INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA: LA LIBERTÀ DI SCELTA C’È DAVVERO?

Una ragazza lavora in un supermercato e deve prendere una decisione difficile. Lei è Luna, protagonista di Sette settimane, diretto da Enrico Acciani e presentato al Bif&st di Bari. Un film su aborto e libertà di scelta. Ma questa libertà, nel nostro paese, è reale? Il punto con associazione LAIGA e Centro Donna Lilith di Latina

di Maurizio Ermisino

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Al Bif&st, Bari International Film&TV Festival è stato presentato il corto Sette settimane diretto da Enrico Acciani, un film che offre uno sguardo crudo e realistico sulla libertà di scelta di una donna di fronte all’interruzione di gravidanza. È la storia di Luna, una ragazza che lavora in un supermercato, alle prese con una scelta difficile. Dopo aver consultato la sua ginecologa, Luna deve decidere se interrompere o meno la sua gravidanza. Ma cosa significa oggi per una donna, in Italia, scegliere l’interruzione di gravidanza? «Quello che mi è arrivato, dalle testimonianze che ho raccolto, è l’assenza di empatia delle figure che avrebbero dovuto regalarne di più», ci spiega Enrico Acciani. «Il mondo del lavoro tende ad alienare e tutto diventa una routine. Ma se devo prendere una decisione importante come quella di Luna non posso essere vista come un numero. Essere medico significa entrare nella psicologia del paziente». «Il mio film è involontariamente politico» continua. «Non è pro vita o pro aborto, ma sulla libertà di scelta. È qualcosa che si scontra con il condizionamento sociale, che non è razionale, fa parte di un retaggio sociale. Ho capito quanto sia labile il confine tra la propria insicurezza e le costrizioni esterne».

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Enrico Acciani: «Il mio film non è pro vita o pro aborto, ma sulla libertà di scelta. qualcosa che si scontra con il condizionamento sociale»

Italia: meno interruzioni di gravidanza che nel resto d’Europa

Per i dati Istat aggiornati al 2024, relativi però al 2022, nel confronto con gli altri Stati dell’Unione Europea, l’Italia si conferma tra i Paesi dove avvengono meno interruzioni volontarie di gravidanza. In testa alla classifica c’è la Francia che nel 2022 ha registrato oltre 200mila aborti, il doppio rispetto a Germania e Spagna, entrambe intorno ai 100mila. In Polonia le interruzioni notificate allo Stato risultano 161. Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2022 le interruzioni volontarie di gravidanza notificate ammontano a 65.661, in crescita del 3,2% sul 2021 quando erano state circa 63mila. Rispetto al 2019, l’anno precedente allo scoppio della pandemia, in Italia però si sono verificati circa 8mila aborti in meno: cinque anni fa erano 73mila. 3 interruzioni volontarie su 100 riguardano ragazze con meno di 18 anni. Mentre circa un terzo (28 su 100) interessa donne straniere.

La questione dell’obiezione di coscienza

Fa discutere la quota dei ginecologi italiani obiettori di coscienza, che è del 60,5%, in calo di 3 punti rispetto al 2021. In otto anni i ginecologi non obiettori sono aumentati del 21,5%, passando da 1.408 a 1.711 nel 2022. Ma è un dato da prendere con le molle. Giorgia Azraki, Vicepresidente di LAIGA, Libera Associazione Italiana Ginecologi non obiettori per l’Applicazione della 194/78 avverte che «il 60,5% è la media nazionale, ma ci sono dei picchi che arrivano fino al 90% o 98% in zone più remote, isole e Sud Italia».

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Immagine Centro Donna Lilith. La presidente, Chiara Sanseverino: «Si dovrebbe permettere anche ai consultori di entrare nelle scuole per poterne parlare»

Solo metà degli ospedali ha un servizio attivo

Ma il problema non si ferma ai medici obiettori. «Su tutti gli ospedali che hanno un reparto di Ostetricia e ginecologia, e che potrebbero offrire un servizio di interruzione di gravidanza, solo 550, poco più della metà, hanno effettivamente il servizio attivo», ci spiega la Vicepresidente di LAIGA, che ha realizzato una mappa degli ospedali che offrono l’Ivg. «Ci sono ospedali che fanno obiezione al 100%» spiega Azraki. «Degli ospedali dotati del servizio, il numero di quelli che effettivamente lo offrono, è intorno ai 330. L’accesso è complicato perché, se l’obiezione è molto alta, diventa obiezione di struttura e tutta la struttura sanitaria non offre un servizio che per legge dovrebbe offrire». Così la mobilità tra regioni e province diventa una scelta obbligata. «Ad agosto, poi, ci sono diversi centri che chiudono il loro servizio perché i due non obiettori di coscienza sono in vacanza o ce n’è solo uno», spiega Giorgia Azraki. «Per cui si mette come condizione ai non obiettori di coscienza una mole di lavoro che non è sempre gestibile e non riescono a coprire le domande».

L’aborto autogestito

In queste condizioni si fa strada l’aborto autogestito. «Con 100 euro le donne si fanno arrivare le pillole a casa, fanno un aborto senza il bisogno del sistema sanitario, che la legge prevede», spiega la Vicepresidente di LAIGA. «E questo contribuisce non solo ai rischi della salute, ma anche al mancato monitoraggio. Sull’aborto autogestito c’è un movimento molto forte, associazioni come Aborto in pillole, Obiezione respinta, Women On Web. Anche in Italia si sta iniziando a dire: dal momento che abbiamo la possibilità di fare un aborto farmacologico in sicurezza, con telemedicina e personale medico adeguato, supportare queste donne è una delle modalità da scegliere. È una cosa che stiamo discutendo all’interno di LAIGA, perché noi siamo i medici non obiettori e auspicheremmo che fossero le strutture sanitarie a dare questo servizio».

I tempi di attesa

Ma le difficoltà non si fermano qui. «Un altro ostacolo è il tempo di attesa: da quando una donna decide di abortire a quando lo fa può passare anche un mese e mezzo» spiega Giorgia Azraki. «La media è di due settimane per avere un appuntamento. Secondo la legge italiana, poi, una donna non ha le competenze per pensarci da sola, ma deve ripensarci per sette giorni». Proprio per capire tutti gli ostacoli e come superarli LAIGA ha realizzato la guida Ivgsenzama.

Interruzione di gravidanza e stigma

Sulla libertà di scelta di ciascuna sul tema aborto pesa certamente uno stigma che è ancora troppo ingombrante. «Una donna che decide di interrompere una gravidanza non è per forza triste di farlo» spiega la Vicepresidente di LAIGA. «Ma nel nostro immaginario e nella comunicazione delle associazioni anti-scelta passa l’idea che ci si debba vergognare che il sesso possa essere anche piacere, oltre che un modo per riprodursi. Si vuole sottolineare che, se una donna non è felice di essere rimasta incinta, ma anzi viene sollevata grazie al fatto che vuole interrompere la gravidanza, questo sia sbagliato. E questo è uno stigma. Ma se esiste questo tabù le donne hanno anche vergogna nel chiedere informazioni, nel raccontare le loro storie e partecipare a un discorso pubblico che possa cambiare questo stigma».

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Immagine LAIGA. Giorgia Azraki, vicepresidente: «Per lo stigma le donne hanno anche vergogna nel chiedere informazioni, nel raccontare le loro storie e partecipare a un discorso pubblico»

Con un filo di voce

«Quando una donna ci racconta di aver scelto di fare ricorso all’interruzione di gravidanza, ne parla sempre con un filo di voce» ci racconta Chiara Sanseverino, Presidente di Centro Donna Lilith, centro antiviolenza, associazione che combatte da quasi quarant’anni nella provincia di Latina a fianco delle donne, in difesa dei loro diritti e della parità di genere. «C’è una resistenza per quella morale che continua a dire alle donne che è una cosa che non si fa. E spesso la resistenza viene dalla famiglia di origine. Quando c’è una violenza, poi non sai mai se è una scelta o se è stata indotta».

Essere una donna di origine straniera e decidere per l’interruzione di gravidanza

Sulle donne di origine straniera ci sono dati attendibili, che riguardano però solo chi è in possesso di una tessera STP per gli stranieri temporaneamente presenti. «Il problema è che le donne straniere non sono tutte regolari e il Ministero dell’Interno rende difficile accedere alla STP», spiega Giorgia Azraki. «La difficoltà per le donne straniere è accedere al sistema sanitario», conferma Chiara Sanseverino. «Dalla Libia arrivano tante donne in stato di attesa e spesso non si chiede loro se è una gravidanza voluta o se è stupro, e quanto loro pensino di interrompere la gravidanza, dando per scontato che, invece, una donna incinta verrà trattata come una donna che, a prescindere, un bambino lo voglia».

Parlarne nelle scuole. Ma si può?

Ci sarebbe poi un grande lavoro di prevenzione da fare. Ma anche qui, i problemi ci parlano dello stato culturale in cui è il nostro Paese. «Si dovrebbe permettere anche ai consultori di poter entrare nelle scuole per poterne parlare», ragiona Chiara Sanseverino. «Non sempre i dirigenti lo permettono e, se lo fanno, chiedono che certi argomenti vengano tralasciati. Basterebbe solo che si spiegasse ai ragazzi che nei consultori c’è uno spazio dedicato per gli adolescenti, a cui si può accedere in forma gratuita e anonima. Saperlo eviterebbe loro di ricorrere “all’amica che ha più esperienza”».

Immagine di copertina dalla pagina FB di LAIGA

 

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