LA DOPPIA PENA DEI DISABILI IN CARCERE
Ci sono più di 600 disabili in carcere, che non ricevono le cure e gli ausili necessari. Le proposte dell'Associazione CoNOSCI
27 Aprile 2021
Proseguono le audizioni sulla proposta di legge regionale n. 169, “Promozione delle politiche a favore dei diritti delle persone con disabilità”, promossa dalla consigliera Grippo, che hanno come obiettivo quello di arricchire tale normativa per renderla una sorta di legge quadro in materia. Tra le realtà del Terzo settore coinvolte nel processo partecipativo, è presente anche il Coordinamento Nazionale per la Salute nelle Carceri Italiane (CoNOSCI), col fine di accendere il riflettore sulla condizione doppiamente penalizzante disabili in carcere.
Sandro Libianchi, presidente del Coordinamento, già dirigente medico nel complesso polipenitenziario di Rebibbia, Roma, specialista in Medicina Interna, Endocrinologia e Patologie da Dipendenza, fa il punto sulla situazione spiegando che «a settembre abbiamo mandato le prime osservazione alla VII Commissione su una questione che, già a livello costituzionale, dovrebbe essere più che considerata. La normativa vigente prevede che la disabilità, come ogni grave motivo di salute, può essere motivo di scarcerazione oppure di misura alternativa, ed è su quest’aspetto che noi vogliamo porre l’attenzione.»
Nell’agosto 2015, l’ufficio IV “Servizi sanitari” della Direzione generale dei detenuti e del trattamento, ha rilevato la presenza di 628 persone detenute in condizioni di disabilità, sull’intero territorio nazionale. Qual è la situazione del Lazio?
«Mediamente, in una regione come il Lazio, i detenuti disabili sono circa settanta (secondo i dati del DAP al 2015, erano 65, di cui 51 italiani e 14 stranieri), ma suppongo che la situazione attuale sia molto simile. Un numero del genere potrebbe sembrare irrisorio, ma non lo è, perché le esigenze di assistenza di questi detenuti creano molti problemi di gestione agli operatori.»
Il problema dell’assistenza si aggiunge alla carcerazione, e i disabili in carcere scontano una doppia pena…
«Il detenuto disabile è del tutto invisibile, e la sua condizione non gli permette di avere le stesse opportunità del detenuto non disabile: non può fare quasi niente, tra le altre cose non può nemmeno lavorare all’interno né tantomeno avere una retribuzione, e questo è un grosso problema che si traduce con una sofferenza indicibile.»
Come funziona l’assistenza in carcere? Chi sono oggi i caregiver, quelli che un tempo venivano chiamati detenuti “piantone”?
«Quando i detenuti disabili hanno la fortuna che qualcuno li assista, e cioè quando la Direzione decide di mettere a disposizione una persona, questa persona è un altro detenuto, che però viene scelto con criteri non sanitari, e di rado è formata per fare assistenza. La persona incaricata assiste solo per qualche ora al giorno e provvede ai fabbisogni basilari, e raramente offre assistenza per tutto il giorno. L’incarico inoltre è periodico e non dura per lungo tempo, ed infatti questi caregivers vengono cambiati spesso.»
La normativa vigente (Legge 26 luglio 1975 n. 354 – Ordinamento Penitenziario) prevede, all’articolo 65, che «i soggetti affetti da infermità o minorazioni fisiche o psichiche devono essere assegnati ad istituti o sezioni speciali per idoneo trattamento», ma sono solo 7, su 193, i penitenziari che dispongono di reparti dedicati. Cosa succede negli altri 186 istituti?
«La maggior parte dei detenuti disabili hanno difetti di deambulazione e si muovono con difficoltà nell’ambito della sezione. Le sezioni, poi, sono abbastanza lontane dalle aree verdi, e questo significa che fanno poca “aria” perché le distanze non riescono a essere superate. Questo è un problema interno importante, ma c’è un altro problema altrettanto rilevante e che riguarda i pochi permessi premio. Le misure alternative per loro sono poche rispetto a quanto ne avrebbero bisogno. In genere questi detenuti sono molto poveri e non hanno un alloggio fisso di riferimento, o una residenza anagrafica, o una persona di riferimento che se ne prende cura, e ciò preclude la possibilità di ottenere i permessi.»
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è più volte pronunciata contro l’Italia, per aver violato il diritto del condannato a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Dunque la condizione dei detenuti riguarda tutti noi…
«A noi questa storia interessa, e molto, come Stato, perché abbiamo avuto diverse condanne dalla Cedu per i trattamenti considerati inumani verso i detenuti disabili. L’Italia ha perso già diverse cause con le relative condanne che hanno comportato, giustamente, il rifondere i danni provocati alle persone. Ciò significa che è stato riconosciuto l’esistenza di un grosso deficit in questo settore e che bisogna provvedere, ma ad oggi non c’è nessun segnale che ci porti a pensare che le cose stiano migliorando oppure che le difficoltà stiano diminuendo.»
Dal 2008 le competenze in materia di sanità penitenziaria sono attribuite al Sistema Sanitario Nazionale. Gli accordi specifici tra giustizia e sanità auspicati, a che punto sono?
«Giustizia e Sanità sono due settori che ancora hanno una scarsa capacità di dialogo interistituzionale e si rimpallano costantemente le responsabilità dell’assistenza. Nel caso dei detenuti disabili, quando c’è un problema di salute il ministero che deve provvedere è quello della Sanità (attraverso le regioni e le Asl), ma sul problema dell’alloggio in carcere la competenza è della Giustizia. Se si pensa all’inidoneità degli ambienti carcerari rispetto alle limitazioni funzionali di queste persone, è l’Asl che dovrebbe attivarsi e dichiarare l’inidoneità dei locali con la conseguenza che non sarebbe possibile trattenere la persona detenuta e disabile in quelle condizioni, ma questo non avviene. La stessa situazione si verifica per la fornitura dei presidi sanitari: in carcere anche avere un paio di stampelle diventa difficile, perché le persone per avere i presidi ortopedici devono essere riconosciute come invalidi civili; gli invalidi civili però, diventano tali solo dopo aver avuto una valutazione da una Commissione che, in questo caso, dovrebbe andare in carcere ed effettuare una visita, e ciò avviene con estrema difficoltà. Inoltre i modelli d’intervento variano moltissimo da una regione all’altra, con il risultato di avere regioni poco problematiche e altre totalmente sprovviste di sistemi di supporto per i detenuti disabili.»
Cosa succede nel Lazio?
«Il Lazio dovrebbe lavorare sul miglioramento dei modelli operativi.»
Quali sono le proposte fatte da Conosci durante l’audizione alla Commissione Settima?
«Come prima cosa abbiamo fatto presente la necessità di un accordo di programma tra Giustizia e Sanità, che comportino dei protocolli d’intesa chiari: una valutazione, un intervento e una proposta al magistrato. Poi, abbiamo ribadito che le Asl si devono attrezzare per fare una presa in carico precoce, con un progetto speciale. Abbiamo inoltre indicato che deve essere fatta un’azione di informazione sulle risorse del territorio in tema di disabilità; e infine abbiamo segnalato la necessità di formare i detenuti che fanno i “piantoni”, perché quello dell’assistenza alla persona è un lavoro difficile e particolare che non può essere fatto da chiunque.»