LA PAURA DELLE CICLISTE AFGHANE: ADDIO ALLA BICI E ALLA LIBERTÀ

La disperata fuga da Kabul. Alcune cicliste afghane sono riuscite a partire, dopo giorni drammatici. Altre purtroppo non ce l’hanno fatta

di Ilaria Dioguardi

Sei ragazze cicliste afghane, supportate da Road to Equality, dopo giorni di estenuanti tentativi, sono riuscite a partire da Kabul e ad arrivare in Italia. «Pensavamo fossero tre, visto che avevamo perso i contatti con le altre, ma all’arrivo a Roma abbiamo scoperto che erano sei, stanche ma felici di aver finito quest’avventura tremenda. Ora stanno facendo la quarantena», dice Anita Zanatta, vice presidente di Road to Equality, associazione che promuove il ciclismo come mezzo di emancipazione nei Paesi emergenti.

«Per molti giorni le ragazze hanno provato a partire. Sono arrivate in Italia insieme ad alcune calciatrici di Herat e ai collaboratori della ong Cospe, un gruppo di una cinquantina di persone. Grazie a questa unione di forze comuni ci siamo dati un grande supporto. Sono stati giorni tremendi», racconta Zanatta.

Quelle che non ce l’hanno fatta

«Abbiamo cercato di organizzare le operazioni dal momento in cui abbiamo cominciato a capire che la situazione stava precipitando. Nei primi giorni abbiamo cercato di capire quale potesse essere la strada per poter presentare in modo ufficiale le liste di nominativi da trarre in salvo».

ragazze afghane
Le ragazze cicliste afghane, riuscite a fuggire da Kabul grazie a Road To Equality, all’arrivo a Fiumicino pochi giorni fa

Poi abbiamo è stato fatto un grande lavoro per coordinare le ragazze e farle andare in aeroporto: «è stato tutto in divenire, una continua attesa di segnali per organizzarci. Purtroppo tante non sono riuscite a raggiungere l’aeroporto per i blocchi dei talebani e dei soldati: alcune non hanno avuto la forza di resistere e di andare avanti e sono tornate a casa, altre hanno provato a tornare in aeroporto quando ormai era troppo tardi… Per quanto riguarda il comparto italiano, è stato l’ultimo gruppo ad entrare, un’ora prima dell’attentato di giovedì 26 agosto», continua Zanatta. «Qualcuna purtroppo è rimasta dispersa nella folla, anche una donna incinta con i suoi bambini. Abbiamo provato in tutti i modi a far partire tutte, anche le forze armate ci hanno rassicurato dicendo che avrebbero provato ad uscire dall’aeroporto per andarle a prendere, se la situazione si fosse calmata, ma questo prima dell’attentato. Poi la situazione non c’è stata più nessuna possibilità. Anche per quelle che ce l’hanno fatta, è stato difficilissimo arrivare: una delle cicliste è riuscita a passare prendendosi le frustate dai talebani. Un’altra, con la figlia di due anni, è rimasta bloccata quasi una giornata intera fuori dall’aeroporto, vivendo momenti molto concitati. Eravamo continuamente al telefono con lei, abbiamo anche sentito gridare: la minacciavano di picchiarla, non ce l’ha fatta ed è tornata a casa».

La bicicletta era un tabù

L’associazione Road to Equality è nata quest’anno, come naturale prosecuzione di CPA Women, fondata nel 2017 da Alessandra Cappellotto, presidente di Road to Equality, ex ciclista, prima italiana a vincere il campionato del mondo su strada.

cicliste afghane
Lo scorso 9 marzo si è svolta la prima gara ciclistica femminile a Kabul, con l’appoggio della Federazione Ciclistica Italiana, di CPA Women e di alcuni sponsor

Per quanto riguarda il sostegno alle cicliste afghane, CPA Women ha fatto un grande lavoro, grazie a tutto il network di conoscenze e di relazioni coltivate nel tempo da Alessandra Cappellotto come ciclista e come donna che ha a cuore queste tematiche. «Alessandra ha dato un enorme supporto alle cicliste afghane che seguiamo, grazie a collegamenti con sponsor e federazioni, e agendo nel concreto per tutelare ed essere la voce di queste donne, dando loro la possibilità, a livello pratico e burocratico, di praticare questa disciplina», spiega Zanatta. «In Afghanistan era un tabù, un disonore andare in bicicletta. La donna non poteva (e non potrà) andarci: il sellino è un simbolo sessuale, la bicicletta è un mezzo di emancipazione, la donna non può neanche uscire da sola. Attraverso una rete di network, eravamo riuscite a creare una federazione ciclistica afghana, che supportava le ragazze, con tutto il know how relativo alle procedure a livello di sicurezza. Lo scorso 9 marzo (con un giorno di ritardo perché l’8 marzo c’è stato un attentato) si è svolta la prima gara ciclistica femminile a Kabul, con l’appoggio della Federazione Ciclistica Italiana, di CPA Women e di alcuni sponsor che hanno provveduto a tutto il materiale, dalle biciclette ai caschi: le ragazze non avevano nulla».

La libertà per le cicliste afghane

A questa gara, con la presenza di Alessandra Cappellotto, hanno partecipato cinquanta ragazze, tra cui le giovani che sono arrivate in Italia. «Queste atlete erano sotto i riflettori, erano già state esposte mediaticamente sia a livello nazionale sia internazionale, per questo le ragazze rimaste a Kabul erano e sono in pericolo».

Una delle ragazze partite da Kabul si rammaricava al telefono per non poter portare la bicicletta in aereo con sé. «La bicicletta ha permesso loro di far qualcosa da sole, di non dover dipendere. Ha fatto capire loro che possono farcela senza l’aiuto di nessuno, è il mezzo che rappresenta tutta la loro libertà, è anche un simbolo. Fortunatamente, per le cicliste afghane che arrivano in Italia avremo l’appoggio di sponsor che sono sensibili a queste tematiche. La nostra volontà è quella di prenderci cura noi di loro, in tutto e per tutto».

Road to Equality

Road to Equality è un’associazione di cicliste professioniste che si occupa di portare avanti e sostenere i diritti delle atlete in termini, ad esempio, di parità salariale, contratti, sponsorship, volgendo lo sguardo ai Paesi emergenti, per portare il ciclismo ad essere uno strumento di emancipazione per le donne nei Paesi in via di sviluppo.

«Siamo presenti in Paesi come Ruanda, Nigeria, Brasile. Lo scopo è aiutare le donne a crearsi un futuro,  in termini non solo di pratica dello sport, ma anche di tutto quello che ruota intorno a livello di professione (potrebbero diventare ad esempio direttrici sportive). Diamo a queste donne opportunità di vita, creando in loco delle federazioni e associazioni che possano promuovere lo sviluppo del ciclismo anche con le categorie giovanili», afferma Anita Zanatta.

Tutto è partito da CPA Women, per la parte operativa in Italia è stata creata Road to Equality, che lavora a stretto contatto con CPA Women che opera in tutto il mondo ed è riconosciuta anche dal CIO, Comitato Olimpico Internazionale.  CPA Women e Road to Equality si appellano all’obiettivo 5 dell’Agenda 2030: Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze.

LA PAURA DELLE CICLISTE AFGHANE: ADDIO ALLA BICI E ALLA LIBERTÀ

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