LA TRAGEDIA DI ALFREDINO, IL BAMBINO CHE CAMBIÒ L’ITALIA
Il 12 giugno si celebrerà il quarantennale del Centro Alfredo Rampi, il bambino deceduto in un pozzo artesiano nell'81
04 Giugno 2021
Difficile trovare qualcuno in Italia che, vissuto a cavallo degli anni 80, sentendo menzionare il nome di Alfredo Rampi, o solo il suo diminutivo Alfredino, non conosca la storia di quel bambino che, a 6 anni, nel 1981, cadde in un pozzo artesiano. L’incidente avvenne in una frazione tra Roma e Frascati che, fino ad allora conosciuta solo ai locali, nel giro di un istante divenne nota a tutta l’Italia, tanto da far esclamare a Emilio Fede, allora direttore del tg1, la frase «se quel giorno fosse avvenuto un colpo di Stato, la gente avrebbe risposto: “Va bene, però lasciami vedere che succede a Vermicino”.»
La tragedia di Alfredino
La diretta televisiva dell’incidente fu lunghissima, e soprattutto inedita: era la prima volta nella storia italiana che un avvenimento otteneva una copertura mediatica di quel tipo. Per tre giorni la notizia di Vermicino monopolizzò l’attenzione di tutto il Paese, tutti erano convinti che la storia avrebbe avuto un lieto fine, invece l’epilogo del racconto fu drammatico.
La stragedia di Alfredino è nella memoria collettiva un evento doloroso difficilmente delebile. I soccorritori e i volontari giunti durante i 3 giorni in cui il bambino era nel pozzo, tentarono con ogni mezzo il salvataggio, ma la scarsa coordinazione e la mancanza di una organizzazione dei soccorsi (si pensi che il luogo dell’incidente, in quel momento, non venne neanche transennato, lasciando libero accesso a chiunque si trovasse nei paraggi) molto probabilmente furono decisivi per la sorte di Alfredo Rampi. Questo evento evidenziò la necessità di istituire una struttura organizzativa per la gestione delle emergenze e spinse per la nascita della Protezione Civile, che allora era ancora un progetto su carta.
La nascita della Protezione Civile
Il 30 giugno del 1981, due settimane dopo l’incidente, venne istituito il Centro Alfredo Rampi per la protezione civile, con lo scopo di diffondere la cultura della sicurezza e promuovere l’educazione dei rischi ambientali, del soccorso tecnico ed emotivo e delle emergenze.
«La signora Rampi lanciò, pochi giorni dopo la tragedia, un appello ai cittadini», spiega Rita di Iorio, presidente del Centro Rampi, «per far sì che incidenti simili non accadessero più. La risposta all’appello fu immediata e fu di tanti: non solo di cittadini ma anche di esperti e di rappresentanti delle istituzioni. Insieme abbiamo raggiunto, in 40 anni, tantissimi cittadini per portare avanti la cultura della sicurezza. La signora Rampi si è dedicata tantissimo anche per l’istituzione di una legge nazionale di protezione civile, al fianco dell’Onorevole Zamberletti. È vero che è arrivata dopo 10 anni, ma è arrivata. Nel frattempo, abbiamo cercato di trovare gli strumenti per educare i cittadini a come gestire gli interventi in emergenza e ci siamo impegnati a dare un volto, e un’importanza, al mondo del volontariato, basato non più sulla buona disponibilità, ma su un volontariato professionale. Quest’obiettivo è stato raggiunto, anche dobbiamo ancora lavorare su altri aspetti poiché a volte il volontariato è in sostituzione oltre che a sostegno delle istituzioni. Il grosso desiderio resta quello di avere istituzioni che pianifichino e lavorino sulla prevenzione, perché per avere i frutti della prevenzione bisogna aspettare anni.»
Il modo di raccontare e l’azione dei cittadini
Il centro Alfredo Rampi celebrerà il 12 giugno il suo quarantennale (qui il programma), con una giornata ricca di eventi, presso l’auditorium Conciliazione. Il tema della giornata riprende un verso della poesia Maestrale, di Montale, “Più in là”, che descrive la calma dopo la tempesta. Perché da quell’esperienza terribile, che è rimasta incisa nella mente di tanti, è nata una riflessione sociale profonda. «Il messaggio che vogliamo dare in questo quarantennale», sottolinea Daniele Biondo, del Centro Rampi, «consapevoli della situazione difficile che ha vissuto il nostro Paese in questo ultimo anno, è che si può andare oltre: oltre la resa; oltre l’impotenza; oltre la disperazione; oltre il danno che ogni catastrofe produce in noi, e si può andare avanti con l’impegno civile che ci ritrova uniti.»
La tragedia di Alfredino è stato incisivo sia sul piano sociale che su quello comunicativo. Piero Badaloni, giornalista e scrittore, che all’epoca dei fatti conduceva il Tg1, racconta che quella di Vermicino non fu la prima diretta tragica a livello nazionale: «prima c’erano stati il sequestro Moro, l’attentato al Papa e l’incidente di Ustica, ma Vermicino cambiò la storia del Paese e cambiò la storia della televisione, lasciando delle conseguenze.»
Furono più di 25 milioni gli italiani che seguirono quei tragici momenti, «per la sua durata (circa 60 ore) e per il fatto tragico che seguiva la diretta di Vermicino, si arrivò a un coinvolgimento emotivo globale. «Il coinvolgimento emotivo può avere due sbocchi», ha continuato Badaloni: «può far scattare una curiosità morbosa o può far scattare una partecipazione al dolore, una partecipazione all’angoscia e ai problemi, che quell’evento ora dopo ora porta alla luce: sul piano sociale ci fu una riflessione, e mi domando se questa riflessione sia avvenuta anche sul piano comunicativo.»
La fiction “Alfredino – Una storia italiana”
La spettacolarizzazione del dolore è un limite che non va superato ed è con questa particolare attenzione che è stata girata la serie tv “Alfredino – Una storia italiana“, che sarà presentata in anteprima proprio durante la celebrazione del quarantennale. Sono stati numerosi i produttori che, negli anni, hanno chiesto di poter raccontare questa storia, ma il Centro Rampi ha sempre declinato le varie proposte, fino a quando Marco Belardi non ha presentato il proprio progetto. «Un progetto non facile», racconta lo stesso Belardi, «sul quale ci sono stati mesi e mesi di ragionamenti ed è stato costruito passo passo con il centro Rampi».
Inoltre, il lancio della serie tv ha sollevato numerosi commenti negativi di coloro che hanno vissuto in prima persona quei giorni, ma gli autori e i produttori della serie assicurano che è stata rispettata la vicenda umana della storia e si è dato risalto al risvolto sociale scaturito dalla tragedia di Alfredino.
Una risposta a “LA TRAGEDIA DI ALFREDINO, IL BAMBINO CHE CAMBIÒ L’ITALIA”
Mi preme complimentarmi con Lucia Aversano che, pur nella doverosa ed intuibile necessità di sintesi, è riuscita, con linguaggio semplice ma efficace, a fornire un quadro esauriente dei fatti rimarcando soprattutto gli aspetti che riguardano la produzione della fiction ormai in dirittura d’arrivo.