JOVANOTTI, LA DANZA CHE UNISCE NEI GIORNI IMPAZZITI
In un mondo che ci promette tutto, ma “senza” qualcosa, “con” è la parola chiave. E significa inclusione
07 Aprile 2015
C’era una volta “È qui la festa?”. C’era una volta “1,2,3 Casino”. C’era Gino Latino, il suo alter ego dance tamarro. Erano gli anni Ottanta, bellezza. Jovanotti cantava la voglia di divertirsi, di ballare. E ce l’avevano tutti con lui. Ora che è un uomo di quasi cinquant’anni, portati benissimo, che è passato per le strade dell’impegno sociale, per quelle del rock e degli stadi, che non ha niente da dimostrare a nessuno, Lorenzo Cherubini, alias Jovanotti, nel suo nuovo album “Lorenzo 2015 cc”, torna a fare quello che gli piace. A far ballare la gente. E a cantare di notti di danza e della bellezza di lasciarsi andare. L’ha scritto anche “Rolling Stone”, che «Lorenzo non torna indietro, ma finalmente oggi fa pace con il suo passato, quello di quando non si sentiva all’altezza, perché non lo facevano sentire così, perché era Jovanotti l’ignorante che fa uno due tre casino, quello che “non sarà certo un cantante”. E oggi semplicemente fa quello che gli piace. Sapendo, e tenendosi stretto questo pensiero, che ormai è quello che ci piace». È proprio così.
Una danza liberatoria
Eppure, noi abbiamo un’idea. Quella che il ballo cantato da Jovanotti oggi non sia semplice divertimento, ma una danza catartica, liberatoria, capace di unire il mondo invece che dividere, «in questi giorni impazziti di polvere e di gloria» (da “Gli immortali”). Un colossale rito pagano che unisca tutto il mondo, perché in fondo «finché c’è una musica che gira, un petto che respira e una ritmica che tira e un impianto che spara, ovunque sia dall’Africa all’Antartide qualcuno sta tendendo acceso il fuoco», come canta Jovanotti in “Tutto acceso”, irresistibile inno alla notte, che però è molto di più.
Il ritmo, e la musica, sono il collante a una rivoluzione pacifica e non violenta. «Tutte le mattine che mi sveglio con quell’odore addosso di incubi di un mondo che non gira, tutte le periferie in rivolta in cerca di una svolta, profumi che si mischiano nell’aria, poi c’è questa cosa che mi carica, si chiama MUSICA, e poi c’è questa cosa che mi carica e viene dall’Africa, si chiama MUSICA», canta in “Musica”, altro inno trascinante, irresistibile invito a lasciarsi dietro le divisioni e trovare una nuova carica.
La carica, a Lorenzo, non è mai mancata. Così come la fede nelle magnifiche sorti e progressive dell’uomo, in quella scienza e in quella tecnologia che per Jovanotti non possono che essere amiche. Un discorso già iniziato nel suo album precedente, “Ora”, e che oggi si fa ancora più esplicito. “È la scienza, bellezza!” è il titolo emblematico di una canzone trascinante nel ritmo quanto nel testo: «partiamo, andiamo, è la chimica degli elementi, è la scienza, bellezza! si procede per esperimenti». O ancora, «i programmatori di Palo Alto, quando viene sera, alzano il volume, si connettono con la biosfera», canta ne “Il mondo è tuo (Stasera)”, trascinante inno rock che profuma di anni Ottanta. E dentro il quale ci sono forse le parole più pesanti del disco (che lui, a proposito di tecnologia, ama definire una playlist più che un album), quelle che la dicono lunga su cosa pensi Lorenzo Cherubini del mondo di oggi. «Mandiamoli a cagare i bulli e i vittimisti, gli indignati di mestiere, i fondamentalisti; il senso della vita e chi l’ha mai saputo, non dirmi cosa è giusto ma cosa ti è piaciuto».
Prendeteli uno a uno, i destinatari del messaggio, e sarà piuttosto chiaro quello che secondo Lorenzo oggi non va nel mondo. E certe parole oggi sembrano ancora più piene di senso. Sì, è ancora il “Penso positivo” di una sua canzone di grande successo. Ma è un “penso positivo e lotto per continuare a farlo”. «Non durerà in eterno nessuna dittatura, non solo quella morbida ma nemmeno quella dura», canta nella stessa canzone. Le cose, per lui, non possono che migliorare. Devono farlo. «L’alba è già qua, per quanto sia normale vederla ritornare, mi illumina di novità, mi dà una possibilità» canta ne “L’alba”, il potente brano che apre il disco, e che getta una speranza senza dimenticare «le barche che da Tripoli puntano a Lampedusa e quelle che da Genova puntavano all’America».
«Ci devo credere, ci voglio credere» ha dichiarato Jovanotti. «C’è in atto un passaggio di consegne, una guerra di visioni del mondo, una generazione che deve cedere il passo a quella più giovane, e non è detto che la più giovane sia migliore in assoluto, ma lo è per il fatto di portare novità. Finalmente nel presepe abbiamo comprato le statuine nuove, non c’è più quel pastore che era lì da quarant’anni».
La parola chiave è “con”
Un riferimento all’integrazione, a quel mondo che, «dall’Africa all’Antartide» potrebbe convivere. «Non abbiamo alternative alla società multiculturale, e chi dice di sì è in cattiva fede», ha dichiarato Lorenzo, «Come possiamo pensare a un mondo dove i musulmani se ne stiano a casa loro e gli ebrei separati da qualche parte? Casa loro è il mondo, come del resto è casa mia».
Non a caso Lorenzo ha dichiarato come una delle parole chiave del suo nuovo disco sia “con”, oggi che tutto il mondo ti presenta come una specialità tutto ciò che è “senza”: senza zucchero, senza grassi, e così via. «Il nostro è un mondo dominato dal “senza”, ma a me piace il “con”: quanto siamo in grado di aggiungere e includere, quanto caos siamo in grado di gestire?» Il suo ultimo disco è un esempio concreto dell’aggiungere e dell’includere, con musicisti nuovi provenienti da ogni parte del mondo, dall’Africa come da New York, uno addirittura conosciuto su Facebook. Ogni giorno ci svegliamo e sentiamo notizie di tutti i tipi, spesso non buone. Ma ascoltando il disco di Jovanotti ci siamo sentiti meglio. Un pizzico di fiducia in più nel futuro ce l’abbiamo. Provateci anche voi.