IUVENTA: LA STORIA DELLA NAVE SIMBOLO DELLE ONG NEL MEDITERRANEO

Tutti ne parlano, ma nessuno mostra cosa succede sulle navi delle ong. Lo fa "Iuventa", film sul sogno di un gruppo di ragazzi. E sul dovere di salvare vite

di Maurizio Ermisino

Sembra impossibile. E invece nel mondo di oggi accade anche questo. Che un gruppo di ragazzi giovanissimi decida di autofinanziarsi, fondare una Ong e, attraverso un crowdfunding, di comprare ed equipaggiare un vecchio peschereccio per andare a salvare delle vite nel Mar Mediterraneo. E parliamo di oltre 14mila persone. È accaduto davvero, in Germania. La Ong si chiama Jugend Rettet (gioventù che salva) e la nave Iuventa.

La loro storia è raccontata nel film Iuventa di Michele Cinque, distribuito in questi giorni nei cinema da Wanted Cinema e Za Lab (qui le proiezioni aggiornate), che ci sta raccontando anche l’Iraq di oggi in Isis, Tomorrow. «Sono partito da un’urgenza» ci ha raccontato il regista. «Più che di raccontare una nave che salvava vite nel Mediterraneo, era quella di raccontare questo gesto idealistico di alcuni ventenni tedeschi nato in seguito a uno dei più grandi naufragi degli ultimi anni, quello dell’aprile 2015 dove sono naufragate 900 persone nel canale di Sicilia. Un giovane studente all’ultimo anno di liceo ha fondato la Jugend Rettet, la più giovane ong, e la più discussa, che ha operato nel Mediterraneo negli ultimi anni. Si è accorto di non poter più stare a guardare. E insieme a nove coetanei ha fondato questa Ong dal basso». «Io sono di un’altra generazione, e venivo dalla grande delusione di Genova, la perdita del sogno, della possibilità di immaginare un mondo migliore. Loro lo hanno fatto, in maniera non ideologica: la Jugend Rettet non ha mai detto di essere di sinistra o di destra, per loro salvare vite nel Mediterraneo non doveva avere una bandiera politica. Ci sono trattati internazionali che sanciscono che chi è in pericolo in mezzo al mare abbia il diritto di essere salvato».

 

 

UN LANCIO NEL VUOTO. Iuventa è uno di quei film che andrebbero visti. Al cinema, certo, dove sta iniziando il suo viaggio. Ma anche in tv, dove andrebbe trasmesso in prima serata a reti unificate. Perché fa quello che nessuno fa mai, nei dibattiti a colpi di post sui social.

Questo film, semplicemente, racconta. Mostra quello che effettivamente fanno le Ong, con le loro navi. E spiega il profondo bisogno di alcuni ragazzi, dalle vite apparentemente lontanissime dalle nostre coste, nella “fredda” Germania: quello di soccorrere chi rischia la vita in mare. Un gruppo di ragazzi che si sono buttati senza rete nelle operazioni di soccorso. In Iuventa possiamo vedere la loro impazienza di entrare in azione, e poi quei momenti di calma apparente prima della tempesta, cioè del primo salvataggio.

 

iuventaIn quel momento, è il 2016, Iuventa non è sola. Altre navi, con lei, formano quella che è una vera e propria flotta umanitaria, coordinata dalla Guardia Costiera di Roma. I ragazzi di Iuventa accolgono i migranti sui gommoni al grido «benvenuti in Europa, noi siamo tedeschi». E, una volta compiuta la missione di soccorso «Allora, ragazzi, siete salvi. Siete su una nave tedesca. Restate calmi».

«Ho subìto anch’io lo shock post traumatico dei ragazzi dopo la prima missione», svela Michele Cinque. «Non eravamo preparati per operare in quella che è una zona di guerra, ad essere a contatto con l’orrore. Quello di questi ragazzi è stato un lancio nel vuoto. Anche se avevano strutturato il loro impegno, si erano coordinati con la Guardia Costiera di Roma».

Vedere su un grande schermo le espressioni di sollievo e sfinimento di due donne africane appena tratte in salvo. O lo stupore di ragazzi che hanno visto per la prima volta in vita loro il mare, ed è sembrato loro immenso, ma anche un immenso pericolo. Sentire da un ragazzo africano, cattolico, che gli piacerebbe vivere a Roma, e che incontrare il Papa è il suo sogno. Tutto questo vale più di mille parole, articoli, post sui social sempre uguali.

 

PERCHÈ NON L’EUROPA?. Nella sua prima missione, Iuventa ha tratto in salvo più di duemila persone. Poi, al rientro, sono arrivati i primi dubbi. «Sono stato con loro durante l’inverno, durante il quale loro stessi mettevano in dubbio il loro impatto sulle decisioni delle istituzioni europee. Non volevano essere la soluzione al problema migratorio. Era il momento in cui l’Europa diceva di non avere più fondi per Mare Nostrum. Volevano dimostrare che se un gruppo di ragazzi può fare questa operazione con un crowdfunding, perché non lo può fare l’Europa?»

 

IL PULL FACTOR. Chi conosce lo schema classico del racconto dell’eroe, sa che di questo racconto fanno parte anche gli ostacoli. Jugend Rettet, come le altre Ong, non è esente da attacchi. Chi si basa solo su illazioni ha gioco facile a dire che se ci sono più navi a soccorrere i migranti ci saranno sempre più scafisti pronti a partire dalle coste della Libia. È il cosiddetto “pull factor”. Gli attivisti si pongono questo problema, ed è bravo Michele Cinque a lasciare queste scene nel film.

iuventa«Questo fenomeno di attrazione da parte delle Ong verso i migranti, il fatto che i trafficanti appena vedono una nave delle Ong mandino una loro barca, è stato ampiamente documentato dalla Procura di Palermo, che ha chiuso un’indagine negando effettivamente il “pull factor” spiega Michele Cinque. «Nel film i ragazzi se lo chiedono e si rispondono da soli. Parlano i numeri: non c’è stata un’impennata di partenze legate alla presenza delle navi delle Ong, c’è stato solamente un maggior numero di salvataggi».

«A proposito del fattore di attrazione, è esattamente in quei termini, con le medesime parole, l’accusa che veniva mossa alla Marina Militare italiana quando era in corso Mare Nostrum» spiega Luigi Manconi, direttore dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali. «Fu gioco facile per l’ammiraglio, attraverso tavole statistiche, dimostrare come prima dell’inizio di Mare Nostrum, come dopo la conclusione sciagurata della missione, i flussi migratori seguissero altre dinamiche, altri fattori di movimento, e i presidi come le navi di Mare Nostrum riuscivano a intervenire riducendo il numero di morti. Dobbiamo dire che nel 2018, mentre constatiamo la riduzione del numero degli sbarchi, dobbiamo constatare che la percentuale dei morti è incredibilmente cresciuta, triplicandosi».

 

IL DOVERE DI SOCCORSO. E poi c’è l’ostacolo più grosso. Il 2 agosto 2017 la Iuventa viene fermata, al Porto di Lampedusa, per controlli di routine. Viene posta sotto sequestro preventivo per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, nonostante vengano esclusi legami tra il suo equipaggio e gli scafisti. «Mi sono trovato di fronte a un cambiamento radicale», racconta Cinque. «Quando erano partiti, quelli della Jugend Rettet erano salutati come eroi dalla stampa; improvvisamente sono diventati criminali. Ho sperimentato, in prima persona, come la tempesta mediatica possa far cambiare idea all’opinione pubblica in poche ore».

 

iuventa«Anche se quei ragazzi sono stati sconfitti», continua Cinque, «oggi c’è una nuova nave, quella di Mare Liberum, che nasce dalle ceneri di Jugend Rettet e che opera nel Mar Egeo». Ma è giusto che ci sia un’altra nave? «Penso che finché non siano garantiti i trattati internazionali e non siano gli stati a salvare queste persone è giusto che ci siano navi come Iuventa» afferma il regista.

«Noi abbiamo fatto un lavoro che spettava all’Unione Europea, sanno benissimo che non è questa la soluzione», fa eco Kathrin Schmidt, una delle attiviste di Jugend Rettet. «Dovevamo dire che la gente muore in mare e che dobbiamo fare qualcosa. Mentre facevamo il lavoro che spettava all’Unione Europea, invece di cercare una soluzione, hanno cercato gli argomenti per dire che questo è un reato e trovare ulteriori ragioni per chiudere le frontiere».

 

UNA SCELTA POLITICA. «La vicenda di cui stiamo parlando si sta svolgendo in un tempo bruciante, rapidissimo. Le navi delle Ong prendono il mare, nel Mediterraneo centrale, a partire dal 2015», spiega Luigi Manconi. «Iuventa racconta uno scenario che è relativo al 2016 e al 2017. Il 2018, cioè i mesi che stiamo vivendo, sono totalmente diversi: lo scenario è mutato radicalmente. Oggi nel Mediterraneo centrale non c‘è più un solo presidio umanitario, una sola struttura di soccorso, alcun gruppo di persone dedite al soccorso dei fuggiaschi, al recupero dei naufraghi. Perché? L’obiettivo politico perseguito da numerosi Paesi europei e dal governo italiano è stato raggiunto: era sgombrare il Mediterraneo centrale da tutte le Ong. È un obiettivo totalmente conquistato, attraverso azioni giudiziarie, intimidazioni politiche, campagne di sfregio delle Ong, alleanze più o meno visibili tra stati europei. E, infine, attraverso il sostegno dato all’organizzazione traballante delle varie milizie che sostengono quella parvenza di stato/non stato che è oggi la Libia. In questo momento ci sono iniziative che prenderanno il via, mobilitazioni che si stano attivando. Si spera che nuove navi possano prendere il mare, ma le difficoltà sono gigantesche. E potentemente acutizzate dal fatto che è in corso, se non una criminalizzazione della solidarietà, la trasformazione del diritto/dovere di soccorso in una fattispecie penale, in un reato. In gioco non è la solidarietà, l’altruismo, ma un diritto fondamentale, quel diritto al mutuo soccorso che fonda la stessa civiltà umana, perché è quello su cui si fonda la comunità umana».

 

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L’immagine di copertina è tratta dalla pagina Fb ufficiale del film. Le immagini che illustrano l’articolo sono tratte dal trailer ufficiale.

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