IUS SOLI: FACCIAMO UN PO’ DI CHIAREZZA
Clima politico e disinformazione hanno cancellato dall'agenda politica il tema cittadinanza. Che, però, resta un nodo che l'Italia deve sciogliere.
02 Marzo 2018
Lo scorso settembre 2017 il Senato ha deciso di demandare alla prossima legislatura la discussione sul disegno di legge 2092, riguardante le modifiche alla legge sulla cittadinanza. Una proposta di legge meglio nota come Ius soli ma che – anche a causa di questa semplificazione terminologica – ha rischiato di essere confusa con altri grandi temi che sta affrontando il nostro Paese. A riaprire il dibattito sono stati l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’UCSI Lombardia che al centro PIME di Milano hanno voluto chiarire alcuni aspetti di questa proposta rimandata perché temuta da molti.
È proprio partendo dai numeri che il dibattito sulla cittadinanza non può che interpellare istituzioni, scuola, famiglie e noi stessi cittadini. Secondo i dati ISTAT, in dieci anni le acquisizioni di cittadinanza sono aumentate vertiginosamente passando dalle 35mila del 2006 alle 202mila del 2016: nell’ultimo decennio i nuovi italiani sono quasi un milione, in gran parte con meno di vent’anni. «Fino a qualche anno fa – spiega Alberto Fossati, docente di diritto pubblico – all’interno dei manuali accademici, il paragrafo sulla “cittadinanza” era molto piccolo. È diventato attuale perché è mutata la composizione strutturale della società. È quindi riduttivo parlare solo di cittadinanza legale (cioè detenere il passaporto del proprio paese e avere diritto di voto) ma è necessario tener conto anche della cittadinanza sociale (essere in possesso di diritti fondamentali umani al di là dello status giuridico)».
CITTADINANZA SOCIALE. Attualmente in Italia vige lo Ius sanguinis (diventi cittadino italiano se nasci da un genitore italiano). Lo Ius soli (puro), invece, permette di acquisire la cittadinanza per il solo fatto di essere nati in un determinato territorio (Stati Uniti, Sud America, Canada). In realtà, però, l’Europa ha esperienze di Ius soli temperato, cioè riconosce la cittadinanza al bambino che nasce in un Paese a patto che si rispettino determinati requisiti. Il ddl approvato alla Camera, infatti, estende l’acquisizione della cittadinanza italiana anche ai minori con genitori stranieri, solo nel caso in cui uno dei genitori sia titolare di diritto di soggiorno permanente o lungo; inoltre permette che diventi cittadino quel minore che sia entrato in Italia entro il dodicesimo anno di età e che per almeno cinque anni dimostri di aver compiuto un percorso di istruzione scolastica (Ius culturae).
«Non parliamo di stranieri, ma della nostra società che è già mista – spiega la pedagogista Anna Granata – e la scuola ne è il banco di prova. Il bambino che nasce in Italia da genitori stranieri è già inserito nel contesto italiano ed è difficile attribuirgli delle categorie. Sui media fa più notizia una scuola che si oppone di fare il Presepe a Natale ma la quotidianità delle nostre classi è ben diversa. Per la scuola italiana non esistono alunni “irregolari” ma l’istruzione è garantita a tutti i minori».
Che la cittadinanza non possa essere ridotta solo ad uno status giuridico (anche se questo è essenziale per tanti aspetti) lo ha compreso persino la pubblicità: noti marchi di vestiario da tempo scelgono come testimonial delle proprie campagne bambini con colori di pelle differenti. O lo stesso sport che nelle gare internazionali candida atleti e atlete italiane diversi solo per connotati fisici. «Se persino il marketing o lo sport danno cittadinanza – continua Granata – perché lo Stato è ancora incerto? Se non ci mettiamo al passo con questa trasformazione le conseguenze saranno anche di tipo educativo: perché due bambini che frequentano la stessa classe, giocano insieme, e parlano lo stesso dialetto devono scoprirsi – a causa della legge – diversi?»
LA STRATEGIA DELLE TRE ESSE. «Possiamo permetterci di discutere a lungo di questi temi, rimandandoli per anni, solo perché l’Europa è la culla dei diritti. Ci sono Paesi dove se una donna avvia una gravidanza in un territorio diverso dal suo di origine, non solo il figlio non acquisisce la cittadinanza, ma lei stessa viene espulsa».
È provocatorio il commento della sociologa Laura Zanfrini che sottolinea il netto svantaggio degli stranieri nel nostro Paese. «Una nuova legge sulla cittadinanza è necessaria, ma non è la risposta a tutto. L’uguaglianza formale da sola non basta se poi vengo trattato diversamente nel mondo del lavoro o tra i miei pari. Dobbiamo liberarci dall’idea che la cittadinanza sia qualcosa di esclusivo perché la contaminazione tra famiglie diverse è qualcosa di positivo. Le seconde generazioni sono pioniere del mondo che verrà: questa ricchezza di culture, lingue, costumi porta vantaggio a coloro che si preparano ai nuovi lavori: l’export di merci, la ristorazione, la tecnologia. Sono una risorsa da valorizzare che porterà benefici anche alla nostra Italia».
Perché tale proposta sia stata rimandata al prossimo Parlamento ce lo spiega il clima mediatico creatosi attorno lo Ius Soli. «Uno dei motivi per cui la proposta non è passata al Senato – spiega la giornalista Anna Pozzi – è il dibattito politico all’interno della quale è stata inserita: una norma che è stata confusa con i flussi migratori che arrivano nel nostro Paese, con il ruolo delle ONG o con gli attentati terroristici avvenuti in Europa. I titoli che hanno trattato lo Ius soli hanno riferito solo posizioni dei leader politici senza entrare in merito alla questione, con toni di dubbio, minaccia e sospetto. Come ad esempio: “Ius Soli. Anticamera del Terrorismo”. Anche le parole hanno un peso ecco perché la stampa ha avuto responsabilità importanti in questo rinvio».
I numeri, le storie e le esperienze degli Stati a noi vicini raccontano un’Italia che sta cambiando e si sta evolvendo rapidamente. Anche se scomparsa dall’agenda politica, il tema della cittadinanza resta un punto caldo che il nostro Paese deve affrontare se non altro perché riguarda la vita di migliaia di persone e di minori, che nei fatti sono già italiani. La pedagogista Anna Granata suggerisce la strategia delle tre esse. Spiegare: è una legge che non favorisce l’immigrazione e che non da cittadinanza a tutti. Spiazzare: entrare nelle scuole dei nostri figli e raccontare storie di ordinaria quotidianità. Smuovere: con le buone parole si può già dare cittadinanza.