LE CASE DELLA SALUTE E LA PARTECIPAZIONE DEL VOLONTARIATO
Si aprono nuovi scenari di intervento, ma gli strumenti per una effettiva collaborazione vanno costruiti. Il ruolo dei CSV a Pontecorvo
16 Aprile 2015
In questa fase di profonde ed estese trasformazioni socio economiche, riflettere sui processi innescatisi con l’attivazione della Casa della Salute di Pontecorvo (Fr) può aiutare non poco nella lettura dei nuovi scenari in cui si troveranno, ed in parte già si trovano ad operare, i volontari e le loro organizzazioni.
A partire dalla necessità di porre mano alla cosiddetta spending review, con la conseguente riduzione della spesa socio-sanitaria, l’orientamento del governo regionale ha rivendicato/imposto l’esigenza di mettere al centro dei percorsi di salute il territorio e la persona. Formula spesso abusata, ma che in questa fase si mostra come una diversa e nuova concezione di “integrazione socio – sanitaria” che, nel porre al centro del concetto di “salute “ il benessere della persona, apre nuovi scenari di intervento per il volontariato nel suo complesso, sia quello più propriamente impegnato sulle questioni assistenziali socio-sanitarie, che quello impegnato in interventi di prevenzione ambientale e/o di cura del territorio.
Una partecipazione da costruire
È qui la prima criticità, che al primo impatto sembra appartenere alla neonata realtà di Pontecorvo, ma col tempo si presenta come il brand che caratterizza tutte le nascenti Case della Salute : il volontariato, come la società civile, è assente se e fino a quando non viene convocato dalla Direzione Generale delle ASL.
A Frosinone la Direzione Generale ha individuato nei Centri di Servizio al Volontariato il mezzo più idoneo al corretto superamento di tale criticità, ponendo però agli operatori la questione di come mantenere l’autonomia delle organizzazioni, pur rispondendo ad una domanda di collaborazione tra pari per l’attivazione di un processo i cui obiettivi sono condivisi.
Le motivazioni che hanno spinto i Centri di Servizio ad intervenire a sostegno delle organizzazioni coinvolte stanno tutte nella propria mission:
– ampliare risorse e opportunità di partecipazione per le organizzazioni di volontariato;
– contribuire al superamento delle criticità ed alla valorizzazione delle esperienze, promuovendo le buone pratiche presenti sul territorio e riconoscendo le specificità dei soggetti attivi;
– sollecitare la cultura della collaborazione, mediante la valorizzazione del capitale sociale presente sul territorio;
– favorire l’aumento delle competenze degli attori coinvolti nei processi di trasformazione, attraverso la formazione integrata ed il confronto fra i soggetti;
– coinvolgere tutti i soggetti attivi in percorsi di co-progettazione sistematica e permanente.
Contenuti che sono diventati le linee guida di un intervento che ha permesso ai Centri di Servizio di contribuire alla costruzione di “strumenti di partecipazione collettiva” che hanno avviato la relazione tra istituzioni e comunità territoriale. L’attivazione di un percorso di Audit civico, è uno degli esempi in cui si mostra come è possibile incentivare la cooperazione e l’azione collettiva, attraverso il “potenziale valore aggiunto” del volontariato , riconoscendo la complementarietà dei soggetti in gioco facendo emergere l’utilità individuale dell’agire cooperativo.
Le criticità superate
Cogliere e superare la criticità individuata fin dall’inizio nelle diverse velocità di approccio alle questioni da affrontare, ha permesso ai Centri di Servizio di essere non solo un valido supporto alla progettualità e alla formazione dei volontari, ma, anche, un efficace punto di raccordo e collegamento che ha facilitato la collaborazione e l’integrazione tra i soggetti in campo.
Le criticità superate:
1) il rapporto con gli operatori socio-sanitari: per la distanza istituzionale dai bisogni del territorio, gli operatori hanno vissuto l’incontro con il volontariato come una forzatura imposta. Era prevalente la concezione dell’integrazione come scelta “di vertice” istituzionale, più attenta a chiarire le competenze finanziarie, che all’effettiva integrazione operativa. Una criticità che si è riusciti a recuperare attraverso un corso formativo condiviso, durante il quale la ” resistenza ” di alcuni settori a ridefinire le proprie modalità operative ( lavoro per progetti multidisciplinari ) e a mettersi in discussione con nuovi interlocutori, è maturata attraverso un protagonismo condiviso.
2) la diffidenza delle Organizzazioni di volontariato verso la reale volontà di cambiamento delle istituzioni: una salutare diffidenza , ancora attiva, che consente al volontariato di non rifiutare la relazione, ma di porre maggiore attenzione sia nella formulazione delle proposte che nella cura alla loro attuazione.
3) l’interazione tra le associazioni: lavorare in rete vuol dire mettere a disposizione dell’altro competenze e conoscenze, difficile da praticare in un contesto a volte autoreferenziale. La maggior parte delle associazioni realizzano interventi rivolti ai bisogni delle povertà e dell’emarginazione; accanto a queste sono presenti anche associazioni professionalizzate, convenzionate con l’ente pubblico e la ASL, spesso affiliate a reti nazionali. Nel confronto costante, le associazioni hanno confermato una forte disponibilità alla collaborazione e all’integrazione con la rete dei servizi pubblici, in una corretta ottica di sussidiarietà e nel rispetto dell’autonomia. In questo senso si è rivelato prezioso il contributo del volontariato alla lettura dei nuovi bisogni, alla funzione di verifica e controllo sociale dei servizi istituzionali e, soprattutto, alla crescita e diffusione della cultura e della prassi della solidarietà.
4) la non conoscenza del sistema sanitario preesistente e viceversa: i volontari coinvolti tendevano a generalizzare, molto spesso per luoghi comuni, le critiche alla “malasanità” e gli operatori con supponenza lamentavano la poca competenza dei volontari. Dal confronto è emerso con chiarezza che se «gli enti sono impegnati in un percorso di cambiamento, il cambiamento ha bisogno di consenso e il consenso ha bisogno di partecipazione». Una formula sintetica, che ripone al centro della riflessione il territorio come luogo di relazioni e di confronto fra istituzioni e cittadini bisognosi di cura.
A distanza di un anno di lavoro, possiamo dire che dietro la grande richiesta di trasparenza e di onestà che viene dai cittadini, c’è il bisogno di poter tornare a fidarsi dell’altro, la necessità di superare diffidenze e ostilità, per recuperare l’attuale lacerazione del tessuto sociale. Il volontariato ha il compito di costruire fiducia riattivando relazioni: partendo dai bisogni e dalle potenzialità delle comunità, per ricostruire una visione condivisa che riapra la strada allo sviluppo del territorio.