YEMEN, SPOSARSI A 10 ANNI. UN FILM RACCONTA LA TRAGEDIA
“La sposa bambina” è la storia di una bambina che ha subito un matrimonio precoce. Ne abbiamo parlato con la regista yemenita Khadija Al Salami
07 Maggio 2016
Interno, giorno. Siamo nello Yemen, in un’aula di tribunale. Alla fine della giornata di udienza, un giovane giudice si avvicina a una bambina che è lì da sola. Le chiede cosa ci faccia in quel luogo. «Voglio divorziare», risponde lei. Inizia così La sposa bambina (“I am Nojoom, age 10 and divorced” in originale), il film di Khadija Al Salami, tratto dal libro La sposa bambina di Nojoud Ali e Delphine Minoui, che racconta una storia vera. Quella di Nojoom, che a dieci anni, o forse anche meno (perché nessuno in famiglia sa la sua vera età), viene data in sposa a un uomo di trent’anni, essenzialmente per motivi economici. Una cosa impensabile, per la nostra società. Ma una pratica tristemente molto diffusa in paesi come lo Yemen, dove non sono previsti limiti di età per i matrimoni. Il film, sostenuto da Amnesty International, è stato presentato sabato 7 maggio al Festival dei Diritti Umani alla Triennale di Milano, e sarà nelle nostre sale dal 12 maggio.
È già sconvolgente, alla prima scena de La sposa bambina, vedere una ragazzina presentarsi da sola in tribunale per chiedere il divorzio. Ma i momenti destinati a turbarci, durante la visione, sono molti. Come quello in cui viene siglato il matrimonio, con un rito che si svolge tra i due padri, alla presenza di un officiante e due testimoni, con lo scambio di una somma di denaro, una stretta di mano e il lancio di alcuni sassolini. C’è poi anche un rituale che coinvolge la sposa, che è costretta a essere truccata e a indossare un vestito che non le piace, e che qualcun altro ha scelto per lei. Ma questo è il meno. Del resto non ha scelto neanche il marito.
Ed è ancora più duro il momento in cui incontra il marito. Costretta a fare sesso quando si vorrebbe ancora giocare con le bambole. Costretta con richieste decise, e poi con la forza, quindi stuprata. Il punto è proprio questo. Il problema delle spose bambine non sta solo nella loro crescita precoce, nella mancanza di possibilità di scegliere la direzione della propria vita, di avere un’istruzione. Queste ragazzine sono oggetto di violenza sessuale, e vengono spesso ridotte alla condizione di schiavitù. È un problema enorme, e gravissimo. Le donne che in tutto il mondo sono vittima di violenze fisiche e psicologiche a causa di matrimoni precoci sono 60 milioni. E sono 70 mila le giovanissime donne che ogni anno muoiono a seguito di questa situazione: morti per parto prematuro, o per emorragia interna.
Per questo ho odiato la mia famiglia
La storia della regista Khadija Al Salami, classe 1966, yemenita, oggi filmmaker con 25 documentari all’attivo, è tristemente simile a quella della sua protagonista. «Quando è accaduto a me, trent’anni fa, rimasi completamente devastata. È stata un’esperienza orribile» ci racconta. «Io sapevo solo di non volermi sposare. Sapevo solo che sarei andata a vivere con qualcun altro, rispetto alla mia famiglia, ma non sapevo di cosa si trattasse. Credevo che fosse andare a vivere in un’altra famiglia, e volevo la mia. Scoprire cosa comporta un matrimonio è terrificante. È un paradosso: quando sei un bambino la tua famiglia si prende cura di te, ti protegge, ti insegna a stare attenta, a non farti toccare da nessuno. E poi la tua famiglia ti fa questo. Per questo ho odiato la mia famiglia. E ci ho messo tantissimo tempo per dimenticare. Quelle persone che dovrebbero proteggerti sono le stesse che ti mettono in una situazione difficile, durissima».
È un problema duro da combattere, quello dei matrimoni precoci. È qualcosa che ha a che fare con la cultura, o meglio, la non cultura e l’ignoranza. Per questo, a distanza di molto tempo, Khadija non considera come dei mostri i propri familiari. «Al tempo fu mio zio a decidere, perché mio padre era malato» ci racconta. «Li ho odiati, mio zio per me era un mostro. Il fatto che abbia studiato, e sia diventata quello che sono diventata, mi ha fatto riflettere molto. C’erano dei valori condivisi, ci sono molte donne che credono nello sposarsi da giovani. Mia madre si è sposata a otto anni, e quando parliamo di quello che mi è successo, dice che non credeva che fosse una cosa sbagliata»
Oggi in Yemen le cose sono cambiate, ma non troppo. Nelle zone rurali questa usanza esiste ancora. «Oggi la situazione è molto diversa tra le città e le campagne» ci spiega la regista de La sposa bambina. «Ci sono le scuole, dove le ragazze possono studiare, a differenza dei miei tempi, in cui dovevano lavorare, ed era una cosa vergognosa. Il problema esiste ancora nelle zone rurali, dove ci si sposa ancora da giovanissime».
La sposa bambina pone un problema di cultura e povertà
Non è un caso che Khadija Al Salami nomini spesso le scuole, e che chiuda il suo film con l’arrivo di Nojoom in una di queste. È con la cultura, con la conoscenza che si combattono situazioni come quella de La sposa bambina. «Il problema può essere risolto, in termini psicologici e fisici, portando a conoscenza i fatti, lavorando sull’educazione» riflette. «Dobbiamo spingere il governo a combattere la povertà, e anche a lavorare sulla legge: oggi se una ragazza viene costretta a un matrimonio precoce può rivolgersi alla corte e chiedere aiuto, ed essere difesa. È un problema di cultura, che non riguarda solo lo Yemen, ma anche l’India, e molti paesi dell’Africa e dell’Asia. E, oltre che con la cultura, ha a che fare con la povertà». Sono proprio l’istruzione e la cultura ad aver salvato la vita a Khdija. «Se non avessi potuto andare a scuola, e studiare, non sarei stata quello che sono oggi» afferma fiera. «Quando ho divorziato la mia famiglia mi ha disconosciuto, e non ho potuto più farne parte. Così ho iniziato a lavorare a undici anni. Lavoravo nel pomeriggio, e andavo a scuola la mattina. E ringrazio la scuola per aver avuto una cultura. Sono grata all’educazione che ho avuto. Ho visto mia sorella, che si è sposata anche lei molto giovane, a tredici anni, oggi è nonna, e ha solo 43 anni. C’è molta differenza tra noi, anche se veniamo dalla stessa famiglia. È più giovane di me, ma non ha avuto il coraggio di fare quello che ho fatto io. Non è facile. Ma devi provare ad andare avanti con la tua vita. Devi essere forte, lottare per quello che vuoi. Ho voluto incontrare Nojoud, e congratularmi con lei. Le sono molto grata, perché grazie a questa storia molte ragazze con questo problema sono uscite allo scoperto».