LA “BUONA SCUOLA È LEGGE”. COSA CAMBIA PER IL TERZO SETTORE
Ecco le attività e gli spazi che la riforma dedica alle associazioni.
09 Luglio 2015
La “Buona scuola” è legge. Oggi l’aula di Montecitorio ha dato il via libera al provvedimento che riforma il mondo delle istituzioni scolastiche. Un mondo che, ovviamente, non resta chiuso in sé stesso, ma si allarga al territorio. Ed cco cosa prevede per il Terzo settore.
Più apertura al territorio
Tra gli obiettivi formativi prioritari della “nuova” scuola, c’è quello di valorizzare se stessa “come comunità attiva, aperta al territorio e in grado di sviluppare e aumentare l’interazione con le famiglie e con la comunità locale, comprese le organizzazioni del terzo settore e le imprese”. Largo quindi a nuovi scambi e progetti con le associazioni del territorio, che già da tempo hanno intravisto nelle istituzioni scolastiche un luogo privilegiato di azione e sensibilizzazione, per contribuire a formare i cittadini di domani. Ma non finisce qui.
L’Italiano seconda lingua
La riforma tira in ballo il Terzo settore anche come supporto al raggiungimento di obiettivi specifici. In primis, quello della «alfabetizzazione e perfezionamento dell’italiano come lingua seconda attraverso corsi e laboratori per studenti di cittadinanza o di lingua non italiana». Una realtà sempre più diffusa in una società dai tratti sempre più multietnici come quella italiana. Questi corsi, recita il testo, saranno infatti «da organizzare anche in collaborazione con gli enti locali e il terzo settore», oltre che «con l’apporto delle comunità di origine, delle famiglie e dei mediatori culturali». Un riconoscimento, quindi, al supporto che le associazioni che operano nei campi dell’immigrazione e della multiculturalità possono offrire in questo campo essenziale, affinché gli studenti che non parlano l’italiano come prima lingua possano mettersi al passo con gli altri e inserirsi più facilmente nel contesto sociale.
Superare il digital gap
Ancora, un obiettivo in cui il Terzo settore è invitato a intervenire è quello della «realizzazione di attività volte allo sviluppo delle competenze digitali degli studenti». Il provvedimento, infatti, prevede un “Piano nazionale per la scuola digitale”, che permetta di fare quel passo in avanti necessario per alfabetizzare i giovani alle nuove tecnologie e combattere quindi quel digital gap, che, come è noto, non influenza solo la sfera del lavoro e delle opportunità, ma anche lo stesso ambito della produzione e della partecipazione, non dimenticandosi l’importanza che l’utilizzo dei nuovi mezzi, in primis i social network, sia critico e consapevole. Questo obiettivo, sottolinea il testo, viene perseguito «anche attraverso la collaborazione con università, associazioni, organismi del terzo settore e imprese».
Quando non c’è scuola
E che succede quando non c’è scuola? «Nei periodi di sospensione dell’attività didattica», si legge, «le istituzioni scolastiche e gli enti locali, anche in collaborazione con le famiglie interessate e con le realtà associative del territorio e del terzo settore, possono promuovere, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, attività educative, ricreative, culturali, artistiche e sportive da svolgere presso gli edifici scolastici».
Scuola e volontariato, il progetto dei CSV
Insomma, per il Terzo settore la scuola si conferma un campo d’azione prioritario. I Centri di Servizio per il Volontariato del Lazio, Cesv e Spes, ne sono convinti. Tant’è che è dal 2007 che hanno attivato a questo scopo un progetto specifico: Scuola e Volontariato, per mettere in collegamento associazioni e scuole del territorio, esperienza dei volontari e bagaglio dei futuri cittadini. E rendere più vicina l’istruzione scolastica alla società che la circonda.
(La foto in alto è di Acse)