LA SCRITTURA RENDE LIBERI. LO DICONO I RAGAZZI DI NISIDA
Un'insegnante, i racconti e le poesie. Così i ragazzi si ricostruiscono e se ne vanno "davvero" dall'Istituto Penale
09 Luglio 2019
Maria Franco da 35 anni fa l’insegnante all’Istituto Penale di Nisida, in Campania, e quest’anno ha concluso la sua esperienza. Il titolo del libro da lei curato, Esercizi di stile per un congedo (Guida Editori) – che raccoglie racconti e poesie dei ragazzi – è da considerare in due sensi. Il congedo è il suo, una volta arrivato il momento della pensione. Ma è anche quello che augura ai ragazzi: un addio all’Istituto Penale di Nisida che sia un addio alla vita che li ha portati lì, e l’inizio di una nuova.
Maria Franco ha iniziato a insegnare a Nisida nell’ottobre del 1984, per scelta. «Avevo vinto un concorso e l’avevo vinto in una posizione molto buona», racconta. «Avevo una possibilità di scelta: scuole normali, relativamente comode. Ma avevo puntato Nisida fin dall’inizio: un lavoro proiettato sul sociale mi intrigava molto di più». Nella primavera del 1985 ha raccolto testi in prosa e in poesia dei suoi allievi per la sua prima pubblicazione, Voci dal carcere minorile. L’idea del laboratorio di scrittura è nata da subito, ed è continuata per 35 anni. «Ero una persona che non solo amava i libri, ma aveva anche un’esperienza di giornali, sono giornalista pubblicista», racconta l’insegnante. «Ed era un lavoro che mi piaceva molto. Quando ti trovi davanti a ragazzi che sono abituati al gesto, e non alla parola, al gesto violento che poi ha un effetto negativo su loro stessi, ti chiedi come portarli a una riflessione. E dal mio punto di vista la riflessione sulla parola, il mettersi a cercare di raccontare se stessi significa riconoscersi, guardarsi allo specchio, vedersi in maniera critica. La scrittura, con annessa lettura, non era solo imparare a comunicare, ma soprattutto imparare a pensare. Avere uno strumento in più di autoriflessione e comprensione del mondo».
RIPARTIRE DA SE STESSI. Per i ragazzi, scrivere diventa una possibilità di ripartire da se stessi. Raccontarsi significa non essere più soggetti passivi di una comunicazione stereotipata, quella dei giornali, delle tivù e anche della fiction, ma soggetti attivi, in grado di fare una loro narrazione. «Alcuni di questi ragazzi sono finiti nelle prime pagine dei giornali locali, alcuni nelle cronache nere dei giornali nazionali», racconta Maria Franco. «Ai ragazzi non dispiace essere protagonisti anche in negativo, è sempre un modo di essere protagonisti. Però vengono etichettati, definiti dall’esterno, secondo moduli che proseguono per abitudine: una volta scoperto il termine baby gang lo si utilizza sempre. Invece secondo me mettere il ragazzo nella condizione di acquisire strumenti con cui possa dire lui qual è la sua realtà, è qualcosa che gli dà una libertà di costruzione e ricostruzione di se stesso».
Eppure per questi ragazzi la scrittura è una cosa difficile. «Il loro è un mondo in cui basta un linguaggio della koinè che loro hanno, una mescolanza italiano e dialetto, il gergale e i termini televisivi», spiega l’insegnante. «La scrittura a loro serve semplicemente come scrittura ai parenti e agli amici, che stanno fuori, e che hanno il loro stesso linguaggio. Scrivere non è un’operazione semplice, è qualcosa a cui si arriva valorizzando la singola frase, quello che man mano possono esprimere. Pur non avendo un’educazione alla scrittura i ragazzi se ne vengono fuori con espressioni, modi di dire e neologismi che sono estremamente creativi, entusiasmanti».
DIVENTARE AUTORI. Il laboratorio di scrittura in questi anni ha fatto tante cose: giornalini, testi teatrali, raccolte di poesie, fotoromanzi, metascrittura partendo da altri libri. Ma quest’anno c’è stata una novità. «Negli ultimi dieci anni c’è stato un progetto che partiva da un’idea: prendiamo autori napoletani importanti, portiamoli a Nisida, facciamo dei laboratori in cui i ragazzi scrivono, e l’autore poi riscrive nel suo stile quello che il ragazzo ha elaborato», racconta Maria Franco. «I singoli racconti sono stati ripresi e messi in scena dal laboratorio teatrale dell’Istituto Penale di Nisida. C’era una spirale, un tema, scelto da me, un lavoro di scrittura in classe, con l’autore e me, l’autore poi scriveva il racconto, i ragazzi lo rileggevano cercando le frasi, i personaggi e i titoli che avevano dato loro. Ma era un racconto d’autore, un livello di scrittura diverso dal loro».
È successo che tanti ragazzi hanno chiesto di partecipare anche negli anni seguenti, e hanno visto gli autori per più anni. Tra questi c’erano delle ragazze che avevano una richiesta particolare. «Ogni anno chiedevano un racconto d’amore: grazie agli autori arrivavano dei racconti che a loro piacevano pure, ma non era quello che loro volevano» ci rivela la professoressa Franco. «Allora quest’anno ho promesso di dividere il laboratorio in due parti, una parte di poesie, e un laboratorio con le ragazze. Se negli anni precedenti avevano scritto quello che veniva loro in testa, una scrittura di testimonianza, qui hanno fatto le autrici, hanno fatto il tentativo di scrivere un racconto secondo dei canoni narrativi, un racconto che le rappresentasse, ma che non fosse la loro storia».
Che cosa viene fuori, allora, dal racconto di queste ragazze? «Viene fuori un’esigenza di tutti, un pizzico di felicità nelle relazioni umane», risponde l’insegnante. «Ed esce anche il fatto di un’esperienza dell’Istituto Penale di Nisida che diventa positiva, di costruzione. Nel primo racconto c’è una ragazza che esce da Nisida dopo aver fatto un percorso, e vive la sua storia d’amore con un professore, nella seconda c’è un ragazzo che entra a Nisida, ma poi, quando si trova nella situazione in cui, per avere benefici economici, dovrebbe fare una cosa che non è legale, non la fa. Ci sono l’esigenza normale della felicità e dell’amore che possa riempire la vita, ma, in sottofondo, anche che l’Istituto Penale di Nisida, pur essendo una cosa pesante e costrittiva, può anche lasciare addosso qualcosa di positivo».
POESIA DI TERRA E SANGUE. L’altra parte del laboratorio è stato dedicato alla poesia. «Le poesie sono molto interessanti», riflette Maria Franco. «Ce le siamo gestite liberamente con due persone molto diverse. Angela Procaccini, una signora di una sensibilità eccezionale, è la madre di Simonetta Lamberti, la prima bambina uccisa della Camorra per errore. È una persona che viene spesso da noi, è una presenza educativa. È una persona molto dolce, e fa emergere nei ragazzi aspetti di una spesso molto sotterranea voglia di dolcezza, infanzia, tenerezza, abbracci, comprensione». Invece «Gianni Solla è una persona la cui cifra è l’ironia e la concretezza della realtà: non c’è bisogno di cuore amore per fare poesia, ma la terra e il sangue la fanno da soli. Ma tutto è fatto con una grande dose di autoironia. I ragazzi hanno reagito, si sono espressi sia nel senso di far emergere queste esigenza di affetto, sia in quello di raccontare il loro mondo, un mondo dissonante, fatto quartieri molto difficili, realtà dure, aspre, spigolose».
LE STORIE CHE RIMANGONO DENTRO. In 35 anni di lavoro le storie che hanno colpito l’insegnante sono moltissime. «Mi sono rimaste dentro decine e decine di storie», conferma. «L’altro giorno è successa una cosa che mi ha emozionato non poco. Era uscita una mia intervista su un giornale che è stata messa su Facebook. Un ragazzo, che ora lavora, uno a cui tengo infinitamente, ha scritto delle parole: “Ricordo ancora quando entravo nella tua aula, mi sentivo protetto, mi dava una sensazione di essere nel posto in cui tanto voleva essere il mio vero Io , come se quella porta mi proiettasse in un altro mondo. Tu hai fatto sorgere in me quella voglia di riscatto, la lezione più grande che tu mi abbia mai dato è quella sulla bellezza, mi hai fatto apprezzare cose che prima tralasciavo o che forse non vedevo affatto”. Quello che scrive lui è quello che secondo me dovrebbe essere la scuola in carcere», ragiona Maria Franco. «È uno di quelli che sono usciti dall’Istituto Penale di Nisida, sono usciti veramente da Nisida, dalla loro vita precedente. Le storie a cui sono legata sono sia le storie drammatiche, finite male, sia le storie di persone che hanno iniziato una vita diversa». «Penso che per farlo ci vogliano un coraggio e una forza senza limiti» continua. «Non c’è alcun supporto adeguato, effettivo, per ragazzi che facciano questa scelta. Da una parte noi non diamo sufficiente prevenzione, sufficiente attenzione alla crescita dei ragazzi: a Nisida abbiamo ragazzi che hanno figli, e quindi abbiamo bambini che crescono senza un padre, che peraltro ha vent’anni. I ragazzi che abbiamo noi, spesso hanno avuto un padre in galera, uno zio in galera. Cose che sappiamo tutti e per cui dovremmo attrezzarci un po’ meglio. Dall’altra parte dovremmo fare un’opera forte di reinserimento sociale per chi lo vuole fare. Un ragazzo che esce da Nisida con buone idee, con una voglia di cambiare, si trova dove? Chi gli dà un lavoro, un lavoro pagato normalmente? Qual è il contesto che lo sostiene? C’è chi ce l’ha fatta. Ma sono eroi».
L’AUGURIO. Come scriviamo in apertura, il congedo per Maria Franco ha un doppio significato. La professoressa Franco ci legge la controcopertina, con la poesia di una ragazza che firma anche il primo racconto: «Come il cielo porta con sé le sue nuvole la notte le sue stelle porterò voi con me. Ben salde le vostre parole rimarranno ancorate alla mia mente e i vostri dolci sorrisi con cura custodirò nel mio cuore. Come voi per lungo tempo avete abbracciato me io nel ricordo abbraccerò voi. Nisida sarà per sempre». «È una ragazza che è stata da noi molti anni, è in dirittura di uscita e auguro a lei e alle altre autrici che il loro congedo dall’Istituto Penale di Nisida sia un congedo totale, che rimanga in loro per quello che ha fatto di positivo» si augura l’insegnante. «Che quello che le ha portate a Nisida sia cancellato».
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Maria Franco
Esercizi di stile
Guida editore, 2019
€ 14,00
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Una risposta a “LA SCRITTURA RENDE LIBERI. LO DICONO I RAGAZZI DI NISIDA”
Bell’articolo per un bellissimo libro