LA SCUOLA NON È UGUALE PER TUTTI. LA DENUNCIA DI ARPJ TETTO
Per i ragazzi del centro diurno Gli Scatenati la Dad non è l'unico problema. E c'è il rischio di interrompere definitivamente percorsi formativi fondamentali
26 Gennaio 2021
Hanno tra i 14 e i 18 anni. Una vita segnata da gravi difficoltà socioeconomiche. Eppure, un identico desiderio li muove e accomuna: quello di farsi protagonisti responsabili del proprio futuro, all’interno della propria comunità. Sono i ragazzi e le ragazze del centro diurno Gli Scatenati, dove ragazzi segnalati dall’autorità giudiziaria o destinatari di provvedimenti emessi dal Tribunale dei Minori svolgono attività educative, didattiche, laboratoriali e ludiche come misura alternativa al carcere. Un progetto promosso e attivato nel 2013 da Arpjtetto Onlus, organizzazione di volontariato che dal 1953 opera a Roma, nel quartiere Ostiense, per garantire sostegno e assistenza a donne, minori e giovani in condizioni di disagio.
Il centro diurno e la scuola
Sono dieci, in tutto, i giovani che ogni giorno si ritrovano al centro per prender parte non solo ad attività formative, ma anche a laboratori, come quello teatrale, di scrittura creativa e di orientamento al lavoro. Per offrire un’opportunità di educazione e inclusione concreta a questi ragazzi, l’associazione aveva anche stipulato un accordo con il Centro per l’Istruzione degli Adulti.
«Prima della pandemia, la scuola aveva attivato una sezione distaccata presso la nostra sede; questo significa che gli insegnanti si recavano presso il nostro centro e tenevano le lezioni, tra le quali italiano, matematica, educazione tecnica e inglese», spiega Francesco Montalbano, co-responsabile del centro Gli Scatenati. «A seguito dello scoppio dell’emergenza sanitaria però, questa sezione non è stata attivata e i giovani si sono ritrovati a dover frequentare la sede di Corso Vittorio Emanuele II, in pieno centro».
Una disposizione che ha finito per complicare notevolmente il loro accesso a scuola: la maggior parte dei ragazzi proviene infatti dalla periferia Sud della Capitale, in particolare dai campi rom di Castel Romano, di via Candoni e della Barbuta e, dunque, da molto lontano. «Due volte a settimana siamo noi stessi ad accompagnarli a scuola», aggiunge Montalbano. «Inoltre le lezioni terminano tardi, intorno alle 19, e il tempo che impiegano per tornare a casa diventa piuttosto lungo. Proprio per questo è in corso un dialogo con la scuola, al fine di ottimizzare e migliorare gli orari di accesso e di uscita».
Un profondo isolamento
Le criticità, tuttavia, non sono legate solo alla distanza dai luoghi in cui vivono o dagli orari di spostamento – sempre più a ridosso del limite imposto dal coprifuoco -, ma anche allo stigma sociale con cui, soprattutto i ragazzi rom, sono costretti a convivere. Di loro si parla infatti solo per mostrare e sottolineare quanto siano estreme alcune condizioni di disagio.
«Da parte delle istituzioni c’è poca predisposizione a interessarsi di questi ragazzi e del loro percorso di reinserimento nella società», commenta ancora. «Ciò è stato evidente soprattutto durante il primo lockdown». In quei primi mesi di chiusura infatti i ragazzi e le ragazze del centro diurno hanno vissuto una condizione di profondo isolamento (ne avevamo parlato in questo articolo), dettata per lo più dalla mancanza di risorse e di dispositivi digitali all’interno dei campi rom, un tempo chiamati da alcuni amministratori come “villaggi della solidarietà”.
«Nonostante il momento, siamo riusciti a raggiungere la maggior parte di loro attraverso telefonate giornaliere e messaggi su WhatsApp», racconta. «Non solo: per aiutarli nei mesi di didattica a distanza a rimanere in linea con il programma, ci siamo anche adoperati per fare da ponte tra loro e la scuola».
La formazione, oltre la scuola
Invisibili, smarriti e ancora più emarginati: questo sono stati e sono ancora oggi i tanti adolescenti e giovani che vivono in contesti fragili.
«Negli ultimi anni abbiamo anche attivato una rete che consente loro di seguire dei corsi di formazione e dei tirocini lavorativi, soprattutto nel settore della ristorazione», spiega. «Ora però è di nuovo tutto bloccato». Insomma, che si guardi alla scuola o al lavoro, della quotidianità passata di questi ragazzi non c’è più traccia.
Un tempo sospeso che di certo non arresta l’impegno costante dei volontari e operatori di Arpjtetto a favore dell’inclusione. «Fondamentale ora è proseguire, sulla scia del reciproco rapporto affettivo e di fiducia, tutte quelle attività che sono a loro utili per crescere e per acquisire fiducia in se stessi», conclude Montalbano. «Mai come oggi è importante favorire processi formativi, di socializzazione e di ascolto. Per superare le criticità di questo momento storico, serve soprattutto una partecipazione attiva all’interno del contesto sociale».
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