“INVASIONE DI CAMPO”: LE DONNE E IL CALCIO E GLI STEREOTIPI
Intervista con Alessia Cruciani sul suo libro, che racconta come tutti noi affrontiamo differenze di genere e luoghi comuni
19 Giugno 2019
Elena ha 12 anni e si è iscritta al primo corso di calcio femminile della Dynamic Sport, la Polisportiva milanese del suo quartiere. Lo ha fatto contro la volontà di mamma Rossella, che lo considera uno sport da maschi. Roby, il fratellino di tre anni, vorrebbe invece frequentare il corso di hip hop con il suo migliore amico Leo, figlio dell’insegnante di danza. Ma il padre Nicola si oppone perché il ballo è roba da femmina. Ma quando a Rossella viene negata una promozione sul lavoro, in quanto mamma di due figli piccoli, in famiglia si scatena la sfida femmine contro maschi, per combattere stereotipi e luoghi comuni sulle differenze tra i sessi. È solo una parte dell’avvincente trama di Invasione di campo. Il gol è maschio ma la palla è femmina (Edizioni Il Battello a Vapore), il nuovo libro per ragazzi di Alessia Cruciani, scrittrice e giornalista sportiva (“La Gazzetta dello Sport” e “SportWeek”) che, dopo La guerra dei like, in cui poneva l’attenzione problema del bullismo, ora ci parla della differenza di genere e degli stereotipi che, quotidianamente, accompagnano le donne che fanno sport.
In questi giorni, in cui la nazionale di calcio femminile si sta facendo valere nei campionati mondiali e le azzurre sono tutti noi, ma, in fondo, qualche commento un po’ così su di loro e sulle donne e il calcio continuiamo a sentirlo, abbiamo parlato con l’autrice degli stereotipi di genere. Che riguardano il calcio, certo, ma in fondo ci riguardano tutti. Dalle situazioni in cui ci troviamo sul lavoro, a quei libri di scuola dei nostri figli in cui le donne non compaiono mai, a quei negozi di giocattoli dove portiamo i nostri bambini e in cui, irrimediabilmente, troviamo giochi molto diversi per i maschi e per le femmine.
Come La guerra dei like, anche Invasione di campo è pensato per i ragazzi…
«L’età della scuola media, la preadolescenza, è un’età in cui ancora si riesce a far passare dei messaggi importanti. Però certo non puoi far leggere ai ragazzi un saggio sulla differenza di genere. Come nel caso del cyberbullismo ho scelto la formula del romanzo, con una storia più divertente, che però affronta il tema e fa capire ai ragazzi che esiste questo problema legato alle differenze di genere: cos’è da maschio, cos’è da femmina. Il sottotitolo è “il gol è maschio, ma la palla è femmina”. Non è un libro per ragazzine, anche se lo spunto è la formazione di una squadra femminile, che deve condividere il campo con una, poco contenta, squadra maschile.»
Il tema delle donne e il calcio è nato pensando ai successi della nazionale femminile?
«L’aumento di interesse verso lo sport femminile in generale, oltre alle donne e al calcio, e i confronti che vengono continuamente fatti tra le prestazioni maschili e quelle femminili sollevano il sipario su un problema che è molto più grande. È una lotta agli stereotipi che condiziona molto di più la vita delle donne. Ma ho cercato di evidenziare che ci sono anche stereotipi, che hanno come conseguenza delle discriminazioni anche nei confronti degli uomini. Partiamo dalle donne, e dagli stipendi più bassi, e dal fatto che certi lavori vengono considerati da uomini, così come nello sport la donna oggettivamente non può avere la stessa potenza di un fisico maschile, e quindi le stesse prestazioni. Quello è nella biologia. Ma tante altre cose le donne possono farle. Così come agli uomini viene negata la fragilità: un uomo non può mostrarsi debole, se piange si sente dare della femminuccia, non può far vedere che ha paura di qualcosa. Anche questo è un problema, perché l’uomo nasconde la sua fragilità ricorrendo alla violenza. Ci sono stereotipi da entrambe le parti. Lo sport in questo caso serve come metafora di vita. Tutti possono fare tutto. Conviene aiutarci invece di surclassarci. La donna non deve cercare di essere meglio dell’uomo, e l’uomo non deve sentirsi forte perché ha sottomesso una donna.»
Oltre al calcio, nel libro c’è anche un altro stereotipo, la danza che non è per i maschi. E poi il lavoro per le madri…
«In questo libro ci sono diversi personaggi. Ci sono le squadre di calcio, gli allenatori, le famiglie. Ho voluto anche un bambino piccolo e una bisnonna molto dinamica. Lei rappresenta la saggezza, perché a qualcosa serve invecchiare, e il bambino perché ragiona ancora libero dagli stereotipi. Se ci pensiamo, i maschietti e le femminucce, quando nascono, giocano con le stesse cose, hanno la stessa giostrina sopra il letto, piangono per le stesse cose, hanno le stesse paure. La differenza di genere è una cosa imposta dalla società. È un fatto culturale: è lì che capisci che il maschio si deve vestire d’azzurro e la femmina di rosa. Siamo talmente condizionati da questi stereotipi, che anche le persone mentalmente più aperte cadono nella trappola. Nel libro, la mamma che fa l’ingegnere meccanico, un lavoro considerato maschile, non vede di buon occhio la figlia che vuole fare la calciatrice. Quando il suo capo deve dare la promozione, che comporta un aumento di lavoro, preferisce darla a un uomo, perché una mamma con due figli poi non potrebbe occuparsi della famiglia: lo fa quasi per andarle incontro. Alcune cose vengono spontanee. Questa donna che si inferocisce per questa ingiustizia poi se la prende con il marito: deve prendersela con qualcuno e un commento sessista del marito durante una partita di calcio le fornisce lo spunto. Ma poi cade a sua volta nella trappola, quando un uomo, un amico del marito, decide di stare a casa per occuparsi dei figli, e si trova a dire che un uomo senza lavoro è come se non avesse dignità. Mio figlio mi ha fatto notare che è arrivato al Medioevo nei libri di storia e fino a quel momento non compaiono figure femminili. Tutto questo, anche se oggi si fanno tante battaglie, ha un effetto subliminale: la ragazza che legge che i grandi re, scienziati, artisti erano tutti uomini, in modo inconscio percepisce che l’uomo è più forte. Poi entra in un negozio di giocattoli e, nel 2020, trova la parte dei maschi dove ci sono i Lego, Star Wars, avventure, pistole, supereroi, mentre nel settore femminile ci sono bambolotti, carrozzine, cucinine, piccole aspirapolvere, e la bambina cresce con giochi in cui è destinata a fare la casalinga.»
Come mai il tema delle donne e il calcio sta iniziando ad appassionare tutto d’un tratto?
«Secondo me sono i motivi sono fondamentalmente due: uno sportivo e uno economico. Quello sportivo è che finalmente l’Italia si sta accorgendo di quanto il calcio femminile abbia un potenziale di sviluppo interessante, soprattutto guardando ad altri Paesi europei e agli Stati Uniti, dove la tradizione è molto forte. La federazione si è data da fare, ottenendo l’impegno di molti club di Serie A ad organizzare in maniera seria il settore femminile. E questo ha portato a un incremento dell’interesse anche da parte delle atlete più giovani. Siamo in ritardo rispetto ad altri Paesi. Ma la nostra forte tradizione calcistica ha ridotto il gap, come si è visto nelle prime partite, dove l’Italia ha giocato testa a testa con l’Australia, la squadra più forte del girone. L’aspetto economico conta, si sta sviluppando il business, tante aziende stanno aumentando la comunicazione e le iniziative di marketing nel calcio femminile e tutte le aziende dell’indotto possono avere dei guadagni dalla crescita di questo movimento.»
Ha incontrato tante calciatrici. Quali sono state le sfide che hanno dovuto fare per affermarsi?
«Il portiere della Roma e della nazionale, dove è il n.12, Rosalia Pipitone mi ha raccontato che, in Sicilia, tanti anni fa, giocava addirittura scalza, pur di non far capire ai genitori che aveva giocato, perché tornando a casa con gli scarpini lo avrebbero capito. Tante mi hanno raccontato che i loro genitori pensavano che il calcio femminile fosse addirittura vietato. E poi c’è lo stereotipo più comune, quello per cui una donna che fa calcio è una donna “diversa”. A volte lo è, a volte no.»
Quali sono i pregiudizi più diffusi quando si parla delle donne e il calcio?
«Il fatto di fare dei continui confronti tra il calcio femminile e il calcio maschile. Non ha senso fare confronti. Così come non li fai quando vedi la pallavolo, o il tennis, o lo sci. Uomini e donne sono diversi: Bolt correrà sempre più veloce i 100 metri della miglior sprinter donna. La squadra femminile under 12 del Barcellona ha battuto tutte le squadre maschili: fino a quell’età, prima dello sviluppo, maschi e femmine possono giocarsela alla pari, e le ragazzine si sono dimostrate più forti dei maschi.»
Il calcio femminile è la metafora di un paese, e di un mondo, che ha bisogno di crescere, e di essere educato, in questo senso?
«Avendo conquistato l’ultimo baluardo maschile, le nostre calciatrici hanno una specie di missione sociale: stanno dimostrando che le donne possono veramente fare tutto, e farlo anche bene. Ma essere donne non deve essere un difetto. Lo stanno facendo da donne perché sono donne. Giocano a calcio da donne perché sono donne.»
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Alessia Cruciani
Invasione di campo. Il gol è maschio ma la palla è femmina
Il Battello a Vapore, 2019
€ 15,00
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