INFLUENCER E ASSOCIAZIONI: LA COLLABORAZIONE POSSIBILE
Aumentano i contenuti di inclusione sociale realizzati dagli influencer italiani. Un dato che interessa anche le associazioni
12 Luglio 2021
l 2020 e il 2021 sono stati gli anni della pandemia, del Coronavirus, del nostro stare chiusi in casa, e distanziati una volta fuori. Ma sono anche anni fertili, anni di un’attenzione rinnovata ai temi sociali. In tutto il mondo si è cominciato a parlare con decisione di qualcosa che fino a poco tempo fa veniva lasciato in secondo piano: la rappresentanza delle minoranze, l’inclusione e l’accettazione di tutto quello che la maggioranza delle persone ha considerato per secoli “diverso”. È stato un movimento che è partito dal basso, dalla società, ed è poi fluttuato nella rete e sui social network, anche grazie all’impegno di molti influencer. Buzzoole, piattaforma che si occupa di influencer marketing, ha redatto un rapporto, “L’Influencer Marketing e l’inclusione sociale” (qui il link), in cui ha studiato come è stato affrontato il tema dell’inclusione sociale dagli influencer italiani nel 2020.
Da Black Lives Matter a Greta Thunberg
I temi legati all’inclusione sociale sono sempre più discussi sui social media: nel 2020 c’è stato un + 35% di contenuti realizzati dagli influencer rispetto al 2019. In Italia, solo nel 2020, gli influencer hanno realizzato più di 110 mila contenuti sui principali social media (Instagram, Facebook, Twitter, YouTube, TikTok), in cui parlavano di inclusione. «È un fenomeno particolare, che nasce dall’influsso di quello che è successo nel mondo, in particolare negli Stati Uniti, con le grandi manifestazioni come Black Lives Matter, ma anche i Friday For Future di Greta Thunberg», ci ha spiegato Vincenzo Cosenza, CMO di Buzzoole.
«Hanno acceso i riflettori su tematiche che hanno toccato le corde di una generazione particolarmente sensibile, che si esprime molto in rete. Molti di questi influencer hanno un pubblico che li segue. È stato sdoganato il prendere posizione. In quest’anno di pandemia c’è stato un periodo di riflessione, di minore attività lavorativa, e si sono risvegliati soprattutto gli influencer italiani, stimolati da alcuni personaggi famosi che per primi hanno preso posizione. È naturale fare riferimento a Chiara Ferragni e Fedez, che durante la pandemia hanno fatto una raccolta fondi imponente, hanno sensibilizzato sull’uso degli strumenti sanitari, sul distanziamento. Poi è venuto il problema del DDL Zan, e anche lì Fedez è stato punta di diamante di un movimento che già esiste e che abbiamo mappato in rete. È un fenomeno spontaneo». Il trend è in forte crescita ed è sempre più sentito. Instagram è il social preferito dagli influencer (il 78.3% dei contenuti realizzati nel 2020), seguito grande da Facebook (7.7%) e Twitter (6.8%).
Le attività sponsorizzate
Dei 110 mila contenuti realizzati dagli influencer solamente l’1% è frutto di attività sponsorizzate. Ma questo dato è anche inferiore rispetto a quello del 2019, rispetto al quale vediamo un -13% di attività sponsorizzate.
È probabile che questo calo sia legato all’assenza nel 2020 dei principali eventi Pride dovuti alla pandemia da Covid-19. Questo vuol dire che in Italia le attività a tema da parte dei brand sono sporadiche e spesso legate a singoli eventi. «Alcune aziende, in particolari periodi, cercano di agganciarsi a tematiche specifiche, anche perché per loro c’è il purpose: prendere posizione per alcuni è più facile, per altri meno», spiega Vincenzo Cosenza. «Oggi sempre di più un consumatore compra non un prodotto, ma una serie di valori espressi da un’azienda. E ama associarsi a un’azienda che condivide i suoi valori». Per le aziende, però, sarebbe preferibile pianificare una strategia di lungo periodo, non solo – per fare un esempio – in occasione dei Pride. È importante evitare comunicazioni spot e di facciata.
Prendere o non prendere posizione?
Ma un’altra cosa importante per le aziende è che il concetto di inclusione deve essere accettato e condiviso a tutti i livelli aziendali. In Italia, purtroppo, alcune tematiche sono ancora divisive e schierarsi a favore può significare anche perdere del consenso. Anche per questo alcune aziende, che puntano a raggiungere tutti, sono reticenti a prendere posizione.
Alla lunga però i consumatori premiano sempre le aziende che hanno il coraggio di prendere la posizione giusta. «Penso che non sia necessario per un’azienda prendere posizione. Sicuramente questa maggiore sensibilità del pubblico dovrebbe spingerle a cambiare qualcosa del loro modo di fare azienda», commenta il CMO di Buzzoole. «Penso all’ecologia: magari si tratta di riprogettare il packaging o la catena di approvvigionamento… Penso e spero che la pressione del pubblico li induca a prendere dei provvedimenti. Ma sarà sempre più così: le aziende lo faranno. Il tema è: non prendo posizione, ma rischio di perdere rilevanza agli occhi di un pubblico che oggi non compra un prodotto ma aderisce a un sistema di valori».
È importante, ovviamente, scegliere l’influencer giusto, controllare i contenuti e le collaborazioni passate, per accertarsi che sia realmente impegnato sulla tematica dell’inclusione sociale.
Influencer marketing e associazioni: si può?
Ci siamo chiesti, però, se affidarsi a un influencer sia una cosa possibile, e azzeccata, per le associazioni di volontariato. Qualcosa succede già, ovviamente, nelle grandi realtà. «In questi anni ho visto tante associazioni scegliere influencer per promuovere le proprie iniziative», spiega Cosenza. «Tutte le associazioni, anche se hanno obiettivi diversi, vanno a insistere su un pubblico sensibile, disposto a donare, che è lo stesso. È una “guerra” per l’attenzione combattuta anche grazie all’utilizzo degli influencer. The Jackal e Action Aid ogni anno fanno iniziative che non si fermano al video, ma vanno in Africa, sono molto coinvolti nei progetti. Quando l’influencer fa questa attività non lo fa in maniera spot, ma sposa davvero la causa. Save The Children fa spesso attività con personaggi famosi». Ma sono soprattutto volti noti, quelli che chiameremmo testimonial, che sono anche influencer. «Ancora manca lattenzione a un mondo di influencer meno noti» riflette il CMO di Buzzoole. «Penso che è qualcosa che si svilupperà nei prossimi anni. Ci sono attività di questo tipo. Le associazioni non fanno tanta fatica a individuare influencer in grado di sposare la loro causa. Fanno più fatica i brand a convincere l’influencer a sposare una causa in cui credono davvero, e che non sia solo una spinta di facciata».
In ogni caso quello tra associazione e influencer è, o sarebbe, un rapporto molto diverso da quello tra un brand e un influencer, che spesso è un contratto simile a quello pubblicitario. «Solitamente non vengono pagati i grossi nomi», spiega Cosenza. «C’è un’attività di coinvolgimento, per far sì che il volto venga prestato all’associazione perché ci si crede e non dietro compenso».
Di cosa parlano (e come) gli inclusion influencer
Gli inclusion influencer si fanno portavoce di minoranze e lottano per la parità dei diritti. La loro caratteristica è quella di essere Top e Social Star con una base che parte dai 100k follower. Utilizzano la propria popolarità per far arrivare messaggi di uguaglianza a più utenti possibili. Le loro battaglie vengono fatte in nome della libertà di espressione della propria identità sessuale, della lotta al razzismo, della lotta alle diseguaglianze di genere, e della Body Positivity e sensibilizzazione sulle disabilità.
Quando parliamo di libertà di espressione della propria identità sessuale la bandiera arcobaleno è molto presente nei post che riguardano la comunità LGBTQ+. In molti contenuti sono presenti scatti di coppia di persone che vogliono mostrare il loro amore con orgoglio e naturalezza. La creatività non è l’aspetto più rilevante: quello che conta è trasmettere l’onestà e la purezza del messaggio. Le proteste antirazziste degli influencer sono state spesso espresse utilizzando nei contenuti TikTok e Instagram il pugno alzato come simbolo della lotta contro le discriminazioni. Per parlare di parità di genere e violenza sulle donne invece si utilizzano soprattutto le parole, frasi ad effetto, citazioni che spesso vengono scritte sul corpo, ma anche su lavagne o t-shirt. Quando si parla del proprio corpo gli influencer cercano sempre di abbattere gli stereotipi e i pregiudizi. Così mettono in mostra le loro unicità e il loro coraggio, in modo che sia da esempio per tutti quelli che si trovano nelle stesse condizioni. Accettare se stessi è più importante che essere accettati.
I profili da seguire
Ma chi sono gli influencer più importanti in questo campo, i profili da seguire? Cathy La Torre (@avvocathy) è una conoscenza di Reti Solidali, ci aveva parlato dell’odio in rete: è un’avvocatessa specializzata in diritto antidiscriminatorio, e si occupa soprattutto di discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Tasnim (@alitasnim) è una ragazza di 21 anni nata e cresciuta in Italia da genitori egiziani: racconta della sua cultura e della sua religione, l’Islam. Muriel (@murielxo) è una portavoce dell’inclusività sotto ogni punto di vista, dalla body positivity al sostegno alla comunità LGBTQ+. Irene (@cimdrp) è un’attivista, scrittrice, formatrice e creator, esperta in gender studies, e creatrice della videorubrica per ragazzi su YouTube Parità in Pillole. Nina (@nina.rimaa) si definisce “bionic model” e sul suo profilo non nasconde la sua diversità, anzi la racconta diventando un esempio di positività e determinazione. Paolo (@paolocamilli) è un attore, autore e creator: difensore dei diritti LGBTQ+, sui social condivide contenuti divertentissimi. Seguiteli. E vedete cos’hanno da raccontarci.