IN CORSA PER LA LIBERTÀ
“Non dirmi che hai paura” è il libro di Giuseppe Catozzella che racconta la storia vera di Samia, una ragazza di Mogadiscio che ha corso per la sua libertà e contro gli integralismi. Fino ad arrivare alle Olimpiadi
18 Dicembre 2014
«Non devi mai dire che hai paura, piccola Samia. Mai. Altrimenti le cose di cui hai paura si credono grandi e pensano di poterti vincere». Sono le parole di un padre alla propria figlia, quando lei gli domanda «Papà, ma tu non hai mai paura della guerra?». “Non dirmi che hai paura”, di Giuseppe Catozzella, racconta la storia di Samia Yusuf Omar, ragazza somala cresciuta durante una guerra permanente, e con l’oppressione sempre più forte dell’integralismo islamico a tarpare ogni sogno e ogni anelito di libertà, togliendo ogni cosa a lei e agli abitanti della sua zona: la musica, il cinema, il mare. Samia ha un talento e un bisogno: correre. La corsa per lei è liberazione, è sfogo, ma è anche la possibilità di riscattare il suo Paese e tutte le donne somale da un destino che si fa sempre più nero. Le sue gambe piccole, magre, velocissime, sono le sue armi, le sole che ha, per combattere l’oppressione. Dalle prime corse per le strade della sua città, alle prime gare nazionali da dilettante, seguiamo Samia lungo la pista di tartan che la porta a qualificarsi, a soli diciassette anni, per le Olimpiadi di Pechinodel2008. Dove arriva ultima, ma diventa un simbolo per le donne musulmane in tutto il mondo. Dove, dopo dieci minuti dall’arrivo, viene circondata dai giornalisti di tutto il mondo. «La ragazzina di diciassette anni magra come un chiodo che viene da un Paese in guerra, senza un campo e senza allenatore, che si batte con tutte le sue forze e arriva ultima. Una storia perfetta per spiriti occidentali, ho capito quel giorno. Non mi è piaciuto. Ai giornalisti rispondevo che avrei preferito che la gente mi applaudisse perché ero arrivata prima, non ultima. Ma tutto quello che ottenevo era un sorriso di pietoso intenerimento. Gliel’avrei fatta vedere». Nasce così la determinazione ancora più forte di arrivare alle Olimpiadi di Londra, 2012, e preparata a dovere. Per vincere.
L’ultima corsa è in mare
Samia Yusuf Omar è morta nel Mar Mediterraneo il 2aprile2012, mentre tentava di raggiungere le funi lanciate da un’imbarcazione italiana. La sua è una delle tante storie di quelle migliaia di persone senza volto e senza nome che, con cadenza ormai tragicamente regolare, muoiono nei mari davanti a casa nostra. Leggerla è anche un modo di capire i sogni, i desideri e le motivazioni di chi mette in gioco tutto per una vita migliore. È provare a vedere cosa c’è prima delle scarne e fredde, orribili notizie dei telegiornali. «Im- mergersi così tanto nella vita anche di uno solo di questi migranti ti cambia per sempre», ha spiegato Catozzella. «Prima mi facevo condizionare dalle frettolose cronache dei Tg, non avevo sviluppato alcuna sensibilità rispetto al tema e mi facevo trasportare dal pregiudizio; ero portato a considerare questa gente non dico come numeri, ma quasi. I Tg, in fondo, ce li raccontano così. Adesso, invece, ho ben chiaro che ognuna di queste persone è portatrice di una storia cento volte più interessante della mia. Per raccontare il viaggio di Samia ho incontrato decine di ragazze, anche di sedici anni, che hanno fatto il viaggio, e solo gua dandole negli occhi si capisce che hanno già vissuto l’equivalente di quattro vite mie». Giuseppe Catozzella si è imbattuto nella storia di Samia Yusuf Omar per caso, il 19 agosto2012, a Lamu, in Kenya, quando Al Jazeera ha parlato brevemente di lei alla conclusione delle Olimpiadi di Londra. «Stavo facendo delle ricerche per un altro libro che doveva trattare dei campi taliban e per questo mi trovavo in Kenya» ha raccontato Catozzella. «Una mattina, mentre facevo colazione, ho sentito parlare della vita e della tragica morte di Samia e in me sono accadute due cose: da un lato sono stato investito dalla potenza di questa storia e dal l’altro mi sono sentito responsabile, in quanto italiano, per la morte di questo talento. Mi sono reso conto che fino a quel momento non avevo mosso un dito per quella gente e dato che il mio modo di stare al mondo mi impone di essere solidale, ho deciso che avrei raccontato la storia di Samia e così ho fatto». Al rientro in Italia ha contattato la giornalista Igiaba Scego, che aveva scritto di Samia su Pubblico. Da lì è partito un lungo viaggio alla scoperta delle sue radici, grazie ai lunghi racconti di Hodan, la sorella di Samia, lei sì riuscita a trovare una nuova vita a Helsinki, dove vive con il compagno e con la sua bambina, Mannaar, che pare abbia le gambe di Samia e che, per la sua età, sia già velocissima. Oltre a Hodan, e all’aiuto di Zahra Omar, mediatrice e interprete, sono stati molto preziosi anche i racconti di quella che nel libro viene chiamata Nigist, e che vuole rimanere anonima per paura della polizia libica.
Raccontare per riscrivere la realtà
Ha una struttura che ricorda quella de “Il cacciatore di aquiloni”, “Non dirmi che hai paura”. Un’amicizia tra due bambini, quella tra Samia e Alì, amico del cuore e primo allenatore. Una vita che già non è normale, ma che, lentamente, scivola sempre più sotto l’oppressione di un regime integralista, con un buio che si allarga fino a contaminare ogni cosa, con i colori delle vesti, dei cibi, dei luoghi, che si trasformano–letteralmente– nel nero di burqa e di uniformi da guerra. Persone che si credevano vicine che voltano la schiena e diventano nemici. Fino alla partenza. Anzi, al Viaggio. «Il Viaggio è qualcosa che abbiamo in testa fin da quando siamo nati. Ognuno ha amici e parenti che l’hanno fatto, oppure che a loro volta conoscono qualcuno che l’ha fatto. È come una creatura mitologica che può portare alla salvezza o alla morte con la stessa facilità. Nessuno sa quanto può durare. Se si è fortunati , due mesi. Se si è sfortunati una anno, o anche due». “Non dirmi che ha i paura è “Momenti di gloria” all’epoca delle migrazioni globali, senza il ra- lenti e le musiche di Vangelis. E senza il lieto fine. “Non dirmi che hai paura” è stato candidato al Premio Strega, cosa rara per un libro di letteratura civile. Eppure è questo che un libro dovrebbe fare, raccontare l’oggi, cambiare il mondo, come spiega l’autore. «Ho sempre pensato che il mio ruolo fosse quello d i raccontare storie cosiddette civili, cioè di cercare con la letteratura di cambiare il mondo, che è un’aspirazione folle e ambiziosissima, lo so, ma per me scrivere è questo o niente. E a volte ci sono piccole conquiste che danno soddisfazione. Quando il Comune di Milano ha organizzato la festa di inaugurazione di una pista intitolata a Samia, ho pensato: “allora capita davvero che i libri trasformino la realtà”».