PATERNITI: “SIAMO MOLTO PIÙ EUROPEI DI QUELLO CHE PENSIAMO”
I populismi si diffondono e l'informazione deve ritrovare il contatto con la società civile. Intervista a Giuseppina Paterniti, direttrice del TG3
26 Marzo 2019
Chi vuole alimentare le tensioni ha sempre puntato il dito verso le élite, accusate di trascurare i reali problemi delle persone. Storici e politologi chiamano questo fenomeno “Populismo”. La Treccani lo definisce come «atteggiamento ideologico volto all’esaltazione del ruolo del popolo come depositario di valori e sentimenti totalmente positivi». Lo alimentano le destre e le sinistre, chi è al governo e chi è all’opposizione. Succede indistintamente, in tutta Europa. E il rapporto tra informazione e populismo è diventato molto delicato.
«In una fase di crisi economica il populismo diventa la via d’uscita più facile per la politica, ma l’informazione non può stare a guardare», sostiene Giuseppina Paterniti, direttrice del TG3. Esperta di temi geopolitici e di economia internazionale, a lungo corrispondente Rai dal Parlamento Europeo di Bruxelles, prova a mettere in pratica ogni giorno un giornalismo diverso.
Come?
«Prima di tutto combattendo le fake news e poi fornendo al pubblico delle chiavi di lettura di quello che sta accadendo. Non basta dare le notizie, bisogna spiegare i contesti, le cause, gli effetti, i retroscena. E poi fatemelo dire: il giornalismo deve cogliere i segnali della società civile e ascoltare i territori. Se diamo voce soltanto ai politici è un problema…»
Informazione e populismo: c’è il rischio “cassa di risonanza” per il populista di turno?
«Certamente. I giornalisti dovrebbero soppesare ogni singola parola di chi parla alla pancia delle persone. Il populismo guarda al passato e alla conservazione. Ci vorrebbe invece più coraggio nel guardare al futuro, anche quando si presenta così complesso»
Un esempio?
«Il facile slogan è l’arma dialettica preferita dai populisti e può trasformarsi in un tema dominante, arrivando a occupare minuti nei telegiornali e intere pagine sui quotidiani. Il giornalismo dovrebbe andare oltre. Guardate la macchina del fango che si è attivata contro quella povera ragazza di nome Greta Thunberg…»
Le polemiche sulle manifestazioni contro il cambiamento climatico sono populiste?
«Sono state strumentalizzate. Le persone si stanno finalmente muovendo e invece c’è chi ha portato avanti la narrativa dei giovani che sarebbero disinteressati e facilmente influenzabili dalle mode passeggere. In accuse del genere ci sono i sentimenti più biechi dell’animo umano e la voglia di rendere le persone più cattive»
Il populismo è un fenomeno in continua crescita?
«Dalla crisi del 2008 cresce vistosamente. In Italia, ad esempio, siamo in continua campagna elettorale. È cambiato tutto: il mondo del lavoro, ma anche la coscienza e i sentimenti collettivi. La fiducia nelle istituzioni è ai minimi storici e il linguaggio della politica è divenuto più scadente. E ora ci sono le elezioni europee…»
Tutta colpa dell’Europa?
«L’Europa ha fatto degli errori. Quando ero a Bruxelles ho provato io stessa a raccontare che la Grecia si poteva salvare, che c’erano altre strade percorribili in alternativa a quella dell’austerity. C’è un progetto che va avanti da alcuni anni: sovrapporre alla funzione della Commissione Europea (in cui ci sono i delegati degli Stati membri, a cui però viene chiesta indipendenza ndr) quella del Consiglio (che comprende i Capi di governo ndr), così gli argomenti nazionali prevarranno sempre sull’interesse generale. Il vero problema dell’Europa è il peso sempre maggiore dei singoli governi nelle scelte collettive, ma non possiamo fare a meno dell’Europa».
Perché?
«Perché siamo molto più europei di quello che pensiamo. Guardate quei giovani che hanno riempito le piazze sotto l’unica bandiera della difesa del clima. Noi siamo già interconnessi, dobbiamo solo studiare il modo di farlo di più. Guai a tornare indietro, non ci sono più le premesse culturale per farlo. Dobbiamo lavorare per rendere l’Europa più equa, integrata e forte se non vogliamo sparire sulla scena internazionale. Stati Uniti, Russia e Cina vogliono indebolire l’UE»
Cosa può fare l’informazione per contrastare il populismo anti-europeista?
«Noi del TG3 realizzeremo una striscia quotidiana. Racconteremo gli aspetti positivi dell’UE sulla nostra vita: dalla tecnologia alla medicina, passando per i trasporti e la cultura. Proveremo a rispondere alla domanda “Cosa fa l’Europa per me?”»
E in Italia?
«Le ultime elezioni hanno espresso una grande voglia di cambiamento. La gente non ne poteva più. Le categorie di destra e sinistra sono saltate e le persone hanno votato chi ha promesso di scardinare un certo tipo di sistema, di gestione e di corruzione. Non possiamo condannare questo sentimento, ma alimentarlo continuamente è pericoloso»
Oltre all’Europa anche l’immigrazione è tra i temi preferiti del populismo…
«Come giornalisti abbiamo il dovere di raccontare gli sbarchi, di parlare dei numeri, di dar voce ai politici, ma possiamo e dobbiamo fare anche altro, come far conoscere le storie di chi parte, denunciare chi contravviene alle leggi internazionali lasciando morire le persone in mare, parlare di drammi quali la siccità, le guerre, le violenze, le torture… che poi sono le cause dell’immigrazione. Questa dimensione umana, secondo me, non può mai mancare in un Tg. Se riduciamo tutto ai numeri è più facile rimanere indifferenti, sentirsi diversi e migliori. E non lo siamo per niente».
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