco a prendere il positivo da quello che faccio, non il malessere e il disagio. La ritengo una missione, che finisce nel momento in cui torno a casa. In tre anni ho incontrato persone molto particolari, personaggi che ho visto solo una sera nella vita: un signore vestito da San Nicola di Bari, un altro da moschettiere, un cantautore che ha suonato e cantato per noi. La stazione è un punto di passaggio, tante persone chissà dove le porta poi la vita, in Italia e nel mondo. Tra i tanti incontri, mi ha colpito Lorenzo, che faceva il cuoco in un ristorante, poi si è separato dalla moglie ed è iniziata la sua rovina; è un alcolista, sembra un bambino buono, che ogni tanto ha un’esigenza: una coperta, delle scarpe. È una piccola mascotte della stazione, ma faccio molta attenzione a non dedicare cure particolari ad una persona: tutti hanno gli stessi bisogni, non dobbiamo privilegiare nessuno».
Le persone per strada chiedono cibo e indumenti, ma hanno bisogno anche di altro: «hanno bisogno di parlare, di conforto, di raccontare e sentirsi raccontare. Noi diventiamo amici di tutti. Cerchiamo sempre di dare vestiario e coperte a chi vediamo che non ne ha, che spesso è chi non ce lo chiede e sta in disparte. Il Covid ha destabilizzato molti di loro, si dice di stare a casa e loro una casa non ce l’hanno. In più, c’è molto meno movimento, non si viaggia, chi riusciva a racimolare qualche soldo dai passanti con l’elemosina non riesce più. Una regola imposta da Luciano è di non dare mai loro soldi, sigarette e alcool».
Nel pulmino a 9 posti di Luciano, in tempo di Covid i volontari sono sei, per rispettare il distanziamento: fanno i turni perché le adesioni sono sempre maggiori della disponibilità dei posti. Altri volontari raggiungono la stazione con mezzi propri.
Aiutare dove c’è bisogno
All’associazione sono affidati dal Tribunale anche ragazzi in “messa alla prova”, dopo aver commesso piccoli reati: con la sospensione del procedimento, l’imputato svolge un programma di trattamento che può prevedere, come attività obbligatoria, l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità. Molti di loro poi ritornano come volontari, dopo la fine del programma di trattamento. «La mission di Chiara per i Bambini del Mondo è “dare alle persone la possibilità di fare”», spiega Luciano Biazzetti, fondatore e presidente dell’associazione. «Siamo come una famiglia. Facciamo volontariato a 360 gradi, ci occupiamo di diverse attività per aiutare le persone svantaggiate, che dovrebbero avere tre cose: sostegno, formazione e amore».
Partendo da queste tre parole chiave, il primo progetto realizzato dieci anni fa, grazie a Chiara per i bambini del mondo, è stato una scuola di formazione e apprendimento in una favela in Brasile, che è diventata un paese. Luciano ci racconta che li considera dei congiunti: i bambini, che prima non avevano nulla, ora hanno una scuola e imparano dei mestieri. Il secondo progetto è stato realizzato in Congo, hanno portato aiuti ad una scuola, ad un ospedale dedicato alla maternità, ad un orfanotrofio. «Crediamo che un volontario sia colui che, quando vede una situazione di disagio, anziché chiedersi di chi è la colpa, si chiede: cosa posso fare per risolvere o alleviare questo problema? E noi questo facciamo. In Africa ho visto una povertà incredibile, ho percorso 500 chilometri in 10 ore di jeep, per raggiungere il villaggio e ho visto di tutto nel viaggio. Mentre in Brasile abbiamo migliorato la condizione di tanti bambini, ora diventati ragazzi, in Africa è difficile far cambiare la situazione, è una lotta alla sopravvivenza».
Tra le attività svolte, ci sono anche molti aiuti nelle zone terremotate di Amatrice, Norcia e Cascia, sempre in modo diretto. Nel giugno 2019 è stato inaugurato uno spazio giochi realizzato da Chiara per i bambini nel mondo nel nuovo Polo Scolastico Romolo Capranica di Amatrice, grazie alle 500 persone che hanno partecipato all’iniziativa “Pranziamo insieme per ricostruire Amatrice”.
La cosa più preziosa: il tempo
Da nove anni Chiara per i Bambini del Mondo porta aiuti alle persone in difficoltà alla stazione Termini, e fino a qualche anno fa anche Tuscolana.
«Più di 500 persone sono state coinvolte come volontari, chi partecipa ringrazia noi: siamo aperti a chiunque voglia dare supporto», continua Biazzetti. «Secondo me tutti vorrebbero rendersi utili, basta dare loro le possibilità. Portiamo con noi gli scout, le comunità, persone di tutte le età. Io dico sempre che il volontario vive una vita in più: negli anni vede molte cose e conosce tante persone, è come se vivesse un’altra vita oltre alla sua. Dona con amore una parte del proprio tempo verso chi ha bisogno, il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo. Ogni volta che viene una persona nuova, si affeziona alle nostre attività. Una volta un ragazzo minorenne, scappato di casa, i cui genitori si erano rivolti alla trasmissione “Chi l’ha visto?”, è stato riconosciuto da noi e l’abbiamo riportato a casa. Una volta maggiorenne, è voluto tornare a fare una settimana il volontario a Termini, dicendo “quella volta mi avete aiutato, ora voglio aiutare gli altri”».
La storia di Matteo, insieme a quella di Giada, sono raccontate nel libro “C’era una volta… Amore”, ideato da Maurizia di Felice e curato da Enrica Cammarano, patrocinato dalla Città di Albano Laziale: è la raccolta di storie e testimonianze di molte delle associazioni di volontariato del territorio, coordinate per l’occasione da Luciano Biazzetti. Il ricavato della vendita del libro è devoluto in beneficenza.
La doppia valenza del volontariato
Tutto è recuperato, quasi a costo zero. Il cibo portato ai senzatetto di Termini, in maggior parte viene raccolto nei bar e nei ristoranti di Albano Laziale: sono alimenti in ottime condizioni, ma che andrebbero buttati. Tutte le sere un bar dona i dolci rimasti, i volontari li congelano e ogni settimana più di 50 bisognosi mangiano due cornetti a testa. Anche i vestiti e le coperte sono donazioni di persone che non le usano più. I ragazzi della messa alla prova fanno delle attività socialmente utili: loro recuperano rispetto alla società e nello stesso tempo danno una mano all’associazione. «Il volontariato ha sempre una doppia valenza: oltre a permettere di aiutare le persone in difficoltà, innesca un circolo virtuoso con una serie di dinamiche che fanno bene alle persone e all’ambiente. Ogni persona viene e dà qualcosa di sé: il volontariato è sempre l’incontro tra persone giuste al momento giusto. Noi raccontiamo il nostro fare, per far capire che si può fare, non per vantarci», spiega il presidente Biazzetti. «Per questo facciamo anche formazione nelle scuole, sia nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro, sia con il progetto “La scuola è vita”, che prevedeva ripetizioni gratuite ai bambini delle scuole elementari che avevano necessità. Nei licei portiamo attività sociali, ad esempio i ragazzi in “messa alla prova” che raccontano le loro storie, facciamo sicurezza stradale con il comandante della Polizia Stradale di Albano, incontri sull’Europa con un funzionario della Comunità Europea e sulle dipendenze (tossicodipendenze, gioco d’azzardo, alcool) con una Dottoressa della ASL e con un epatologo».