IMMIGRAZIONE E MEDIA, UN PROBLEMA DI EQUAZIONI
Il libro "Tracciare confini" analizza la responsabilità dell'informazione nella costruzione dello stereotipo immigrazione=criminalità
22 Settembre 2016
Immigrazione e media. Recentemente, nella metropolitana di Roma un uomo è stato picchiato selvaggiamente da due energumeni, che hanno colpito anche la madre. Nel 2007 una ragazza è stata uccisa, sempre nella metropolitana di Roma, da una giovane donna che, nel corso di un diverbio, le ha ficcato un ombrello in un occhio. I due episodi hanno molto in comune, ma sono stati trattati dai media in modi molto diversi, non giustificabili dal fatto che nel secondo caso la ragazza è morta, mentre nel primo la vittima, pur in gravissime condizioni, è sopravvissuta.
La donna dell’aggressione del 2007 era di origine rumena, e basta fare un giro in Internet per verificare che questa connotazione “etnica” è stata costantemente presente in tutti i titoli delle testate cartacee, televisive e conline. Nel secondo caso gli aggressori erano italiani, ma la connotazione etnica non è comparsa mai nei titoli.
Si potrebbe anche citare un episodio dell’agosto scorso, quando sui media e sui social è rimbalzata la notizia che un “indiano” aveva tentato di rapire una bambina sulla spiaggia di Ragusa. Con tutto l’ormai tradizionale corredo di insulti agli immigrati e di invocazioni a buttarli fuori tutti. Fino a quando Filippo Facci su “Libero” – testata in genere non tenera su questi temi – ha ricostruito la vicenda smontandola completamente. La notizia non c’era, ma c’era lo straniero.
Immigrazione e media: una questione di nera
L’informazione tratta gli italiani in modo diverso da come tratta gli stranieri, in questo modo rilanciando visioni stereotipate e pregiudizi e collocandosi in un circolo vizioso in cui opinione pubblica, politica e mezzi di comunicazione si rafforzano vicendevolmente nel narrare e trattare l’immigrazione come un problema.
Fa il punto sul tema immigrazione e media un libro appena edito da Franco Angeli, “Tracciare Confini. L’immigrazione nei media Italiani”, a cura di Marco Binotto, Marco Bruno e Valeria Lai. Il libro raccoglie una serie di contributi di ricercatori che hanno monitorato e analizzato il rapporto fra immigrazione e media dal 2008 ad oggi.
Gli studi convergono nel mettere in evidenza come – non solo in Italia – i media contribuiscano a dare corpo «all’equazione immigrazione=criminalità e a definirla come (il) problema per definizione». Per questo «la semplice presenza dei migranti finisce per diventare un sinonimo di malessere e disordine, che non solo alimenta l’allarme sociale, ma è spesso all’origine di veri e propri fenomeni di panico morale».
Negli anni il rapporto immigrazione e media non è cambiato, sostanzialmente, anche se negli ultimi – complici le notizie dei naufragi nel Mediterraneo ed eventi come la visita del Papa a Lampedusa – alla cornice interpretativa della criminalità si è affiancata quella pietistica del profugo come vittima.
Ma è la prima a prevalere: l’immigrazione fa notizia soprattutto nell’ambito della cronaca nera (sui giornali, ma soprattutto in televisione), sia in quella che va in prima pagina, sia nelle brevi che popolano gli spazi disponibili. Gli immigrati che si integrano, che contribuiscono al Pil, che costruiscono società non fanno notizia. Se invece vengono coinvolti in qualche episodio criminale, ottengono uno spazio più ampio e più visibile – a pari gravità del fatto – rispetto agli italiani e vengono trattati in modo diverso: degli italiani si analizzano contesti sociali, storie, circostanze, insomma si raccontano come individui. Gli immigrati sono stranieri e basta: è l’appartenenza alla categoria che li connota. Salvo poi non rispettare le più elementari regole della privacy, quando si tratta di parlare di loro.
Bolle mediatiche e paura
Le routine giornalistiche (applicazione pedissequa dei criteri di notiziabilità, dipendenza dalle fonti giudiziarie, ricerca del consenso dei lettori…) si saldano con il crescente senso di insicurezza che porta l’opinione pubblica a mettere la criminalità al centro dei propri interessi, ma anche con la spericolatezza dei politici, che trovano in questo tema un cavallo di Troia per raccogliere consensi elettorali e lo rilanciano strumentalmente, a volte dando pessimi esempi di hate speech.
Il processo è più o meno sempre lo stesso: succede qualcosa che i media trasformano in un caso, gonfiandolo e dandogli grande rilievo. I politici prendono posizione, dichiarano, promettono, minacciano… I media rilanciano e il caso si gonfia ulteriormente.
Tutto questo concorre nel costruire una narrazione che fa dello straniero un folk devil e che dipinge gli immigrati come fantasmi che invadono le nostre comunità derubandone i beni, ma soprattutto l’identità.
Nasce così la tautologia che tanto influenza l’opinione pubblica: «l’immigrato è colpevole in quanto immigrato». E dal momento in cui lo stereotipo si salda con le ideologie securitarie, il tema dell’immigrazione diventa parte integrante di quella fabbrica della paura che tanto condiziona le democrazie europee, consegnandole alla demagogia e ai suoi lunghi tentacoli.
(La foto in apertura è di Ermanno Giuca)
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Marco Binotto, Marco Bruno, Valeria Lai (a cura)
Tracciare confini. L’immigrazione nei media italiani
Franco Angeli 2016
pp. 290, € 30.00
(disponibile anche in ebook)