LE “CONSULENZE EMOTIVE” IN QUESTI TEMPI DIFFICILI
Quali sono le paure e le ansie più diffuse e come si può affrontarle? Ce lo raccontano gli psicologi del progetto "Consulenze emotive"
21 Maggio 2020
Il Coronavirus ha provocato una crisi sanitaria, economica e sociale senza precedenti.
Obbligati alla quarantena, a rimanere in casa e ad inventare nuove forme dell’esistenza,
obbligati a condividere spazi a volte scomodi e ristretti in famiglia, anche a causa dello smartworking, le persone si sono trovate alle prese con una forte “emergenza emotiva”. Una delle questioni più pressanti in questo periodo di crisi riguarda infatti l’impatto psicologico della pandemia sui cittadini, aggravato dalla pesante crisi economica conseguente.
Il progetto “Consulenze emotive”
Da qui è nata l’esigenza di strutturare dei servizi di supporto psicologico, per telefono o via Skype, come il servizio “Consulenze Emotive” (questa è la pagina Fabeook), ideato da Angelo Azzurro Onlus insieme all’Associazione di Promozione Sociale Fiore del Deserto – e con la collaborazione di Jung Italia e l’Associazione scientificoculturale Professione Psicologo – per dare aiuto a tutti coloro che non riescono a sopportare il carico di questa esistenza nuova.
Il progetto “Consulenze Emotive” vuole rispondere all’esigenza di servire il territorio ed è stato realizzato per garantire ai cittadini un supporto psicologico adeguato in questo periodo di forte stress, di costrizione e di restrizione economica per molti. «Persone già di per sé fragili in questo periodo dimostrano una forte sofferenza che si manifesta ad esempio con crisi depressive o conflitti di coppia”, dice Vittoria Quondamatteo, psicologa e fondatrice dell’associazione di promozione sociale Fiore del Deserto, e partner del progetto “Consulenze Emotive”. «Il nostro impegno è innanzitutto un impegno etico come professionisti. Siamo sempre più convinti che il benessere individuale forma e determina il benessere della collettività. Offrendo la nostra competenza e il nostro impegno diamo la possibilità a molte persone che non hanno risorse economiche sufficienti di avere un
aiuto», afferma la fondatrice di Fiore del Deserto. «Crediamo molto che il cambiamento deve avvenire dall’esperienza di ciascuno, ma soprattutto da un impegno etico in virtù del quale ognuno di noi deve riappropriarsi della responsabilità di essere cittadino all’interno di un collettivo»
Pandemia psicologica e crisi economica
A ridosso della pandemia da Covid-19 ci si aspetta quindi un’altra pandemia, scatenata molto probabilmente dal disagio psicologico creato dal Coronavirus, sommato alla forte crisi economica che si prefigura all’orizzonte. Questa è una situazione mai vista prima, che renderà le persone molto più vulnerabili. Le conseguenze per la salute mentale, molto probabilmente, si protrarranno per un tempo abbastanza lungo.
Nel nostro Paese, superata l’emergenza sanitaria, i problemi economici potrebbero essere i più critici nel periodo post pandemia. Come spiega molto bene Giuseppe Caserta di Professione Psicologo, «il lavoro perduto e da ritrovare è di certo tra le paure prevalenti. La paura di non poter più avere un lavoro è molto forte».
Purtroppo nel nostro Paese la disoccupazione ha raggiunto dei livelli piuttosto rilevanti e «le angosce relative al sostentamento, al fatto di non poter riuscire a mantenere la famiglia sono molto pressanti». Il sostentamento materiale e quotidiano è la principale “fonte di angoscia” per le persone senza un’occupazione.
Tra le evidenze scientifiche risulta ad esempio che coloro che hanno livelli di reddito più bassi mostrano una necessità di supporto maggiore, sia economico che psicologico.
Il supporto per i più fragili
“Adattarsi” vuol dire ad esempio «pensare di fare qualcosa di bello, dedicarsi a delle passioni che avevamo relegato nel cassetto per mancanza di tempo», dice la psichiatra Stefania Calapai, direttrice di Angelo Azzurro Onlus. «È molto importante ascoltare le proprie emozioni in questo periodo», cercando di razionalizzare i comportamenti.
Nel momento in cui non ci si riesce ad “adattare” alla nuova situazione causata dal Coronavirus, entra in gioco il supporto psicologico per tutti coloro che ne hanno bisogno. “Consulenze Emotive” attraverso lo schermo di un computer o al telefono. In questo frangente la tecnologia si rivela un valido supporto per l’uomo: una tecnologia più umana, senza la quale i soggetti avrebbero vissuto un isolamento ancor più pesante e frustante. Piuttosto che farsi prendere dal panico è bene chiamare e chiedere aiuto.
È in aumento, ad esempio, la richiesta di aiuto da parte di soggetti con figli disabili, da parte di coloro che hanno subìto un lutto a causa del Coronavirus, mamme con bambini piccoli. Oppure persone che non lavorano e che non sanno nemmeno se torneranno ad avere un lavoro. Le fasce della popolazione più a rischio sarebbero gli anziani, i cittadini con malattie croniche, soggetti che già soffrono di disturbi mentali anche lievi, persone con disabilità, soggetti vittime di alcune dipendenze come l’alcool, disoccupati e persone con preoccupazioni finanziarie.
Secondo gli studiosi molti dei suddetti fattori potrebbero aumentare il rischio di suicidio, come riporta anche la rivista “The Lancet Psychiatry”, e come è accaduto in diverse comunità di adolescenti supportate dalle associazioni Angelo Azzurro Onlus e Fiore del Deserto, oppure come si è verificato nel mondo dell’impresa con il primo imprenditore morto suicida in provincia di Napoli.
«È una situazione che si protrarrà ancora per molti mesi», dice Giuseppe Caserta. «È molto importante non avere pensieri ruminativi riguardo alla situazione futura, che noi in fondo non possiamo prevedere o conoscere a pieno. Partendo da preoccupazioni giuste, che possono riguardare il proprio lavoro e la propria salute, alcune persone si lasciano andare a scenari un po’ apocalittici nella propria mente, ciò che in psicologia viene definito ‘lo scenario peggiore possibile’. Penso che dobbiamo restare molto ancorati ai fatti e alla quotidianità», suggerisce Caserta, «e provare a concentrarci su quelli che pensiamo essere i nostri punti di forza. Cogliere l’opportunità per coltivare un hobby, una passione,
o anche investire nelle relazioni familiari». In pratica, «lasciare che il futuro si dipani davanti a noi», mettendo in pratica le precauzioni necessarie, ma senza esagerare con le preoccupazioni.
Le paure più diffuse
«Una paura prevalente è quella della solitudine rispetto ad una malattia che purtroppo obbliga a rimanere da soli, all’isolamento”, spiega Caserta. Ed ancora «la preoccupazione di perdere i propri cari soprattutto se anziani o malati o comunque l’impossibilità di poterli assistere o anche dare loro l’ultimo saluto. Una paura forse inconsueta è quella di dover tornare alla socialità, magari perché per alcune persone il periodo di quarantena ha rappresentato l’allontanamento da relazioni poco sane. Quindi la paura di tornare allo stress dello stile di vita precedente è molto più frequente di quello che possiamo
immaginare. In effetti, molto spesso, ci poniamo degli obiettivi quotidiani, sociali, ludici o lavorativi, che non sono poi così necessari, e tutto ciò dovrebbe farci comprendere che per ripartire in serenità, dopo la quarantena imposta dal Coronavirus, dovremmo fare tutte le cose un po’ più con calma».
I ricercatori si sono concentrati sul quantificare gli effetti psicologici causati dalle perdite
economiche e dallo stigma sociale che vivono i soggetti una volta liberi. Uno studio del King’s College di Londra, “The Psychological Impact of Quarantine”, pubblicato sulla rivista “The Lancet”, mette in evidenza i rischi di sviluppare stati di confusione, ansia, depressione, rabbia, insonnia soprattutto di fronte al fatto di non sapere se e quando si tornerà ad avere un lavoro, la frustrazione per le restrizioni della propria libertà individuale anche se in nome di un sommo bene comune.
Tra le misure necessarie da adottare vi è una comunicazione scientifica corretta e coerente, mentre da parte di un governo è doveroso spiegare con chiarezza che cosa sta succedendo, garantendo una comunicazione istituzionale chiara e trasparente e rinforzando il senso di altruismo nella cittadinanza. Nel nuovo contesto imposto dal Coronavirus la responsabilità individuale si fonde con la responsabilità sociale. In quest’ottica il Covid ci ha forse resi tutti un po’ meno egoisti.