A GIORNI INIZIA LA SCUOLA. MA NON PER TUTTI
L’inserimento a scuola di bambini e ragazzi migranti è un problema risolto ancora a macchia di leopardo. Una discriminazione che diventa doppia quando c'è anche una disabilità. Anna Nota, Servizio Discol Rete Scuolemigranti: «Chi arriva in Italia di solito non conosce il sistema scolastico e non esiste un ufficio specifico al quale rivolgersi»
06 Settembre 2024
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Tra i diritti negati ai migranti c’è spesso anche quello all’istruzione. Li chiamano “dinieghi” per rendere formalmente più diplomatiche – e forse dialetticamente più eleganti – quelle che sono a tutti gli effetti delle porte sbattute in faccia a famiglie in difficoltà o a minori non accompagnati. Accade sempre più spesso, infatti, che genitori immigrati o associazioni che si occupano di bambini stranieri soli vedano rifiutata l’iscrizione a scuola per le ragioni più disparate. In casi come questi, a Roma e dintorni, interviene il Servizio Discol (Dinieghi Scolastici) di Rete Scuolemigranti, che riunisce associazioni molto varie per storia, orientamento, ispirazione laica o religiosa, tutte ugualmente impegnate nell’insegnamento gratuito dell’italiano nei contesti sociali più complessi di cui la Capitale purtroppo abbonda. «Dal 2021 abbiamo ricevuto più di 500 richieste da parte di persone respinte dalle scuole o prive di informazioni su come agire», ci ha raccontato Anna Nota, la responsabile del servizio. Settembre è già arrivato ed è, ovviamente, il mese clou per la mole di lavoro da gestire. Individuare le situazioni problematiche e affrontarle in modo strutturale è un’operazione tutt’altro che agevole. «Basterebbe che la Prefettura, quando rilascia un ricongiungimento familiare, segnalasse che nel Paese è entrato un minore in età di obbligo scolastico», è il suggerimento dell’esperta; e invece i volontari della rete si ritrovano a pescare con un retino dentro un oceano vastissimo, dove il sommerso è molto più ampio delle situazioni emerse. I bambini presi in carico da Scuolemigranti arrivano da tutti i continenti, con le popolazioni peruviane e bengalesi che da sole coprono insieme più del 50% delle richieste in città (particolarmente numerose nel V, nel VI e nel VII Municipio).
Tra paura di uscire allo scoperto e carenza di informazione
Più di otto rifiuti all’iscrizione su dieci avvengono nella scuola dell’obbligo. «Succede sostanzialmente questo: chi arriva in Italia di solito non conosce il sistema scolastico e non esiste un ufficio specifico al quale ci si può rivolgere». Scuolemigranti chiede da anni informazioni a disposizione di tutti e un banale numero verde da contattare in caso di necessità. Niente di tutto ciò è mai stato attivato. «Qualche scuola più volenterosa ha fatto una traduzione del modulo d’iscrizione, molti sono allo sbando. E non mancano situazioni paradossali come quindicenni iscritti in prima media o quattordicenni alle elementari», ha aggiunto Anna Nota. Sono invisibili soprattutto le bambine: a dimostrarlo è lo sbilanciamento a favore dei maschi nei numeri degli interventi. La dinamica culturale – non in tutti i Paesi le bambine vanno a scuola – va ad aggiungersi a una più generale, questa senza distinzioni di sesso, che fa capo alla semplice paura di uscire allo scoperto. «Negli ultimi tempi abbiamo incontrato persone arrivate nel 2020 che non hanno mai mandato i bimbi a scuola non avendo i permessi in regola: avevano paura a contattare un’istituzione. E nessuno li aveva informati che invece i ragazzi, a prescindere dai documenti dei genitori, hanno il diritto e il dovere di andarci». L’universo scolastico, dopotutto, è una giungla. Alcune scuole dicono di non avere posti, altre improvvisano test d’ingresso per capire il “livello” di conoscenze del bambino e inserirlo sulla base di quest’ultime nelle classi che apparirebbero più congeniali (per la legge devono essere iscritti nella classe corrispondente all’età salvo diversa valutazione delle scuole) e altre ancora motivano l’esclusione parlando di «belle classi, competenti e già formate, che non possono essere rovinate con un ragazzo o una ragazza che rischia di rallentare il programma». Dopo tre rifiuti, Scuolemigranti fa una segnalazione all’ufficio scolastico territoriale; a volte non basta a sbloccare situazioni complesse, ma l’atto ufficiale diventa una garanzia anche per i genitori perché dimostra che quest’ultimi si sono attivati per garantire il diritto all’istruzione dei figli. La ricaduta penale della questione è, non a caso, pesantissima: con il Decreto Caivano un genitore che non manda i bambini a scuola rischia fino a due anni di carcere.
A Roma richieste per nidi e materne più gestibili
Il problema dell’inserimento diventa una doppia discriminazione per gli alunni disabili in attesa di certificazione, «perché le scuole non li vogliono non potendo affidare loro subito il sostegno, ma per il riconoscimento della disabilità possono passare anche sei mesi». Ogni estate comincia così una lotta contro il tempo che si protrae fino alla fine dell’autunno. Anna Nota ha fatto suonare poi un’altra nota dolente: il tema dei minori accompagnati “erranti”. «Arrivano, trascorrono un tot di tempo in un centro d’accoglienza, ci attiviamo per inserirli a scuola e quando abbiamo completato tutti i passaggi formali li trasferiscono altrove. E tutto deve ripartire da capo». In questo contesto così frammentato c’è uno spiraglio: le richieste per asili nido e scuole dell’infanzia, in costante aumento, risultano oggi più facilmente gestibili a Roma grazie al nuovo regolamento comunale che permette l’iscrizione anche a chi è privo di residenza e di codice fiscale e privilegia i soggetti fragili e in emergenza abitativa. Quando e se le procedure vanno a buon termine – nell’ultimo report di Discol si parla dell’85,6% di richieste con esito positivo – i corsi gratuiti di italiano, i doposcuola, i centri giovanili e i servizi per l’inclusione fanno il resto.
Lo Ius Scholae
Servirebbe in realtà la diffusione su larga scala di un vero protocollo per formare il personale (operatori scolastici, insegnanti, segreterie ecc.),oggi seguito solo dalle scuole più “sensibili” all’accoglienza. Magari da estendere in tutta Italia, dove risultano esserci 872.360 alunni (+57 mila negli ultimi 5 anni) senza cittadinanza, con prevalenza al Nord (65,5%), il 21,9% al centro e il 12,6% nel sud e nelle isole. Sono tutti studenti non cittadini anche se, tra loro, 7 su 10 sono nati entro i confini. Non a caso, con il ritorno sui banchi, lo Ius Scholae, cioè il testo di riforma che lega l’acquisizione della cittadinanza al compimento di un ciclo di studi, è tornato prepotentemente nell’agenda politica. Oggi si diventa cittadini di questo Paese tramite il cosiddetto ius sanguinis, ossia quando il soggetto in questione è figlio di almeno un genitore italiano. I minorenni di origine straniera nati in Italia devono aspettare i 18 anni. Tantissimi giovani che non hanno conosciuto altro Stato che questo si ritrovano così in una sorta di limbo, penalizzati soltanto perché figli di stranieri: numeri alla mano parliamo dell’11,2% dell’intera popolazione scolastica; in altri termini, più di un alunno su dieci presente oggi nelle nostre scuole è italiano a tutti gli effetti ma non lo è ancora per la legge. Secondo le stime sarebbero oltre 860mila gli stranieri-residenti ad aver diritto di accesso alla cittadinanza italiana se questa fosse estesa, con efficacia retroattiva, a tutti i nati sul territorio nazionale. Nel 95% dei casi si tratterebbe di bambini e ragazzi con meno di 18 anni, quindi di scolari.